I bambini spaccapietre: l’infanzia negata in Benin

È arrivato in libreria "I bambini spaccapietre. L'infanzia negata in Benin" (Aut Aut Edizioni), il libro-denuncia dalla nostra collaboratrice Felicia Buonomo. Un testo che racconta lo sfruttamento del lavoro minorile nell'industria edilizia da parte delle multinazionali

Li chiamano concasseurs, letteralmente i bambini spaccapietre. Una realtà diffusa nella zona collinare di Dassa, in Benin, paese dell’Africa occidentale che fu uno dei principali empori per la tratta degli schiavi. È di questo che ci parla “I bambini spaccapietre. L’infanzia negata in Benin”, libro edito da Aut Aut Edizioni e firmato dalla nostra Felicia Buonomo.

Un libro-reportage, scritto sotto forma diaristica, che narra dello sfruttamento del lavoro minorile nell’industria edilizia in Benin, nato da un progetto di video-reportage che Buonomo ha realizzato nell’ex colonia francese e andato in onda sul magazine esteri del Tg3.

Con l’incontro con Aut Aut Edizioni, casa editrice specializzata in giornalismo narrativo e narrativa socio-civica, è nata la pubblicazione: 98 pagine in cui la giornalista accompagna il lettore nella nuova schiavitù beninese, che ha il volto di centinaia di bambini costretti a spaccare pietre per dieci ore al giorno.

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La copertina de “I bambini spaccapietre. L’infanzia negata in Benin” di Felicia Buonomo (Aut Aut Edizioni)

Pubblichiamo, in esclusiva, per gentile concessione della casa editrice, un estratto del capitolo «Il porto della vita».

Li chiamano concasseurs, sono i bambini spaccapietre. Vivono per lo più nella zona collinare di Dassa. Lo scenario di questa parte del paese è abissalmente differente rispetto alla ricca Cotonou. L’architettura sparisce, per fare spazio a baracche di pietra, o legno, ricoperte di paglia, erba arsa dal sole, sabbia ovunque e imponenti montagne di pietra a ogni angolo di orizzonte visivo, la reale risorsa di quella zona […] Le pietre sono destinate all’industria edilizia, che le utilizzerà per produrre il cemento armato, quello che servirà a costruire le nostre case.

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Sono in particolare le multinazionali a utilizzare questa giovane manodopera inconsapevole. Le più radicate sembrano essere le società cinesi, multinazionali del cemento armato, che si insediano nel continente africano per portare avanti il loro business.

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Ariane, 6 anni, ex spaccapietre, oggi nel programma di scolarizzazione messo in campo dalle ong – Foto: @ Felicia Buonomo

I bambini non hanno un vero salario. Sono educati a spaccare pietre, perché quello è l’unico modo per guadagnarsi il cibo. Il sostentamento delle famiglie di Dassa è legato alla quantità di pietre che si riescono a vendere all’industria edilizia. Ogni barile di pietre sminuzzate dai bambini spaccapietre viene pagato dai 1000 ai 1500 franchi, una cifra compresa tra 1 euro e mezzo e i 2 euro e mezzo. Dieci ore di lavoro al giorno per assicurarsi un pasto quotidiano, fatto per lo più di farina di riso, amalgamata con acqua.

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La silhouette di un bambino spaccapietre con il martello in mano – Foto: @ Felicia Buonomo

Avvicinarsi a quelle distese di bambini-lavoratori significa ascoltare il battito incessante dei loro martelli sulle pietre. Ma se essere bambini-lavoratori è una condizione esistenziale inconsapevole, la stanchezza è tangibile. Quella non può essere ignorata. «Je suis très fatigué» (sono molto stanco), sono le parole di quella drammatica colonna sonora. 

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