Social network e minorenni: i rischi di internet per i più giovani
Un'età minima per la presenza dei minorenni sui social network è stata stabilita, ma è spesso violata. E in Italia non esiste una normativa specifica sulla tutela dell’immagine dei minori o, più in generale, che regolamenti la loro presenza sui social. Ecco qual è la situazione oggi
Su Youtube, Instagram, Tik Tok sono delle star, emulati dai loro coetanei e corteggiati dai brand: sono i baby influencer, bambini e ragazzi seguiti sui loro profili social da milioni di follower che visualizzano, commentano e condividono ogni loro post, video e fotografia. E poi ci sono i genitori, che postano foto dei figli mettendo in piazza la loro vita per conquistare quel secondo di popolarità e una manciata di like in più.
Minori e social media sono un binomio vincente, ma in tutto questo come viene tutelata la privacy dei più piccoli? E come viene regolamentato quello che per i baby influencer diventa un vero e proprio lavoro? Le normative e le leggi di riferimento sono assenti o insufficienti, fanno acqua da tutte le parti, ma nessuno sembra accorgersene.
Età minima sui social network e violazione privacy minorenni
In Italia i minori di 14 anni non possono aprire un profilo social. È il Gdpr (General Data Protection Regulation), ovvero l’atto legislativo dell’Unione europea entrato in vigore nel 2018 che regolamenta il trattamento dei dati e il diritto alla privacy, che si pronuncia sull’età minima consentita per essere presente sui social.
In particolare, l’articolo 8 dice che il trattamento dei dati personali è lecito per quanto riguarda «l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione» ai minori, dal 16esimo anno di età. Prima serve il consenso del genitore o di chi ne fa le veci.
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Instagram, WhatsApp, Facebook, Twitter, Snapchat: minorenni e social network in Italia
Gli Stati membri possono stabilire un’età inferiore, ecco perché in Italia il divieto sussiste fino ai 14 anni. Nello specifico, un minore non può iscriversi su Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat o WhatsApp sotto i 13 anni, mentre tra i tredici e i 14 serve la supervisione dei genitori.
La realtà, tuttavia, è molto diversa. Secondo una ricerca effettuata nel 2019 da Osservare Oltre (Associazione Nazionale Presidi ed eTutorweb) per il Tg3 è emerso che l’84% dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni è in possesso di un profilo social. Per farlo, nessuno ha dichiarato la sua vera età al momento dell’iscrizione, che per il 22% è avvenuta addirittura in presenza di un genitore.
E siccome in Italia le false dichiarazioni sono reato solo se fatte a un pubblico ufficiale, di fatto i minori si iscrivono sui social e nel caso dei baby influencer ne diventano protagonisti.
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Rischi di internet e dei social network per i più giovani: la legge che non c’è
«In Italia non esiste una specifica normativa di riferimento sulla tutela dell’immagine dei minori o, più in generale, che regolamenti la loro presenza sui social. Se qualcuno ritiene che vi sia una situazione compromessa, può fare una segnalazione per un procedimento civile», spiega a Osservatorio Diritti l’avvocato Paola Patruno.
Quindi, in assenza di una legge, si procede come negli altri casi. Secondo la legge (art. 1, comma 2, legge 19.7.91, n. 216) tutti possono fare una segnalazione di una situazione di pregiudizio che coinvolge minorenni. A parte alcuni casi, tra cui abbandono, negligenza e prostituzione, le segnalazioni non sono obbligatorie, se pur opportune.
«In mancanza di una normativa, l’autorità giudiziaria subentra solo in caso di necessità», precisa Paola Patruno. «In ambito civile – continua – tutto è rimesso al concetto di superiore interesse del minore e di opportunità. Significa che, fatta una segnalazione, è l’autorità giudiziaria a prendere in esame la situazione di volta in volta».
«Per esempio, se viene aperto un contenzioso per l’eccessiva esibizione del minore, magari da parte di uno dei due genitori o del minore stesso in conflitto d’interesse col genitore, sarà il giudice a valutare, per l’appunto in considerazione del superiore interesse del minore e dell’opportunità, il singolo caso. Solo in quella circostanza il giudice può fare tutte le verifiche necessarie, dagli eventuali contratti del minore con le aziende nel caso di influencer a come vengono gestiti i guadagni, dal tempo di esposizione del minore alle modalità», conclude Paola Patruno.
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Violati i diritti alla privacy: la sentenza del tribunale di Roma
In mancanza di una legge sono le pronunce giudiziarie, la cosiddetta giurisprudenza, a fare da riferimento. Una rete a maglie larghe che non fa che evidenziare le mancanze del buco normativo. Scarsa informazione, la tendenza a vedere i baby influencer più come bambini fortunati e da emulare, l’accettazione sociale della presenza dei minori sul web calano un velo sui pericoli e le insidie dei social per i minori.
Eppure, anche situazioni molto diffuse, come genitori che postano foto dei figli senza il loro assenso, sono condannabili. Ne è un esempio la sentenza emessa dal tribunale di Roma a tutela di un minore che aveva fatto una segnalazione contro la propria madre. La madre era accusata di pubblicare sul profilo Facebook foto del figlio senza il suo consenso, rivelando dettagli della sua vita fino a comprometterne l’equilibrio psicologico e la socialità.
Il minore, in questo caso, ha chiesto e ottenuto la possibilità di andare a studiare all’estero per tutelare la propria immagine nei confronti di una situazione compromessa nel luogo in cui viveva a causa dell’esposizione perpetrata sui social dalla madre. Ma per un ragazzo che fa una segnalazione, quanti minori subiscono la stessa situazione senza protestare? E quanti baby influencer conoscono i loro diritti?
Giovani influencer: ricchi sì, ma con poche tutele
Nel 2020 secondo la classifica Forbes, lo youtuber più pagato è stato Ryan Guan, conosciuto sul web come Ryan Kaji. Ha guadagnato 30 milioni di dollari all’età di 9 anni. Vive in Texas e il suo canale Youtube, “Ryan World”, è stato aperto dai suoi genitori e popolato da video del piccolo Ryan che apre scatole di giocattoli visti anche un miliardo di volte.
Al terzo posto della classifica c’è un altro minore, la bambina russa Anastasia Radzinskaya che a sei anni ha guadagnato 18,5 milioni di dollari.
Molti sono anche i baby influencer famosi in Italia, come Amelia, con il suo profilo social è Ameli TVIT, con 3,75 milioni di follower. Un fenomeno che non accenna a fermarsi e per cui le leggi però sembrano restare indietro.
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In Francia una nuova legge per la protezione dei minorenni sui social media
Tanto che ha fatto parlare di sé la legge sui baby influencer di recente approvata in Francia, a detta di molti pionieristica. La norma francese parla espressamente di minori e social media regolamentando le attività lavorative delle baby celebrità minori di 16 anni contro lo sfruttamento e, in merito ai guadagni, obbligando che vengano versati su un conto corrente intestato a loro e non utilizzabile fino al raggiungimento del 16esimo anno di età. Anche le aziende devono ora ricevere autorizzazioni prima di siglare contratti coi minori, i quali, sempre secondo la legge, vedono riconosciuto il diritto all’oblio.
In Italia, per contro, tutto quello che c’è allo stato attuale è una proposta di legge ferma al gennaio 2020 sullo sfruttamento dell’immagine dei minori, che però si riferisce soltanto alla regolamentazione dei concorsi di bellezza.