
Repubblica democratica del Congo, la guerra che sta contagiando l’Africa
La Repubblica democratica del Congo è devastata da una guerra civile che potrebbe portare presto con sé mezzo Continente. Ecco qual è la situazione oggi, quali sono gli interessi in gioco e quali gli attori più attivi. A partire da Ruanda ed Europa
«Quando sono scappato da Goma la città era attraversata da rifugiati che stavano abbandonando i campi profughi dov’erano in corso i combattimenti. C’erano corpi ovunque e anche in queste ore continuano ad essere ritrovati morti nelle abitazioni e nei terreni intorno alla città».
Con queste parole Akilimali Saleh, corrispondente congolese per alcune delle principali testate internazionali, ha raccontato ad Osservatorio Diritti il momento in cui ha lasciato la città di Goma per dirigersi a Bukavu pochi giorni dopo che i ribelli dell’M23 hanno preso il controllo del capoluogo della regione del Nord Kivu, sua città natale, nella Repubblica democratica del Congo.
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Repubblica democratica del Congo: violenza e saccheggi
«Già nel 2012 gli M23 avevano occupato Goma, ma all’epoca soltanto per dieci giorni. Questa volta, invece, sembrano avere tutte le intenzioni per restare il più a lungo possibile e creare una loro amministrazione nelle province del Nord e del Sud Kivu».
Secondo il reporter congolese, «non si era mai assistito a nulla di simile a Goma. Gli scontri sono stati violentissimi e poi un altro problema è quello economico. Si sono registrati saccheggi sistemici ovunque, in tutta la città: i mercati, gli uffici e le scuole sono rimasti chiusi e ora non sappiamo cosa succederà. Certo è che quanto accaduto fa temere una crisi senza precedenti».
La guerra torna in Repubblica democratica del Congo
Si è tornato a parlare di Repubblica democratica del Congo il 27 gennaio 2025, quando l’esercito ribelle M23, che dichiara di combattere per proteggere la minoranza tutsi congolese, ha attaccato Goma, città di 2 milioni di abitanti, centro delle basi delle Nazioni Unite in Congo, hub strategico sia dal punto di vista militare sia commerciale e capoluogo di una delle regioni più ricche di minerali al mondo.
E gli insorti, dopo una feroce battaglia, vi hanno preso il controllo. Da quel momento le forze irregolari, nonostante avessero proclamato un cessate il fuoco per ragioni umanitarie, non si sono arrestate e hanno proseguito la loro avanzata sino a Bukavu, la seconda città dell’est.
La ribellione, durante la sua avanzata, ha occupato anche i centri minerari di Rubaya e Nyabybwe, siti estrattivi da cui vengono prelevati coltan e cassiterite. Un dettaglio non trascurabile per comprendere quanto sta avvenendo nell’ex colonia belga, dove al momento si contano più di 3 mila morti e oltre 300.000 sfollati che sono andati ad aggiungersi a 5,6 milioni presenti nel paese da prima del 2025.
Storia di una guerra per il sottosuolo
Le guerre che hanno sconvolto la Repubblica democratica del Congo dagli anni ’90 hanno sempre avuto due comuni denominatori: il possesso delle risorse e la questione identitaria. Ed è necessario risalire al genocidio del Rwanda per avere una panoramica complessiva del conflitto in atto.
Nel piccolo paese delle Mille Colline, nel 1994 le milizie hutu in tre mesi uccisero 800.000 persone e il Congo, allora Zaire, arrivò ad accogliere oltre un milione e mezzo di rifugiati.
Quando il genocidio cessò e Paul Kagame, attuale presidente ruandese, prese il potere, guardò con enorme preoccupazione ai campi profughi nel vicino Congo dove si erano rifugiati numerosi hutu. Il suo timore era che nelle tendopoli centinaia di migliaia di profughi si stessero armando per attaccare di nuovo il suo Paese.
Kagame allora armò e preparò i tutsi congolesi che da tempo vivevano perseguitati nelle regioni del Kivu, ingaggiò Laurent Désiré Kabila e diede vita all’Afdl, Alleanza delle Forze Democratiche di Liberazione: il 28 ottobre 1996 la ribellione orchestrata da Kagame ebbe inizio e il 17 maggio 1997 i guerriglieri presero il controllo della capitale Kinshasa, e Kabila si proclamò presidente.
Si stima che durante l’avanzata ribelle morirono dai 200 ai 300.000 profughi hutu in quello che fu a tutti gli effetti un contro genocidio.
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La prima guerra d’Africa
Il nuovo capo di governo, dopo una breve fase iniziale, incominciò ad essere inviso alla popolazione congolese perché tra le più alte cariche dello stato c’erano molti suoi commilitoni ruandesi. E così, per evitare un golpe interno, Kabila abbandonò gli ex compagni d’armi di oltreconfine.
La reazione di Kagame a questa decisione del suo fedelissimo non si fece attendere e con un nuovo esercito ombra invase il Congo e la seconda guerra congolese, o Prima guerra mondiale africana, ebbe inizio.
Il conflitto questa volta non durò sette mesi, ma cinque anni, e non interessò soltanto la regione dei Grandi Laghi, ma vide oltre nove nazioni parteciparvi.
Nel solo Congo si calcolarono alla fine delle ostilità tra i 3 e i 5 milioni di morti. Quello che fu uno dei conflitti più sanguinari a livello globale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fu caratterizzato da tre fattori principali: la domanda mondiale di materie prime; l’offerta globale di armi che provenivano dagli arsenali dei paesi dell’ex blocco sovietico; l’impotenza delle Nazioni Unite.
Il ruolo del Ruanda di Paul Kagame
Il Ruanda, ribattezzato anche la Svizzera dell’Africa, ha un’economia in continua crescita, è considerato una meta turistica di lusso e una delle nazioni più green dell’Africa e gode di profondi legami con i paesi occidentali.
Basti pensare che la Volkswagen vi gestisce uno stabilimento di assemblaggio, quest’anno vi saranno ospitati i mondiali di ciclismo, il Regno Unito ha firmato con Kigali un controverso accordo per il rimpatrio dei migranti e i donatori occidentali finanziano ben il 70% del bilancio nazionale.
Ma iI Rwanda è a tutti gli effetti un’autocrazia con al potere un solo uomo, Paul Kagame, che da quando ha preso il potere nel 1994 ha silenziato ogni forma di dissenso e da sempre destabilizza le regioni congolesi del Kivu per i minerali e per le terre fertili e per la necessità di nuove aree, dal momento che il piccolo Paese africano soffre un tasso di densità demografica tra i più alti al mondo.
Un report delle Nazioni Unite, inoltre, ha confermato che 120 tonnellate di coltan al mese vengono esportate dall’M23 in Ruanda, che al fianco degli insorti tutsi congolesi ci sono circa 3.000 / 4.000 soldati ruandesi e il presidente Kagame, intervistato dalla Cnn, alla domanda se siano presenti uomini ruandesi in Congo, ha risposto con un pilatesco «non lo so», pur essendo il capo delle forze armate.
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Ruanda-Europa, rapporti pericolosi in nome delle risorse
Anche durante la ribellione del Congrès national pour la défense du peuple (Cnpd) – un gruppo ribelle guidato da Laurent Nkunda
e precursore degli M23 che durò dal 2006 al 2009 – e quella degli M23 nel 2012, anno in cui per la prima volta gli irregolari guidati da Sultani Makenga occuparono Goma, non mancarono le accuse di un sostegno ruandese ai ribelli. Ma questa volta le prove che il Ruanda stia facendo guerra al Congo attraverso un esercito ombra sono inequivocabili.
Il Paese dell’Africa orientale vanta solidi legami sia con l’Occidente sia con la Cina, ma al centro delle critiche ora ci sono gli accordi che Bruxelles, nel febbraio 2024, firmò con Kigali, il cosidetto Memorandum of Understanding, un patto per l’approvvigionamento di minerali strategici dal Paese africano.
Il Ruanda è poi destinatario di grandi somme a titolo di investimenti nell’ambito dell’accordo Global Gateway. In una risoluzione non legislativa adottata giovedì 13 febbraio dal Parlamento europeo con 443 voti favorevoli, 4 contrari e 48 astensioni, i deputati europei hanno condannato fermamente l’occupazione dei territori della Repubblica Democratica del Congo da parte dei ribelli dell’M23 e hanno esortato la Commissione e il Consiglio europeo a sospendere immediatamente il memorandum d’intesa dell’Ue con il Ruanda.
RD Congo sull’orlo del precipizio: in bilico tra guerra continentale e una crisi umanitaria
Mentre gli appelli alla pace e gli inviti a una tregua sembrano naufragare ancora prima di prendere il largo, il timore a livello internazionale è che la guerra congolese possa trasformarsi in una guerra mondiale africana. Al momento, infatti, sono già coinvolti direttamente il Congo, il Ruanda, il Burundi e l’Uganda.
Ma potrebbero avere un ruolo diretto anche il Sud Africa e la Tanzania. Fattori che lasciano temere il peggio e un aggravarsi di una situazione umanitaria già estremamente drammatica. Una caduta verso il basso acelerata anche dall’interruzione delle attività delle organizzazioni umanitarie, come denunciato da Human Rights Watch e dalle Nazioni Unite.
Si teme un rapido e significativo peggioramento delle condizioni di centinaia di migliaia di sfollati che, sia in Congo sia in Burundi, si trovano già in uno stato di precarietà e grande bisogno.
Anche la tragedia della popolazione civile della Repubblica Democratica del Congo conferma che dietro le guerre ci sono esclusivamente interessi economici…. E in questo caso l’Occidente è uno degli attori “invisibili”.