Colombia sempre più pericolosa per i difensori dei diritti umani
L'omicidio di Jorge Luis Solano Vega conferma quanto la Colombia sia pericolosa per difensori dei diritti umani e leader comunitari. Donne e popoli indigeni sono i più vulnerabili. E ora alzano la voce anche l'Alto commissario Onu Michelle Bachelet e la Commissione interamericana: la popolazione va difesa
Jorge Luis Solano Vega è solo uno degli ultimi difensori dei diritti umani uccisi in Colombia. Dei sicari lo hanno assassinato in pieno giorno, a casa sua, ad Ocaña, il 3 novembre, in una delle zone più violente del Paese, nel Norte de Santander.
La sua morte si aggiunge a una scia di sangue che in Colombia assume ormai le dimensioni un vero e proprio fiume di violenza, che esonda e trascina con sé chiunque alzi la voce per difendere i diritti civili e sociali, le vittime del conflitto e la natura. Sono ben 290 in questo 2020 i casi di leader social e difensori dei diritti umani giustiziati nel paese sudamericano, come denunciato alcuni giorni fa anche da Indepaz.
290 líderes y defensores de DDHH asesinados en el 2020 https://t.co/aHZNYbudKQ
— 🇮 🇳 🇩 🇪 🇵 🇦 🇿 (@Indepaz) December 11, 2020
Difensori dei diritti umani in Colombia: chi era Jorge Luis Solano Vega
Solano era un difensore dei diritti umani colombiano molto conosciuto nella sua cittadina (Ocaña) e impegnato da anni a combattere gli abusi e la corruzione. Proprio la mattina dell’omicidio aveva denunciato attività illecite nell’ospedale cittadino, l’Hospital Emiro Quintero Cañizares, e nei giorni precedenti alla tragedia aveva mosso accuse anche ad alcuni funzionari del comune.
Un uomo integro, che si spendeva su più fronti: faceva parte di Redepaz (retedipace) era dirigente di Tierra y Vida (terra e vita) e membro della Mesa Territorial de Víctimas de Ocaña (Tavola territoriale delle vittime di Ocaña).
Nonostante le misure di protezione che gli erano state concesse dalle autorità, il presunto assassino John Fredy Espinosa Álvarez, catturato l’11 novembre, ha raggiunto Jorge Solano in pieno giorno a casa sua. Ha bussato alla porta e, quando Jorge ha aperto, gli ha sparato senza lasciargli scampo.
Una vera e propria esecuzione, un monito della criminalità che punisce con la morte chiunque non ceda di fronte alle continue violazioni dei diritti umani che hanno trasformato la Colombia in un dantesco girone dell’inferno.
Michelle Bachelet denuncia la situazione attuale della Colombia
Il caso di Jorge Solano non è un fatto isolato. Decine sono infatti i difensori dei diritti umani e i leader sociali le cui vite sono state spezzate negli ultimi mesi. La situazione è stata sottolineata il 15 di dicembre anche da Michelle Bachelet, l’Alto commissario della Nazioni Unite per i Diritti Umani che ha condannato la mancanza di protezione da parte dello Stato colombiano, guidato da Ivan Duque, nei confronti dei leader comunitari e dei difensori dei diritti umani e l’abbandono di ampie zone del paese in mano a bande armate, guerriglie e narcotrafficanti.
«Chiedo alle autorità colombiane di adottare misure più forti e molto più efficaci per proteggere la popolazione da questa orrenda violenza. È dovere dello Stato essere presente in tutto il paese, attuando un’ampia gamma di politiche pubbliche globali, non solo con misure drastiche contro i responsabili delle violenze, ma anche fornendo servizi di base e salvaguardando i diritti fondamentali della popolazione», ha dichiarato la Bachelet.
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Colombia pericolosa per i difensori dei diritti umani: la posizione della Commissione interamericana
La Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh) aveva già espresso con un comunicato stampa, forti preoccupazioni sullo stato delle cose in Colombia. Si legge nel comunicato:
«Durante i primi sei mesi dell’anno, la CIDH ha continuato a ricevere informazioni preoccupanti su un numero elevato di omicidi di difensori dei diritti umani e leader sociali in Colombia. Secondo l’Ufficio dell’Alto Commissionato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OACNUDH), in Colombia tra il 1 ° gennaio e il 30 giugno 2020 sono stati registrati 45 omicidi di persone impegnate nella difesa dei diritti umani nel territorio e altri 36 casi sono in corso di verifica. Da parte sua, lo Stato ha registrato l’assassinio di 37 difensori durante la prima metà di quest’anno. La Commissione rileva che il numero di omicidi registrati dalle organizzazioni della società civile in Colombia potrebbe essere superiore».
Come si legge nel comunicato però, la stessa Cidh fa cenno al fatto che molte organizzazioni della società civile dispongono di altri dati e parlano di cifre molto superiori.
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Donne e popoli indigeni i più vulnerabili
Nel 2019, l’ong irlandese Front Line Defenders ha registrato 106 uccisioni di difensori dei diritti umani in Colombia. Nel report, pubblicato l’11 gennaio di quest’anno, ci si rende presto conto della drammaticità e della dimensione del problema: più di un terzo delle 306 uccisioni di difensori dei diritti umani nel mondo è avvenuto in questo paese dell’America Latina.
E anche nel report 2018, anno in cui si celebravano i 70 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il paese sudamericano guidava questa drammatica classifica con 109 uccisioni.
Le donne e i popoli indigeni risultano i più vulnerabili agli attacchi di chi vuole silenziare la voce dei giusti. E proprio per riconoscere, premiare e divulgare il grande lavoro svolto dai difensori dei diritti umani in Colombia, l’ong irlandese ha premiato la Guardia Indigena del Cauca con il premio Front Line Defenders per le Americhe 2020. Si tratta di un collettivo comunitario, nato nella regione del Cauca, che vigila per la protezione delle comunità indigene e per il rispetto dei diritti umani, sia collettivi sia individuali.
Andrew Anderson, direttore della ong irlandese, in un’intervista ha sottolineato che «la Guardia rappresenta un modello unico di protezione collettiva in uno dei luoghi più pericolosi al mondo per difendere i diritti umani. Durante gli anni del conflitto armato, la Guardia ha offerto una difesa pacifica e disarmata della sua comunità, delle sue tradizioni, della sua cultura, del suo modo di vivere e della Madre Terra».
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Quasi mile morti dagli Accordi di pace a luglio 2020
Le organizzazioni della società civile sono molto attive in Colombia nella denuncia delle violazioni dei diritti umani e da anni continuano in una lotta di sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale rispetto a questo massacro.
L’Indepaz, l’Istituto di studio per lo sviluppo e la Pace, con sede nella capitale del paese Bogotà, denuncia da anni i delitti perpetrati ai danni della popolazione civile e soprattutto le uccisioni di leader sociali, indigeni e difensori dei diritti umani.
L’ultima denuncia è del 12 dicembre, quando l’istituto ha riportato l’ennesimo omicidio, ai danni questa volta di Elizabeth Betancur, formatrice della Rete Nazionale delle Donne comunitarie, sezione Yolombo, Antioquia.
Prendendo come punto di partenza lo spartiacque del 24 ottobre 2016, giorno in cui furono firmati gli accordi di Pace tra Stato colombiano e le Forze armate aivoluzionarie della Colombia (Farc), e arrivando fino al 15 di luglio 2020, Indepaz offre un quadro terribile della situazione. Quasi mille sono i leader delle comunità indigene, agricole, afrodiscendenti, di collettivi ambientalisti e femministi che sono stati uccisi in questo spazio di tempo che storicamente viene indicato come post-conflitto.
A questo si aggiunge la situazione degli ex combattenti delle Farc, che hanno manifestato proprio a inizio novembre a Bogotà denunciando che dalla firma degli accordi e dal disarmo delle FARC, anche se ad oggi esistono dei gruppi di dissidenti che hanno ripreso le armi, sono stati assassinati 236 ex integranti del gruppo guerrigliero più longevo dell’America Latina.
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La campagna per proteggere Jani Silva
Proprio in questi giorni è attiva una campagna di Amnesty International per chiedere misure cautelative e di protezione per Jani Silva, colombiana, abitante del Putumayo (regione a sud confinante con l’Ecuador) e difensore della natura che lotta contro la depredazione delle risorse naturali in Amazzonia.
Jani è stata più volte pedinata, intimidita da sconosciuti e minacciata di morte e, con le restrizioni relative alla pandemia da Covid-19, l’obbligo di stare in casa la rende ancora di più un facile bersaglio.