Processo Pfas, a Vicenza parlano le vittime

Al tribunale di Vicenza prosegue il processo per il grave inquinamento da Pfas. Questa volta hanno testimoniato i cittadini, che per decenni hanno bevuto acqua contaminata

Nel tribunale di Vicenza, in un’aula piena e silenziosa, il 26 ottobre si sono alternate le diverse parti civili davanti alla giuria popolare che da due anni raccoglie testimonianze nelle tre provincie venete stravolte dalla contaminazione da Pfas nell’acqua di rubinetto.

Sindacati, associazioni e semplici mamme hanno cercato di spiegare cosa ha voluto dire aver paura dell’acqua, l’ansia di non sapere cosa fosse finito nel loro corpo né di come sarà il loro futuro.

Processo Pfas, la testimonianza del sindacato

Il primo ad essere sentito è stato il referente Cgil della provincia di Vicenza, Gianpaolo Zanni. Sin dal 2013, il sindacato ha cercato di raccogliere le paure dei circa 500 operai che per decenni hanno lavorato le sostanze Pfas, considerate “perfette” perchè impossibili da distruggere. Paure legate alle analisi del sangue fatte dentro lo stabilimento dal medico aziendale, Giovanni Costa. Medico che avrebbe sempre tranquillizzato sulla bassa tossicità di questi composti, considerati però dalla comunità scientifica come interferenti endocrini e correlate a diverse patologie come colesterolo alto e ipertensione.

«Abbiamo chiesto all’azienda e allo Spisal (Servizio sanitario locale destinato al monitoraggio sanitario negli ambienti di lavoro, ndr) come stessero gli operai, cosa fossero queste sostanze. Per anni ci hanno tranquillizzati, ora mi siedo qui come parte civile in un processo per avvelenamento delle acque e disastro ambientale per sostanze considerate tossiche».

Alle domande degli avvocati difensori sulla mancata azione del sindacato, Zanni ha risposto così: «L’azienda ci ha promesso nuove misure di sicurezza e che le produzioni erano sicure. Gli operai hanno i valori di Pfas più alti al mondo, quale sicurezza hanno fatto prima di essere imputati per disastro ambientale?».

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Manifestazione contro la Miteni delle Mamme no Pfas – Foto: © Laura Fazzini

Legambiente e Isde in lotta contro i Pfas

Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo PerlaBlu di Legambiente e volto noto nel mondo della lotta no Pfas, è tra i testimoni che sono stati ascoltati. Dopo aver lottato 10 anni per ottenere questo processo, si è preso tempo per guardare in faccia chi giudicherà quello che potrebbe risultare essere il più vasto inquinamento da sostanze pericolose d’Europa.

«Dal 2007 mi occupo degli scarichi della zona industriale dove insisteva Miteni. Abbiamo fatto denunce, manifestazioni e presidi. All’inizio ci tranquillizzavano sia l’azienda che le istituzioni, poi hanno smesso di venire ai nostri incontri e ora siamo qui», spiega con voce ferma. Legambiente, insieme ai medici per l’ambiente Isde, dalla scoperta dei Pfas nelle acque potabili di tre province nel 2013 ha cercato di avvisare la popolazione.

«Abbiamo sempre chiesto che chi inquina paghi, che le acque pulite destinate alla nostra agricoltura non vengano perse per diluire i reflui industriali dei privati, di Miteni. Dopo 10 anni di lotte io sono qui, con i miei 135 nanogrammi di Pfoa nel sangue quando la soglia è 8», conclude Boscagin.

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Piergiorgio Boscagin, presidente del circolo PerlaBlu di Legambiente – Foto: © Laura Fazzini

Le Mamme No Pfas chiedono giustizia al tribunale di Vicenza

Anche il movimento Mamme No Pfas, un gruppo di madri e padri che da anni chiede giustizia e prevenzione, interviene al processo. «All’inizio non ci credevo, mi pareva impossibile che dai nostri rubinetti uscissero sostanze pericolose. Ma poi ho visto le analisi dei miei figli e ho detto no, non era Scherzi a Parte, era la nostra vita», ha detto una di loro.

Le analisi Pfas vengono svolte per la popolazione che vive nella zona più inquinata, denominata rossa, dal 2017. «In quel periodo stavo vivendo un altro incubo, un tumore che mi aveva colpito dopo aver travolto mia sorella. Ci siamo chieste come mai fossimo malate, ora che conosco i Pfas come interferenti endocrini si spiega tutto».

Lei da quel tumore si è ripresa, la paura però rimane per quelle sostanze che studia notte e giorno. «All’inizio con alcune mamme volevamo condannare i gestori dell’acqua per averci dato un prodotto guasto. Ma poi abbiamo capito che non era un prodotto guasto, era una violenza contro il nostro territorio e i nostri figli. E siamo arrivate a sederci qui, per chiedere giustizia per il nostro futuro»

Acqua inquinata, l’aiuto negato a una giovane madre

«Nel 2017, quando ho fatto il prelievo per le analisi Pfas, ho detto all’infermiere che stavo allattando il mio primo figlio. Mi ha detto che i Pfas passavano al feto dalla placenta e poi nel latte materno». A dirlo – in un’aula immobile e muta – è stata una giovane Mamma No Pfas.

«Poche settimane dopo, in un’assemblea pubblica nel teatro del mio comune, dove le istituzioni ci spiegavano cosa fossero i Pfas, mi sono alzata e ho chiesto se dovevo smettere di allattare dopo l’allarme di quell’infermiere. Un rappresentate dell’’istituzione sanitaria locale mi ha risposto che la notizia dell’infermiere non era fondata a livello scientifico e ho continuato ad allattare, tranquillizzata». Ma dal 2019 è dimostrato a livello scientifico che i Pfas, interferenti endocrini, passano attraverso il latte materno e la placenta.

Il marito della donna ha 208 nanogrammi di Pfoa nel sangue, quando la soglia italiana è 8.

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Striscioni davanti al tribunale di Vicenza – Foto: © Laura Fazzini

Processo Pfas, le vittime raccontano l’angoscia per figli e parenti

A sedersi al posto dei testimoni c’è stata anche una madre di Lonigo, lì dove l’acqua potabile ha raggiunto mille nanogrammi per litro di Pfoa. Anche lei, come le altre, ci ha chiesto di non essere citata per nome.

«Siamo tutti e quattro parti civili, abitando nell’epicentro della tragedia abbiamo tutti valori alti. Ma vi immaginate cosa voglia dire fare fatica a pagarsi una casa nuova e sapere solo dopo di aver scelto uno dei posti più inquinati d’Europa? Sapete cosa significa vivere nell’incertezza di non sapere cosa succederà ai miei figli, a quel futuro che ho voluto io?» chiede alla giuria.

Dai primi articoli sulla contaminazione usciti nel 2013 ha smesso di usare l’acqua di rubinetto e spende soldi ogni mese per avere acqua pulita in bottiglia. «Sapete cosa vuol dire riempirsi la casa di bottiglie di vetro e preferire l’insalata in sacchetto per non doverla lavare con acqua inquinata? Non è un incubo, è la nostra vita dal 2013».

E ancora: «Sapete cosa significa avere un marito giovane che per anni ha perdite ematiche spaventose per una colite ulcerosa tremenda? Questa malattia, cronica, è una delle cinque patologie correlate all’esposizione da Pfas. E lo sappiano noi perchè studiamo giorno e notte per difenderci e per difendere i nostri figli».

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