«Mio padre, editore detenuto in Cina»

Intervista ad Angela Gui, figlia dello scrittore ed editore cino-svedese Gui Minhai

Ad Angela Gui deve mancare moltissimo lo scambio di sorrisi e battute complici con suo padre. E forse è proprio in questo profondo legame d’amicizia, oltre che tra figlia e genitore, che si spiega la sua battaglia per la liberazione di Gui Minhai. Lo scrittore ed editore nato in Cina, trasferitosi a Goteborg nel 1988 e naturalizzato svedese l’anno successivo, è detenuto da 565 giorni nella Repubblica Popolare Cinese con accuse non provate e senza un’assistenza legale.

Proprio oggi l’uomo compie 53 anni e questa sera Angela sarà al Festival dei diritti umani di Milano per promuovere la campagna Free Gui Minhai. In una lunga intervista a Osservatorio Diritti, Angela parla della sua battaglia: «Faccio quasi tutto da sola, ma ho l’aiuto e il sostegno delle organizzazioni Pen International, Human Rights Watch, International Publishers Association e Open Society Foundation, alle quali sono immensamente grata».

Gui Minhai ai tempi dell’università a Pechino (l’ultimo a destra)

Il caso Gui Minhai

Ricostruire quanto accaduto a suo padre, chiarire ambiguità e incongruenze, non  è semplice. Il “caso Gui Minhai”, infatti, sembra un giallo internazionale. Angela, ventenne cresciuta in Svezia e studentessa di Storia in Gran Bretagna, parte dalle proprie attese: «Spero che la diplomazia e alcuni ingranaggi della società civile riescano tutti insieme a far pressione sulla Cina affinché mio padre sia liberato o, almeno, si ottengano più informazioni su di lui, un trattamento migliore e una rappresentanza legale».

Gui Minhai è sparito il 17 ottobre 2015 dal suo appartamento di Pattaya, in Thailandia, dove era solito trascorrere le vacanze. Ma solo tre mesi dopo, nel gennaio 2016, le autorità cinesi hanno ammesso di averlo arrestato, diffondendo un video sulla tv di Stato Cctv, in cui Gui Minhai confessava di aver causato un incidente mortale in Cina nel 2003 e di essersi consegnato volontariamente. Da allora ripete questa versione dei fatti anche ai diplomatici svedesi che gli fanno visita, ma Angela e varie organizzazioni umanitarie ritengono che stia mentendo sotto costrizione.

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Altri quattro suoi colleghi sono stati imprigionati nel 2015 e poi rilasciati. Non c’entravano col presunto incidente, ma uno di loro – l’amico Lee Bo – ha detto che dopo aver fondato insieme nel 2012 a Hong Kong la casa editrice Mighty Current Media e la libreria Causeway Bay Books, avevano distribuito “illegalmente” in Cina delle pubblicazioni bandite. Si tratterebbe di libri scandalistici e investigativi sulla leadership cinese, da ultimo sul presidente Xi Jinping. Il mistero, così, si infittisce. Forse Lee Bo, che ha rinunciato al passaporto britannico, è stato obbligato a discreditare Gui Minhai sotto la minaccia di ripercussioni sui parenti che vivono in territorio cinese.

Un’analisi del quotidiano britannico The Guardian colloca la detenzione di Gui Minhai in un contesto asiatico in grande mutamento. Un anno prima della sua sparizione, il presidente cinese Xi Jinping aveva lanciato l’operazione Fox Hunt, ufficialmente nota come Sky Net, per rimpatriare centinaia di cinesi accusati da Pechino di corruzione e spionaggio. Nel 2016, 1.032 fuggitivi sarebbero stati dunque arrestati e rimpatriati da 70 paesi. Tra questi la Thailandia, la cui giunta militare appare sempre più vicina al governo cinese. Secondo Human Rights Watch i rimpatri forzati sarebbero stati applicati anche a dissidenti, attivisti per i diritti umani e filo-democratici.

Nel ventesimo anniversario del passaggio della sovranità di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina, alcuni osservatori temono la fine del principio “Un paese, due sistemi”, che dovrebbe continuare a garantire all’ex colonia britannica le libertà democratiche. Nel suo ultimo rapporto, Reporter senza frontiere (Rsf) parla di erosione dell’indipendenza mediatica ad Hong Kong, dal 1997 prima regione amministrativa speciale cinese.

Pechino vorrebbe rafforzare il suo controllo sul paese in senso autoritario. Tanto che Rsf ha definito Xi Jinping un «predatore della libertà di stampa». «Fra il 2015 e il 2016 molti giornalisti, blogger, attivisti, anche stranieri, sono stati arrestati e indotti a confessioni forzate, in violazione del diritto fondamentale a un processo equo», denuncia Reporter senza frontiere. Angela commenta così: «Personalmente non ho dati sui prigionieri politici in Cina, ma fra loro ci sono sempre più avvocati che si occupano di casi politicamente sensibili».

Angela Gui

Angela Gui, quando è stata l’ultima volta che ha avuto notizie di suo padre?

Lo scorso settembre dei funzionari del consolato svedese lo hanno potuto vedere per la seconda volta. Il primo incontro era avvenuto nel febbraio 2016. Entrambe le visite sono state molto brevi. Mio padre ha detto che non voleva e non aveva bisogno di alcuna assistenza consolare e di alcuna rappresentanza legale. Io penso che sia stato costretto a fare queste affermazioni e che, quindi, non debbano essere considerate affidabili.

Una volta ricomparso in un video della televisione di Stato cinese CCTV, Gui Minhai ha dichiarato di aver ucciso una ventenne in un incidente d’auto nel 2003, vicino alla sua città natale Ningbo, e di essere tornato in Cina per scontare la sua pena. Suo padre le ha mai parlato di un evento simile?

No. Ho saputo che era accusato di questo incidente solamente dopo che è stata confermata la sua detenzione in Cina. Certamente è possibile che l’incidente sia avvenuto e che io non ne fossi a conoscenza. Tuttavia, ci sono varie incongruenze nell’accusa che non sono ancora state chiarite, come il fatto che hanno sbagliato a scrivere il suo nome e la sua data di nascita. Comunque, anche se l’incidente fosse reale, non si potrebbero giustificare una sparizione extraterritoriale forzata e una detenzione arbitraria.

Lee Bo, uno dei quattro colleghi di suo padre arrestati in Cina e poi rilasciati, ha ammesso che dei libri pubblicati dalla loro casa editrice con sede a Hong Kong, la Mighty Current Media, sono stati distribuiti “illegalmente” in Cina, anche se non autorizzati. Ha aggiunto, inoltre, che i libri di suo padre sui politici cinesi, tra cui il presidente Xi Jinping, erano pieni di congetture. Come valuta queste accuse?

È probabile che i colleghi di mio padre, dopo essere tornati a Hong Kong, siano stati costretti a dire queste cose pubblicamente. Molti di loro hanno dei familiari in Cina che avrebbero potuto subire delle conseguenze qualora non si fossero comportati come era stato loro indicato. L’unico che non ha parenti in Cina, Lam-Wing kee, ha spiegato nei dettagli che gli è stato fatto leggere un testo davanti a una videocamera durante la prigionia.

La Mighty Current Media continua a pubblicare libri?

No. E’ stata chiusa, come anche la libreria Causeway Bay Books. Alla Mighty lavoravano solamente mio padre, Lee Bo, Lui Por e Cheung Ji-ping. Era una casa editrice piccola e familiare. Erano tutti buoni amici, soprattutto mio padre e Lee Bo.

Secondo lei perché suo padre sarebbe così pericoloso per Pechino da farlo rapire e arrestare?

La casa editrice e la libreria di mio padre a Hong Kong erano specializzate in un genere di libri ufficialmente banditi in Cina perché “politicamente sensibili”, anche se diversi fra loro. Causeway vendeva titoli che andavano dal giornalismo investigativo a pubblicazioni più vagamente scandalistiche. Hanno esercitato un ruolo importante nella società di Hong Kong come disseminatori popolari di conoscenza politica critica.

Ci parli di questo ruolo. Suo padre è stato anche membro di Pen, l’organizzazione nata a Londra che dal 1921 riunisce scrittori di fama internazionale per difendere la libertà d’espressione.

La critica e l’informazione sono due componenti importanti di una società democratica funzionante. La Cina non ha ciò. La critica, persino se considerata gossip, partecipa alla consolidazione della legittimità di un leader. Pubblicare libri sulle vite private dei politici, per esempio, fa riflettere sulla loro idoneità come leader. È chiaro che questi libri abbiano scosso la leadership cinese. So che molte librerie e molti editori a Hong Kong stanno praticando l’auto-censura, togliendo alcuni libri dagli scaffali o decidendo di non stampare materiale “sensibile”.

Dopo vent’anni dal ritorno di Hong Kong sotto il controllo cinese, pensa che libertà e diritti umani siano sempre più in pericolo nell’ex colonia britannica?

Credo che i diritti e le libertà garantite a Hong Kong dalla dichiarazione congiunta sino-britannica si stiano sgretolando negli ultimi anni. Nel 1997 è stato sancito il principio “Un Paese, Due Sistemi” affinché gli abitanti di Hong Kong potessero continuare a godere di elezioni democratiche, libertà d’espressione, eccetera. I rapimenti di mio padre e specialmente di Lee Bo, che è stato portato via proprio da Hong Kong, sono emblematici. Dimostrano chiaramente l’imposizione del sistema politico cinese sulle questioni e l’economia di Hong Kong. Un esempio recente: il nuovo capo dell’esecutivo, Carrie Lam, non è stata eletta ma selezionata da Pechino.

Lei sta per iniziare un dottorato in Storia e Filosofia della scienza. Ha molte cose in comune con suo padre?

Lui era uno storico, prima di diventare un editore. Come lui mi piace tantissimo leggere e scrivere. Avendo caratteri molto simili e condividendo lo stesso umorismo, il nostro rapporto era più simile a quello fra due amici, che alla tradizionale relazione padre-figlia.

Ha mai dubitato di lui? Si fa notare che sia stato molto prolifico come autore ed editore: anche questo potrebbe far parte di una strategia per screditarlo o seminare sospetti?

Non so di preciso quanti libri abbia scritto lui stesso (spesso usava pseudonimi, ndr) e quanti ne abbia fatti pubblicare. Quando ero preoccupata per il suo lavoro perché ritenuto politicamente sensibile, lui mi diceva che non stava infrangendo alcuna legge e che come cittadino svedese sarebbe stato al sicuro se non fosse andato in Cina. Mio padre lavorava molto, era il suo stile di vita. Ed aveva anche molto a cuore il tema della libertà d’espressione. I libri sono sempre stati un pezzo importante della sua esistenza. Ha scritto tante poesie e leggeva ogni giorno. Quando la Mighty Current Media acquistò la Causeway Bay Books, mi disse che aveva sempre sognato di gestire una libreria.

E lei cosa sogna? È molto giovane e si definisce sul suo account twitter «un’attivista accidentale». Che cosa vorrebbe fare da grande? Quanto è dura per lei questa situazione?

È molto difficile gestirla. Però mi ha permesso di aprire gli occhi su quanti là fuori si preoccupano di individui nella condizione di mio padre. Dove c’è frustrazione, c’è anche speranza. Ho sempre aspirato a una carriera accademica, ma sento che molte cose sono cambiate nella mia vita da quando ho cominciato a lottare per la liberazione di mio padre. Adesso non so per certo cosa farò, ma spero di poter aiutare chi ha bisogno come lui.

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