Pfas Veneto: analisi del sangue concesse (finalmente) anche in zona arancione, ma saranno molto costose

Dopo anni di battaglie dei cittadini e l'intervento di organizzazioni private estere, la Regione Veneto consente finalmente agli abitanti della zona arancione di fare le analisi del sangue per verificare la presenza dei pericolosi Pfas. Ma lo fa solo a metà: migliaia di cittadini avranno appena 90 giorni per farle e dovranno sborsare un sacco di soldi

Finalmente anche chi vive nella zona arancione colpita dalle sostanze perfluoroalchiliche in Veneto potrà farsi analizzare il sangue. Un diritto alla salute finora negato e ora, purtroppo, ancora concesso a metà: i cittadini di undici comuni del Vicentino e uno del Veronese hanno solo 90 giorni per mettersi in coda e ottenere quanto sarebbe spettato loro da anni. E non è tutto: le analisi sui Pfas nel sangue dovranno essere pagate a caro prezzo dagli stessi cittadini.

Come andrà a finire, peraltro, è tutto da vedere, visto che stranamente la delibera che prevede la novità non è ancora stata diffusa, ma solo annunciata a seguito delle pressioni delle Mamme No Pfas e di tanti altri gruppi nati sul territorio. La storia di questa lotta è lunga, insomma, ed è necessario fare un passo indietro per capire come si è arrivati a questa situazione.

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Sit-in delle Mamme No Pfas, Comitato stop Solvay, davanti al ministero dell’Ambiente (Roma, 6 ottobre 2020) – Foto: ©Laura Fazzini

Pfas negli abitanti della zona arancione? È ancora un mistero

Elisabetta Donadello abita a Creazzo, una ventina di chilometri dall’azienda Miteni, in provincia di Vicenza. L’industria era fallita a fine 2018, dopo la conferma da parte dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Treviso che la contaminazione da Pfas più vasta d’Europa era causata da sversamenti nel torrente Poscola sotto lo stabilimento.

Elisabetta e la sua famiglia, però, abitano sul confine tra la zona rossa e quella arancione, colori decisi dalla Regione Veneto nel 2016 per indicare il tipo di esposizione a queste sostanze. Zona rossa significa Pfas nel rubinetto di casa, zona arancione Pfas nelle acque di falda, ma non nel rubinetto.

«Sono tornata a vivere nella casa dei miei nonni per alimentarmi del mio orto, allevare le mie galline. Ma non so se sto contaminando i miei figli, non so se mangiamo veleno e la Regione non mi risponde», scandisce Elisabetta mentre raccoglie verdura dietro casa.

Nessun residente della zona arancione finora ha potuto far analizzare il proprio sangue per verificare la presenza di Pfas (non è un esame che può essere chiesto da un medico di base). «Dal 2020 chiediamo di poterci equiparare ai residenti della zona rossa, ma per ora le poche risposte della Direzione Sanità regionale non ci hanno dato conferme».

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Foto: Mamme No Pfas

Dal Veneto alla Germania per analizzare i Pfas nel sangue dei figli

«Quando i giornali hanno cominciato a parlare di Pfas nell’ambiente abbiamo deciso di stare attenti, anche se non abbiamo mai innaffiato con l’acqua del pozzo perché sapevamo bene che poteva essere inquinata, da tutto».

Elisabetta fin dal 2013 ha tenuto sotto controllo il rischio di questa contaminazione. Nel 2014 i sindaci delle zone più colpite avevano diramato un’ordinanza che vietava di utilizzare i pozzi privati e di allacciarsi all’acquedotto. «Nessuno però ci ha aiutati ad analizzare le acque, la terra che si alimenta dalla falda. Abbiamo fatto tutto da soli, sempre».

E fare da soli costa, i laboratori sono pochi e lontani e spesso non ci si fida. «Abbiamo voluto fare più analisi dei nostri terreni. Grazie al Dipartimento di agricoltura di Padova, che ci segue da qualche mese, ora so cosa posso coltivare e dove la mia terra è più contaminata. Ma per il sangue ho potuto chiedere aiuto solo ad una televisione belga, un privato insomma», continua Elisabetta.

Nel febbraio 2022 un’équipe di una televisione tedesca ha investito in un piccolo campionamento di sangue di bambini della zona arancione, facendo analizzare il sangue in un laboratorio accreditato in Germania.

«Il risultato dei miei figli, che non hanno mai bevuto acqua contaminata, è stato tremendo, 19 microgrammi per litro quando la soglia italiana è otto. E allora mi sono arrabbiata».

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Elisabetta, insieme ad altre famiglie protagoniste del campionamento belga, durante l’estate 2022 hanno mandato una diffida alla direzione Sanità regionale per ottenere il monitoraggio del sangue. «Con questi dati eravamo certi che potessimo rientrare nel servizio nato nel 2016 per la zona rossa. Se superiamo la soglia siamo a rischio, come gli altri».

Ma la diffida non ha prodotto risultati e a settembre, fuori dal tribunale di Vicenza dove si sta celebrando il processo contro Miteni, Elisabetta e altre associazioni hanno esposto striscioni e referti delle analisi.

«La Digos mi ha segnalata perché sul mio cartellone rimandavo alle elezioni parlamentari. Ma i giornali mi hanno raccontata e finalmente la Regione ha risposto, direttamente la dirigente Francesca Russo. Un colloquio di pochi minuti dove mi hanno confermato la possibilità di farsi analizzare il sangue anche per noi, a pagamento».

A ottobre 2022, quindi, la responsabile dell’intera vicenda Pfas, Francesca Russo, stando al racconto di Elisabetta, ha dato a voce la buona notizia a pochi attivisti, chiedendo però il silenzio stampa per «non compromettere l’esito della pratica».

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Foto: Mamme No Pfas

Pfas Veneto: la lunga attesa nella zona arancione

Elisabetta e gli attivisti sono quindi restati in silenzio, sapendo che ampliare il campionamento da 180 mila a quasi 350 mila residenti richiede un importante sforzo economico.

Regione Veneto dal 2013 ha investito oltre 4 milioni di euro per cercare di frenare la contaminazione ambientale e monitorare la salute pubblica. «Alla dottoressa Russo abbiamo proposto di pagare noi un ticket, 36 euro, per poterli fare senza pesare troppo sulle casse regionali. Sappiamo che siamo tanti, ma abbiamo il diritto di farci tutelare», spiega Elisabetta.

Da ottobre, però, non ci sono stati più incontri, malgrado fossero fissate altre date. La Regione ha rimandato due volte un colloquio online, fissando un’ultima data prima di Natale.

Il 10 gennaio 2023, mancando ancora la data dell’incontro, diverse associazioni ambientaliste hanno emanato un comunicato stampa dal titolo Una regione in Fuga. Nel testo è chiara la richiesta:

«La Regione ha compiuto in effetti le sue scelte. Ha deciso se analizzare gli alimenti, ha deciso se monitorare lo stato di salute della popolazione a rischio di contaminazione e come farlo. Ora che di giustificazioni per negare le analisi non ce ne sono più non resta che scappare. Il che fa presumere che in tutti questi anni fossero già ben consapevoli che le loro giustificazioni erano zoppe».

Il giorno dopo, mercoledì 11 gennaio, Regione Veneto ha pubblicato un comunicato in cui confermava la presa in carico della zona arancione con una delibera del 3o dicembre 2022. Per 90 giorni sarà possibile farsi analizzare il sangue per i residenti in zona arancione, a 90 euro a persona presso i laboratori dell’Arpav.

Dopo una lotta di anni, l’istituzione pubblica ha concesso tre mesi perché oltre 100 mila persone prenotino e vengano monitorate pagando tre volte il prezzo proposto nell’unica riunione con la dottoressa Russo.

La Regione Veneto e l’appello dell’Onu: la situazione oggi

«Ho incontrato personalmente l’assessore alla Sanità regionale Manuela Lanzarin fuori dal consiglio regionale martedì 10 gennaio, mi ha confermato che stavano lavorando su questo tema ma senza dirmi della delibera». A dirlo è la consigliera regionale di Europa Verde Cristina Guarda, che dal 2016 interroga la Regione su questa contaminazione.

Guarda martedì 10 aveva presentato in aula regionale un’interrogazione del settembre 2022 in cui chiedeva di ampliare il monitoraggio. Una volta messa ai voti, l’assessora Lanzarin era uscita prima della votazione e la maggioranza si era espressa contro. «Ma se la giunta regionale a fine anno aveva scritto questa delibera a favore, perché l’assessore non dice nulla e la maggioranza vota contro una mia richiesta uguale?», si chiede a questo punto Guarda.

Domani, venerdì 13 gennaio, sarà pubblicata ufficialmente la delibera, facendo partire così il countdown dei 90 giorni per migliaia di cittadini che da oltre sei anni aspettano di sapere se sono contaminati o no.

«A dicembre 2021 è venuto il commissario per i diritti umani dell’Onu, confermando le nostre paure sul grande rischio sanitario che corriamo e indicando le istituzioni come manchevoli della presa in carico sanitaria. Se la risposta sono 90 euro ciascuno per tre mesi ci sentiamo presi in giro», esclama Marzia Albiero di Rete Gas vicentina che, abitando in zona arancione, ha da sempre preteso il diritto alla salute per tutti.

«Una famiglia di 4 persone dovrebbe spendere 360 euro solo per avere un risultato. Questo non è diritto alla salute, è un privilegio per pochi».

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