
Violenza sulle donne con disabilità: quasi un reato e mezzo al giorno
I dati del ministero dell'Interno svelano una realtà drammatica: ogni giorno più di una donna con disabilità è vittima di violenza in Italia. Una realtà lontana dai riflettori, ma che fa ogni anno centinaia di vittime
«I dati pubblicati nel novembre 2024 dalla direzione centrale della polizia criminale restituiscono un quadro drammatico e profondamente inquietante della violenza contro le donne con disabilità. Con 540 reati registrati in un solo anno, emerge chiaramente come il rischio sia ancora troppo spesso ignorato. Il dato più allarmante riguarda i maltrattamenti in ambito domestico, che rappresentano quasi due terzi dei casi. Ma sappiamo che questa è solo la punta dell’iceberg. Il silenzio forzato delle donne, la mancanza di accessibilità nei servizi, la paura di non essere credute e la scarsa formazione del personale continuano ad alimentare questa emergenza. Non possiamo più voltare lo sguardo dall’altra parte. Questi numeri non sono statistiche astratte: raccontano storie vere, drammatiche, di donne subiscono in silenzio».
A denunciarlo è Silvia Cutrera, attivista e coordinatrice del gruppo donne Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che con queste parole sintetizza con lucidità e forza l’allarme contenuto nel report pubblicato dal ministero dell’Interno “Il pregiudizio e la violenza contro le donne“.
I dati rivelano 540 “reati spia” contro donne con disabilità registrati tra il 1° ottobre 2023 e il 30 settembre 2024, con un aumento del 66% rispetto all’anno precedente.
Un incremento che racconta sia un miglioramento nella capacità di rilevazione, sia l’aggravarsi di un fenomeno strutturale e ancora largamente sommerso.
«È tempo che società, istituzioni e media si assumano la responsabilità di agire con urgenza per prevenire, proteggere e restituire voce e dignità a chi è stata zittita troppo a lungo», dice ancora Cutrera.
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Violenza e disabilità: cosa avviene tra le mura di casa
Quasi due terzi dei casi rilevati riguardano maltrattamenti in ambito domestico e familiare. A questi si aggiungono episodi di violenza sessuale e atti persecutori, spesso consumati in contesti che dovrebbero essere luoghi di tutela: famiglie, centri diurni, comunità.
La violenza, nel caso delle donne con disabilità, assume connotazioni specifiche: può essere psicologica, fisica, sessuale, ma anche economica, medica o ambientale. Può manifestarsi attraverso l’abuso di potere, l’isolamento, la manipolazione, il controllo dei farmaci o la negazione dell’autonomia. Spesso, chi abusa è anche chi assiste.
Non di rado, le violenze sono sistematiche: si ripetono nel tempo, non vengono riconosciute come tali, oppure vengono normalizzate all’interno di relazioni asimmetriche dove la persona con disabilità è percepita come incapace di autodeterminarsi. È questo che rende la violenza doppiamente insidiosa: non sempre è gridata, ma spesso è silenziata da chi ha il controllo.
Violenza sulle donne con disabilità: urge una risposta politica e collettiva
Proprio per accendere i riflettori su questa forma di violenza, Cutrera ha preso parte al Gruppo di lavoro interministeriale voluto dalle ministre per la disabilità e per la famiglia, con il contributo di Fish e altre organizzazioni. Il gruppo ha elaborato un documento strategico inviato all’Osservatorio nazionale sulla violenza di genere, con indicazioni concrete per migliorare accessibilità, comunicazione, standard dei Centri antiviolenza e formazione del personale.
Queste proposte rappresentano un primo passo per costruire un modello inclusivo, che riconosca alle donne con disabilità pari diritto alla protezione, alla giustizia e alla possibilità di ricostruire una vita libera dalla violenza.
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Un impegno che nasce dall’ascolto
«Ho iniziato il mio impegno sul tema dopo aver conosciuto Emanuela», racconta Silvia Cutrera, indicando questo video come punto di svolta personale. «Ascoltare il racconto di una donna con disabilità vittima di violenza mi ha costretto a guardare in faccia una realtà di cui anche nel nostro mondo si parla troppo poco. Da lì è iniziato un lavoro collettivo, che è prima di tutto ascolto e restituzione della voce a chi l’ha persa».
È proprio da queste storie che parte il lavoro di advocacy e sensibilizzazione. È lì, nella narrazione restituita senza pietismo, con rispetto, che ha si è cercato di costruire una consapevolezza sociale capace di superare stereotipi e negazioni.
Oltre i dati sulla violenza contro le donne con disabilità: i racconti delle vittime
Accanto alla testimonianza di Emanuela, ci sono centinaia di storie di violenze invisibili. Come quella di Maria (nome di fantasia), 38 anni, con disabilità neuromotoria:
«Diceva che voleva solo aiutarmi, ma decideva chi potevo vedere, quando potevo uscire, cosa potevo dire. A volte mi nascondeva i farmaci. Se provavo a ribellarmi, mi ricordava che senza di lui non ce l’avrei mai fatta. Quando ho trovato il coraggio di lasciarlo, mi hanno detto che dovevo dimostrare che non ero dipendente. Ma io non volevo un badante. Volevo un uomo, un compagno con il quale condividere la vita, non un carceriere».
Donne e con disabilità: doppia discriminazione
Il fenomeno della violenza contro le donne con disabilità resta poco nominato, sotto-rappresentato nei media, nei piani istituzionali, nella formazione degli operatori.
Ma, ricordano le attiviste del gruppo donne Fish, non si può pensare una lotta alla violenza di genere che escluda chi, come le donne con disabilità, vive una doppia discriminazione: per il proprio genere e per la propria condizione di vulnerabilità.