Carceri a rischio sovraffollamento
La popolazione carceraria sfiora quota 56.500, 4 mila in più rispetto a luglio 2015
La popolazione carceraria in Italia torna a crescere. Sebbene i dati siano lontani da quelli dell’emergenza (oltre 69 mila detenuti), sono i trend degli ultimi anni a spaventare. Le statistiche fornite dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria pubblicate sul sito del ministero della Giustizia e riferite al 30 aprile parlano di una presenza di 56.436 detenuti. Il dato mensile più alto degli ultimi due anni e superiore di circa 4 mila unità rispetto alle 52 mila presenze circa del luglio 2015.
Una tendenza evidenziata in parte già lo scorso anno dall’associazione Antigone che nel suo rapporto annuale denunciava un incremento di circa mille unità. Stavolta, però, la serie storica dei dati è più corposa e non lascia dubbi. Lentamente, gli istituti di pena stanno tornando a essere sovraffollati. «Due anni sono un arco temporale in cui sei legittimato a ritenere che non siamo in presenza di una fluttuazione che possa rientrare il semestre dopo», spiega Alessio Scandurra, di Antigone. «È una tendenza che si consolida, quindi probabilmente qualcosa è cambiato». Dati che ritroveremo anche nel prossimo rapporto dell’associazione che sarà presentato il prossimo 19 maggio.
A crescere in questi mesi è stata anche la capienza regolamentare, ma siamo ancora lontani dal rapporto uno a uno. Gli ultimi dati forniti dall’Amministrazione penitenziaria, infatti, parlano di poco più di 50 mila posti al 30 aprile di quest’anno. Tuttavia, lo stesso Garante nazionale dei detenuti nella sua recente relazione annuale ha sottolineato che bisogna tener conto anche «dell’alto numero di camere o sezioni fuori uso, per inagibilità o per lavori in corso, che alla data del 23 febbraio sono pari al 9,5 per cento». Cioè circa 4.700 posti non disponibili per varie ragioni, sempre al 23 febbraio. Allo stato attuale, quindi, nelle carceri italiane potrebbero esserci ben 10 mila detenuti in più rispetto a quella che è la capienza regolamentare.
Diverse le ragioni dell’aumento della popolazione penitenziaria, argomenta Scandurra: «Le misure normative per limitare il sovraffollamento erano tutte strutturali, tranne che per la liberazione anticipata. Per un periodo circoscritto è stata portata a 75 giorni al semestre, poi è tornata a 45 giorni. Questa cosa ha avuto un grosso impatto, per cui la sola fine di questa misura probabilmente ha fatto una prima differenza».
I dati in crescita, però, suggeriscono anche un’altra lettura. «C’è un cambio di clima», sostiene Scandurra. «Ai tempi del grande sovraffollamento, gli ingressi cominciarono a calare prima di qualunque intervento normativo, probabilmente perché le forze dell’ordine in alcuni casi avevano ricevuto indicazioni. Da questo punto di vista il clima è cambiato totalmente: da una parte non c’è più la sensazione dell’emergenza e di un sistema al collasso, dall’altra c’è una campagna di allarme sociale che va di pari passo con la campagna elettorale e con le elezioni che si avvicinano. La crescita dei numeri è una conseguenza di questo cambio di clima e neanche l’unica. Penso agli Stati generali, dove sono venute fuori tante idee e tanti temi e tutto questo non è stato tradotto in niente proprio perché c’è un cambio di clima politico».
Per Scandurra, «il trend è chiaro», nonostante sia qualcosa a cui «siamo abituati». «Negli ultimi anni avevamo avuto un’inversione per un periodo breve ed eccezionale», spiega. «Tuttavia, è dagli inizi degli anni Novanta che la tendenza è questa. Una volta si facevano gli indulti, ora non se ne fanno più. È un trend che va tenuto d’occhio, ma di cui sono ovvie le conseguenze. Prima o poi la bacinella traboccherà. Bisogna intervenire, altrimenti è solo questione di tempo».
I segnali d’allarme ci sono tutti, ma prima che sia tutto il sistema penitenziario a essere sotto pressione, può volerci del tempo. «Il sovraffollamento, inizialmente, è molto selettivo», specifica Scandurra. «Come un’ondata di piena, anzitutto va a sbattere massicciamente sui circondariali metropolitani. Poi ci si sposta sugli istituti che ci stanno attorno e prima che arrivi a San Gimignano o altrove forse servono anni. Abbiamo un dato nazionale medio che magari non è tanto allarmante, però, se vai vedere nel dettaglio le cose cambiano. Oggi le carceri più affollate sono in Lombardia: Como, Busto Arsizio, Brescia. Probabilmente perché sono territori dove si arresta tanto. Prima o poi inizieranno con i trasferimenti verso il Trentino o verso la Sardegna».
Il rischio di un nuovo caso Torreggiani, intanto, è davvero remoto. «Ora è tutto diverso», sostiene Scandurra. «Girando tra gli istituti abbiamo visto che ce ne sono alcuni dove ci sono detenuti che vivono in meno di 3 metri quadrati, solo che allora quei detenuti potevano fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, oggi hanno un rimedio interno: devono far ricorso al magistrato di sorveglianza e questi ricorsi stanno andando a rilento. Finiscono in maniera un po’ confusa. Se si dovesse acclarare che il rimedio non funziona, la Corte può di nuovo pronunciarsi sull’argomento. Ma servirà tempo. Non sarà la Corte europea dei diritti dell’uomo a toglierci le castagne dal fuoco a breve».
Mettere mano ai trend e cercare di ottenere una loro inversione, tuttavia, non è semplice, soprattutto in un periodo in cui la politica si prepara alle imminenti elezioni. «La ricetta principale è sempre la depenalizzazione, ma è difficile dal punto di vista elettorale», dice ancora Scandurra.
Oltre alla questione delle pene alternative, poi, c’è anche quella della legge sulle droghe, dove «ulteriori interventi in materia avrebbero un impatto enorme sul penale e sul penitenziario perché la legge sulle droghe è il grande motore della carcerizzazione». Tuttavia, conclude Scandurra, oggi c’è bisogno soprattutto di una presa di coscienza sul ruolo delle misure detentive. «In tanti hanno l’idea che la pena sia il carcere – spiega -. La Costituzione e la legislazione dicono cose diverse, ma la cultura diffusa dice ancora che se non è carcere non è pena».