Rohingya birmani in fuga dal Myanmar
I Rohingya birmani fuggono dal Myanmar dopo l'intervento dei militari del 25 agosto. Circa 90 mila cittadini di questa minoranza musulmana hanno già attraversato il confine col Bangladesh. E molti altri sono pronti a farlo. Nel paese guidato dalla Nobel Aung San Suu Kyi, un milione di musulmani è discriminato e vede annullati i diritti umani
Lasciano case e terre. E scappano. Sono circa 90.000, secondo le Nazioni Unite, i Rohingya birmani che hanno attraversato il confine con il Bangladesh dalla fine di agosto. Scappano dallo stato di Rakhine, nell’Ovest del Myanmar, dove dal 25 agosto scorso sono intervenuti i militari, dopo una serie di attacchi combinati contro diverse centrali di polizia da parte del gruppo ribelle Arakan Rohingya Salvation Army.
Migliaia Rohingya in pericolo: la denuncia di Amnesty
Migliaia di persone si trovano in pericolo di vita nello stato di Rakhine a causa delle restrizioni all’accesso degli aiuti umanitari. La denuncia arriva da Amnesty International che riporta testimonianze di operatori umanitari sul posto.
I Rohingya che si trovano ancora nei loro villaggi non avrebbero accesso al cibo e all’acqua e subirebbero intimidazioni da parte delle autorità. Gli aiuti nel nord di Rakhine sarebbero sospesi da una settimana e anche nelle altre zone dello stato sarebbero state imposte restrizioni da parte del governo birmano.
Human Rights Watch lancia l’allarme incendi
A fine agosto Human Rights Watch ha denunciato, in base alle immagini catturate da un satellite, la presenza di incendi diffusi in almeno 10 aree dello stato di Rakhine, dallo scoppio delle violenze tra militari e ribelli. L’organizzazione internazionale chiede al governo birmano di poter verificare direttamente le cause degli incendi, difficili da definire dalle sole immagini satellitari.
La preoccupazione di Human Right Watch è legata a episodi avvenuti in passato, nel 2012 e nel 2016. In quei casi le abitazioni e le proprietà Rohingya erano state deliberatamente date alle fiamme. Gli episodi riportati dall’organizzazione avevano coinvolto anche le forze armate birmane. Nel 2016, secondo la ong, sarebbero stati almeno 1.500 gli edifici bruciati nei villaggi Rohingya.
Il Myanmar nega diritti umani a minoranza musulmana
Già nel 2012 e nel 2016 migliaia di persone avevano abbandonato le loro case, scappando nei paesi limitrofi. La minoranza musulmana dei Rohingya da anni, infatti, è soggetta a politiche discriminatorie. Nel report 2016 dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) viene analizzata proprio la situazione dei diritti umani delle minoranze in Myanmar. Nel testo vengono denunciati gli allontanamenti forzati della minoranza musulmana Rohingya.
La legge del 1982, ancora oggi in vigore, non riconosce la cittadinanza per i Rohingya. La mancanza dello status di cittadini li priva dei diritti di accesso all’istruzione, alla salute e alla proprietà. Secondo il report dell’Alto Commissariato i Rohingya che hanno subito sfratti non hanno diritto ad accedere ad una nuova casa, alla terra e alla proprietà o a ricevere un’adeguata compensazione.
Nel mese di luglio di quest’anno, prima dello scoppio delle nuove violenze, il commissario generale dell’Unhcr, Filippo Grandi, in visita ufficiale nello stato di Rakhine, aveva sottolineato l’urgenza di garantire la cittadinanza ai Rohingya. Il governo del Myanmar considera il milione di musulmani birmani come immigrati irregolari, anche se molti di loro vivono nello stato di Rakhine da generazioni.
Around 1 million Muslims live without citizenship in Rakhine state. The latest from @RefugeesChief‘s visit: https://t.co/m9moiGFbYW pic.twitter.com/sAprK3vC2a
— UN Refugee Agency (@Refugees) 7 luglio 2017
Rohingya senza terra e cittadinanza in Myanmar
Senza cittadinanza e senza terra. È questa la condizione più diffusa per la minoranza musulmana birmana. Secondo il rapporto del Centro per il diritto alla casa Cohre dal titolo “Sfratti e spoliazioni, migrazioni forzate e diritto alla terra in Myanmar”, nel 2007 meno del 10% degli sfollati, che aveva fatto ritorno dal Bangladesh, aveva accesso alla terra. Secondo lo studio, gran parte delle aree abitate dai Rohingya già negli anni ’90 era stata requisita per insediamenti militari, per la realizzazione di fattorie industriali o per lasciare spazio al business. Nei primi anni 2000 il Myanmar aveva sostenuto anche una serie allontanamenti forzati nel nord dello stato di Rakhine.
Il ruolo dei militari con Aung San Suu Kyi
Il documento dell’Unhcr sottolinea il ruolo dei militari nel sequestro delle terre di diverse minoranze birmane. Il testo parla di confische per realizzare accampamenti, per garantire la produzione di cibo per l’esercito e per creare aree militari invalicabili. Sarebbero state documentate violazioni dei diritti di proprietà e accaparramenti di terre anche dal 2012, durante il governo Thein Sein, per lasciare spazio a interessi privati, fortemente legati all’esercito. Queste pratiche, diffuse in diverse zone del paese, prevedono: l’occupazione al fine di estrazione delle risorse, spostamenti forzati di villaggi per la realizzazione di infrastrutture e la militarizzazione di un territorio per garantirne il controllo.
Secondo il Cohre, a partire dagli anni ’90 i militari hanno mantenuto uno stretto controllo sulle terre. Con l’avvio del processo democratico e la vittoria della Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, nell’aprile 2016, gli interessi sulle terre non sembrano però essere cambiati. Durante la dittatura militare lo stato era l’unico proprietario terriero e la maggioranza dei contadini era solo concessionaria dei campi. Gli accaparramenti di terre avvenivano senza garantire alcuna compensazione.
La presenza militare si è mantenuta importante anche in anni recenti, in particolare nelle aree di confine e di maggiore presenza di gruppi etnici minoritari. Con la caduta del regime le terre accaparrate non sono state restituite e il paese si è aperto ufficialmente agli investimenti stranieri.
La terra: una ricchezza per stranieri

Nel paese asiatico la maggioranza della popolazione, il 70%, è impiegato in agricoltura e possiede piccoli appezzamenti di terra, inferiori ai due ettari. Lo Stato di Rakhine è uno dei più poveri del paese, secondo i dati delle Nazioni Unite, la maggior parte della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Si basa prevalentemente su un’economia agricola, legata in particolare alla produzione di riso. Ciò nonostante, le terre e le risorse naturali rappresentano la ricchezza del paese. A sottolineare le opportunità offerte dal Myanmar è lo stesso sito del governo birmano, nella sezione dedicata agli investimenti esteri. Viene evidenziato l’alto potenziale delle sue risorse naturali e della sua abbondante terra coltivabile.
Il Myanmar ha cominciato il percorso di apertura agli investimenti da alcuni anni. Nel marzo del 2012, infatti, sono state approvate due leggi che, attraverso maggiori tutele alla proprietà privata, hanno favorito l’ingresso di investitori stranieri e locali nel business delle terre. Si tratta della Farmland Law e della Vacant, Fallow and Virgin Lands Management Law. I due testi, invece di garantire l’accesso alla terra per i contadini, hanno puntato sull’assegnazione delle terre considerate vacanti attraverso percorsi poco partecipati, decisi dall’alto. Proprio le terre considerate “vuote” o non sfruttate sono spesso le più soggette a fenomeni di accaparramento. Vengono, infatti, destinante a investitori che si propongono di valorizzarle, attraverso la produzione agricola o la realizzazione di altre attività economiche.
Più recentemente, nel gennaio del 2016, il Parlamento ha approvato una nuova legge nazionale per l’uso della terra, che dovrebbe assicurare un equo accesso ai contadini e agli sfollati. Nel mese di maggio dello stesso anno, il governo guidato dalla Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi ha nominato un Comitato che si propone di trovare soluzioni alle confische e agli sfratti avvenuti negli anni.
Campi da coltivare, alberi da tagliare
Non ci sono numeri certi sui casi di accaparramento delle terre nel paese. Secondo la Land Portal Foundation, che raccoglie informazioni sulla gestione delle terre, nel 2012 un comitato parlamentare sui conflitti terrieri avrebbe ricevuto 17.000 segnalazioni. La fondazione segnala anche l’esistenza di dispute nelle aree in cui sono stati realizzati grandi progetti di infrastrutture come miniere e dighe.
Secondo le stime riportate da Land Portal, almeno il 20% della terra birmana sarebbe destinata alle concessioni e 5 milioni di ettari sarebbero dedicati alle joint ventures tra imprese birmane e straniere. Secondo l’ong Forest Trends tra il 2010 e il 2013 le terre destinate a grandi piantagioni commerciali sono aumentate del 170%.
I dati riportati nel report “L’espansione dell’agricoltura commerciale in Myanmar” parlano di 800 compagnie a cui sarebbero stati concessi 300.000 ettari di foresta per iniziare una produzione agricola industriale. La maggior parte di queste terre sono state utilizzate esclusivamente per il taglio del legname e solo una minoranza sono diventate piantagioni. Le politiche di concessione hanno favorito la produzione di olio di palma e di biocarburanti, oltre a puntare sul taglio degli alberi.
Gli episodi di land grabbing e di sfratti forzati hanno interessato diverse zone del paese. Nel novembre del 2016 Human Right Watch aveva denunciato violenze nei confronti dei contadini che non volevano lasciare i loro villaggi. L’organizzazione internazionale aveva raccolto testimonianze di abusi e arresti arbitrari da parte della polizia e di ufficiali governativi nei confronti dei contadini di etnia Karen. Molti di loro si erano visti confiscare le terre che coltivavano da generazioni.
Zone ad economia speciale: Rohingya sfrattati
Dal 2015 nel paese esistono tre aree economiche speciali, una delle quali si trova proprio nello stato di Rakhine, in cui si concentrano le violenze contro i Rohingya. Si tratta di zone in cui la produzione è destinata principalmente all’esportazione e in cui si prevede lo sviluppo di attività manifatturiere, di trasporto e di aree residenziali.
I benefici per gli investitori, che vengono elencati sul sito del governo birmano sono: l’esenzione dalle tasse per i primi 7 anni e poi il pagamento del 50% per i 5 anni a venire, oltre ad altre facilitazioni fiscali per l’importazione delle materie prime e per il commercio dei prodotti. Dai dati governativi emerge come la maggior parte degli investimenti esteri arrivino da Cina, Singapore e Thailandia.
Nel 2015 l’allora governo guidato da Thein Sein (dal marzo 2011 al marzo 2016) ha concesso quasi 2000 ettari per la realizzazione della Kyauk Phyu Special Economic Zone, nello stato di Rakhine. Nell’aera dovrebbero sorgere una zona industriale e una residenziale, oltre a due porti. Il piano del governo prevedeva anche un’area agricola e una zona dedicata al turismo. La zona interessata dal progetto fino al 2012 era abitata in prevalenza dalla minoranza musulmana dei Rohingya, costretti a fuggire a causa delle violenze di quell’anno. Nel medesimo stato di Rakhine le aree potenziali di sviluppo agricolo industriale individuate tra il 2010 e il 2013 ammontavano a più di 500.000 ettari.
Nel febbraio 2017, infine, la Commissione Internazionale dei Giuristi, composta da 60 giudici e avvocati internazionali, ha pubblicato un rapporto che analizza i rischi e le violazioni di diritti umani nelle zone a economia speciale del Myanmar. Lo studio si concentra proprio su Kyauk Phyu, nello stato di Rakhine, e documenta gli sfratti avvenuti nel 2014 in relazione alla costruzione di alcune infrastrutture secondarie. Il documento esamina anche gli allontanamenti forzati durante il periodo di realizzazione effettiva della zona economica speciale, fino al dicembre 2016. L’analisi riporta la scarsa trasparenza nel processo di notifica dell’acquisizione delle terre da parte dello stato, la mancanza di consultazioni e di compensazioni in grado di assicurare un adeguato standard di vita.