La Cina imbavaglia i social network
Uno studio di Citizen Lab analizza la repressione del dissenso su Weibo e WeChat
La censura cinese mette a tacere le conversazioni sui social network. Un recente report pubblicato da Citizen Lab, infatti, ha svelato come la repressione del dissenso messa in piedi da Pechino sia all’opera anche nel sito di microblogging Weibo, un ibrido tra Twitter e Facebook, e sul servizio di messaggistica WeChat. Un intervento non da poco, se si considera che si tratta dei social network più diffusi tra quelli permessi e resi disponibili agli utenti cinesi. Si stima che WeChat da solo conti circa 768 milioni di utenti.
L’istituto canadese Citizen Lab, un’organizzazione che monitora da anni la censura e le violazioni di diritti umani sul web nel paese, ha evidenziato soprattutto centinaia di conversazioni cancellate su Weibo e WeChat legate all’hashtag “709 Crackdown“, letteralmente “giro di vite 709”. Questa espressione è stata utilizzata per riferirsi all’ondata di arresti e sparizioni di avvocati e attivisti per i diritti umani cominciata il 9 luglio 2015 in Cina. In quel periodo la situazione era diventata via via sempre più dibattuta, all’interno del paese quanto all’estero, tanto che alla fine Pechino aveva deciso di imporre il silenzio assoluto, eliminando ogni post, messaggio o commento che faceva riferimento al “709 Crackdown”.
VIETATO PARLARNE
La storia di Xie Yang è forse uno degli esempi più recenti che hanno visto all’opera il bavaglio cinese sui social network. L’avvocato che si occupava della difesa dei diritti civili di molti attivisti perseguitati era stato prelevato dalla polizia cinese il 15 luglio 2015 a Haihua City, nella provincia di Hunan, nel sud del paese. Ebbene, dopo sei mesi di detenzione è stato arrestato con l’accusa di aver messo a rischio la sicurezza nazionale e il 1° febbraio 2017 l’ambasciata britannica aveva pubblicato su Weibo un comunicato stampa ufficiale dell’Unione europea in cui si chiedeva un’inchiesta sulle torture subite da Yang e da altri avvocati arrestati. Il post era visibile a tutti, ma gli utenti non potevano condividerlo né commentarlo.
Secondo i ricercatori di Citizen Lab il sistema che monitora i contenuti proibiti agisce in maniera dinamica sulla base delle notizie e dei movimenti dell’opinione pubblica. La lista nera delle parole vietate si aggiorna continuamente. Senza dimenticare quella delle combinazioni tra un vocabolo e l’altro. Insomma, i messaggi o i post con frasi compiute legate ad avvenimenti d’attualità o a episodi controversi, come le repressioni attuate negli ultimi anni, vengono eliminati senza che l’utente ne venga a conoscenza o gli sia notificato nulla.
Allo stesso tempo, riporta ancora lo studio, il controllo e la censura delle comunicazioni tra gli account su WeCha avviene anche se si utilizza un numero di telefono non cinese. La casa produttrice di WeChat, Tencent, deve la sopravvivenza della piattaforma al mercato interno e per poter operare deve sottostare «alle leggi e regolamenti sul monitoraggio dei contenuti, visto che il mancato controllo può portare a multe e alla revoca della licenza», affermano gli autori della ricerca.
IL “GRANDE FIREWALL” CINESE
Per quanto riguarda le norme, lo scorso novembre l’Assemblea nazionale del popolo ha approvato la legge sulla cybersicurezza, che entrerà in vigore a giugno. Il provvedimento, in teoria, è stato creato per fronteggiare la guerra informatica con gli Stati Uniti e permette alle agenzie di sicurezza di adottare misure restrittive – come blocco dei contenuti, arresto e detenzione – contro organizzazioni o individui sospettati di intraprendere azioni di interferenza o di attacco verso le infrastrutture cinesi.
La norma, oltre che porre particolari restrizioni nei confronti delle aziende occidentali che forniscono servizi e vendono dispositivi informatici, che dovranno ricevere una certificazione governativa, le obbliga a conservare i dati raccolti in Cina, con evidenti rischi per la privacy degli utenti.
Insomma, in Cina internet è un sistema chiuso, praticamente vietato alle aziende straniere. Il “grande Firewall”, con il suo complesso sistema di norme e regolamenti, blocca ogni contenuto o servizio proveniente dall’esterno. Al posto di Google, milioni di cinesi connessi alla rete utilizzano Baidu, con i suoi risultati di ricerca censurati. Ma non solo: ogni servizio, dalle mappe online al blogging e ai pagamenti, è disponibile sugli stessi Weibo e WeChat, con il risultato di mettere sotto un unico grande riflettore la vita quotidiana degli utenti.
Insomma, sono riusciti a fare ciò fanno google e facebook. O a caso avete dimenticato il patriot act?