
Myanmar: il terremoto devasta il paese, mentre la guerra continua
Ospedali al collasso, volontari tra le rovine, aiuti bloccati: nel Myanmar sconvolto da un terremoto di magnitudo 7.7, la guerra non si ferma
dal confine Myanmar / Thailandia
Mentre le macerie delle case crollate raccontano il dolore di un Paese spezzato, le bombe continuano a cadere. Il Myanmar si è risvegliato dopo il sisma più devastante degli ultimi anni, ma la guerra civile in corso non ha concesso tregua nemmeno davanti a oltre 2.000 morti e decine di migliaia di sfollati. Si teme che le vittime reali siano molte di più, ma in un contesto di caos, isolamento e censura, i numeri rischiano di restare imprecisi ancora a lungo.
Il terremoto ha colpito venerdì 28 marzo alle 14.42 ora locale, con epicentro nella regione di Sagaing, nel centro del Myanmar. Una scossa di magnitudo 7.7, avvertita fino in Thailandia e nella provincia cinese dello Yunnan, ha messo in ginocchio intere città. Mandalay, la seconda città più grande del Paese, è tra le più colpite. Centinaia di edifici pubblici e privati sono crollati, e molte aree restano ancora isolate.
A complicare la già drammatica situazione, la mancanza di un coordinamento centrale credibile e la prosecuzione dei raid aerei da parte della giunta militare, che controlla il Paese dal colpo di Stato del 2021.
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Terremoto in Myanmar: ospedali al limite, manca tutto
A Mandalay, dove vivono circa 1,5 milioni di persone, in migliaia hanno passato la notte all’aperto, per paura di nuove scosse o perché rimasti senza casa. Gli ospedali sono al collasso. Mancano sangue, anestetici, kit di pronto soccorso, tende, persino l’acqua potabile. Molte strutture sanitarie sono state danneggiate o distrutte.
«Le operazioni di soccorso sono portate avanti quasi esclusivamente da volontari locali, gente del posto che scava a mani nude tra le macerie cercando parenti o vicini di casa», racconta Cara Bragg, responsabile di Catholic Relief Services in Myanmar. «Non c’è accesso a macchinari pesanti e la situazione sanitaria è al limite».
Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), molte delle strade principali risultano impraticabili. I danni alla superstrada Yangon – Naypyidaw – Mandalay hanno isolato vaste aree e interrotto i trasporti. I convogli di aiuti, previsti in arrivo sabato 30 marzo, fanno fatica a raggiungere le zone più colpite.
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Myanmar in guerra, i bombardamenti non si fermano
In un Paese già segnato da anni di guerra civile, anche una tragedia naturale diventa terreno di scontro. E chi cerca solo di sopravvivere, lo fa con la paura costante di un possibile attacco aereo. L’esercito birmano ha continuato a bombardare le aree controllate dai gruppi anti-giunta anche dopo il terremoto. Sabato, un attacco aereo sulla città di Naungcho, nello Stato Shan, ha causato la morte di sette civili. Altri raid sono stati segnalati nella regione di Sagaing e nello Stato Karen, vicino al confine con la Thailandia.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite Tom Andrews ha definito «incredibile e inaccettabile» che l’esercito continui a sganciare bombe mentre la popolazione cerca di salvare i superstiti.
«È un crimine morale. La comunità internazionale deve fare pressione perché la giunta interrompa immediatamente le operazioni militari», ha dichiarato Andrews alla BBC.
Il Governo di Unità Nazionale (NUG), formato da esuli e oppositori della giunta dopo il golpe, ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale di due settimane nelle aree colpite. Ma il regime non ha aderito alla tregua, alimentando il timore che gli aiuti umanitari possano essere usati come strumento di guerra.
Ex Birmania, aiuti umanitari bloccati
In passato i militari hanno bloccato l’accesso degli aiuti alle zone controllate dai ribelli, arrestato operatori umanitari e ostacolato le operazioni di soccorso. «Ci sono camion pieni di medicinali e tende bloccati da posti di blocco militari, mentre le persone muoiono sotto le macerie», ha denunciato Andrews.
Questa prassi rischia di ripetersi. Nelle aree sotto controllo della giunta sono stati autorizzati soccorritori stranieri e aiuti internazionali, ma nelle regioni più colpite – spesso in mano a gruppi anti-giunta – gli interventi sono limitati o del tutto impediti.
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Terremoto, vittime anche nella vicina Thailandia
Il devastante terremoto ha avuto ripercussioni significative anche nella vicina Thailandia, causando vittime e danni strutturali. A Bangkok, distante centinaia di chilometri dall’epicentro, un grattacielo in costruzione di 33 piani destinato a ospitare un ufficio statale è crollato nel distretto di Chatuchak, una zona turistica conosciuta per il suo enorme mercato durante il fine settimana.
Il crollo ha provocato almeno 17 morti e 83 dispersi, per lo più operai edili che lavoravano nel cantiere al momento del sisma. Squadre di soccorso, supportate da unità cinofile e attrezzature per la rilevazione del calore, sono al lavoro per individuare e salvare eventuali superstiti tra le macerie.
La faglia di Sagaing
Il sisma è stato provocato da un movimento lungo la faglia di Sagaing, una frattura sismica che si estende per oltre 1.200 chilometri da nord a sud del Myanmar, passando vicino a città densamente popolate come Mandalay, Naypyidaw e Yangon. È una faglia di tipo trascorrente: le due placche scorrono orizzontalmente in direzioni opposte. Quando il movimento si blocca a causa dell’attrito tra le rocce, l’energia si accumula. E quando si libera, lo fa con violenza.
Secondo i geologi, qui la crosta terrestre si muove di circa 18 millimetri l’anno. Pochi millimetri, ma sufficienti nel tempo a generare eventi catastrofici come quello di questi giorni. Tra il 1930 e il 1956 la stessa zona è stata colpita da almeno sei terremoti sopra magnitudo 7. Non a caso, la faglia di Sagaing è stata definita una «superstrada sismica» lunga, attiva e pericolosamente vicina a grandi centri abitati.
Oggi è sotto osservazione da parte dei sismologi di tutto il mondo, ma in Myanmar l’instabilità politica e le carenze infrastrutturali rendono difficile il controllo e la prevenzione.