Myanmar, quattro anni di guerra civile in un racconto dal fronte
Più di 53 mila morti, 3 milioni di sfollati, scuole e ospedali bombardati: ecco qual è la situazione oggi in Myanmar a quattro anni dall'inizio della guerra civile
da Demoso, Myanmar
Il 1° febbraio del 2021, mentre imperversava la pandemia di Covid-19 e tutto il mondo affrontava le misure preventive del confinamento, un video, tanto singolare quanto drammatico, proveniente dal Myanmar, ex Birmania, inondava la rete e informava l’opinione pubblica internazionale che nel Paese del sudest asiatico era in corso un colpo di stato da parte dell’esercito.
Una tiktoker locale, in una piazza della capitale Naypyidaw, svolgeva degli esercizi di aerobica e ginnastica per i suoi followers, ignara di quanto stava accadendo alle sue spalle, dove decine di mezzi delle forze armate guidate dal generale Min Aung Hlaing bloccavano le vie cittadine e mettevano in atto il putsch che avrebbe deposto il governo democraticamente eletto e messo così fine al lustro di democrazia che il Myanmar, dopo 60 anni di dittatura, aveva appena vissuto.
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Guerra in Myanmar: 53 mila morti, 3 milioni di sfollati
Da quel giorno il Myanmar è stato travolto da un conflitto civile: oltre 53.000 vittime, più di 3 milioni di sfollati, oltre il 75% dei 55 milioni di birmani in condizioni di disagio economico, con 13,3 milioni di individui prossimi alla fame.
Per l’Unicef, più di 5 milioni di minori hanno bisogno di assistenza umanitaria e 7,8 milioni di adolescenti non hanno istruzione. L’economia è al collasso e il tasso di disoccupazione è pari al 40 per cento.
In viaggio con la guerriglia per raccontare il conflitto
Da quando è esploso il conflitto tra le forze della giunta supportate da Cina, India e Russia e quelle della resistenza composte dal People’s Defence Force (Pdf), l’esercito che fa capo al governo di Unità Nazionale attualmente in esilio, e le formazioni ribelli delle minoranze etniche, il Myanmar è divenuto uno dei Paesi più inaccessibili per la stampa internazionale.
Il solo modo per raccontare quanto sta avvenendo è farlo clandestinamente, attraversando la giungla che separa la Thailandia dall’ex colonia britannica.
Ecco il racconto raccolto da Osservatorio Diritti.
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Dal confine Myanmar – Thailandia
Una lancia a motore scivola sulle acque limacciose del fiume Saleween, la navigazione incomincia di notte, poi con le prime luci dell’albeggio l’imbarcazione attracca su una piccola spiaggia e da lì, insieme a una colonna di guerriglieri, si intraprende una marcia di diversi giorni nella giungla tropicale prima di raggiungere Demoso, la città liberata nel novembre del 2023 dalle formazioni rivoluzionarie.
Da quel momento Demoso è diventata la roccaforte dei ribelli nel Kayah State, uno stato a maggioranza cristiana, popolato dall’etnia Karenni e divenuto uno dei centri nevralgici della guerra in corso.
Il generale Maui e i giovani guerriglieri del Kndf
«Il giorno del golpe io avevo un appuntamento di lavoro, mi sono svegliato e internet non andava. Qualcosa di strano stava avvenendo, ma non sapevo cosa. Nessuno era informato. Solo quando sono riuscito a connettermi in un internet point che sfruttava la rete thailandese, ho scoperto che era avvenuto un colpo di Stato. In quel momento è come se fossi precipitato nel vuoto. Ho pensato che ormai tutto era finito».
Con queste parole oggi Maui, generale del Karenni Nationalities Defence Force (Kndf), ricorda quanto accaduto il primo febbraio di quattro anni fa. Maui è uno dei leader militari della rivoluzione birmana, ha solo 31 anni e prima del colpo di Stato era un laureato in geologia con numerosi studi all’estero che aveva dato vita a un eco-villaggio e sviluppava progetti per un’agricoltura sostenibile.
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Guerra in Myanmar: come è cominciata
Oggi, in una base segreta nei pressi di Demoso, col basco in testa, gli anfibi ai piedi e la mimetica indosso, Maui racconta: «All’inizio noi siamo scesi in strada manifestando pacificamente, chiedendo il rispetto del voto e della Costituzione e invitando i militari ad andarsene. Ma alle nostre richieste i soldati hanno risposto sparando, arrestando, torturando e uccidendo. Non abbiamo avuto scelta, se non quella di armarci e dare vita a un gruppo rivoluzionario».
Ad oggi la resistenza amministra più del 50% del territorio birmano e circa l’80% dello stato Karenni è in mano alle forze rivoluzionarie, che però non hanno il controllo del capoluogo Loikaw.
«Noi odiamo uccidere, persino gli insetti. Ma dobbiamo difenderci e dobbiamo vincere. Non abbiamo alternative. Se dovessimo perdere, non augurerei nemmeno al mio peggior nemico l’inferno in cui ci troveremmo».
Guerra in Myanmar: morte di Kyaw Thu
Un giorno diversi pick up e camion trasportavano decine di giovani ragazzi a Loikaw, mentre l’esercito bombardava con l’artiglieria e i droni la città. I quartieri intorno all’Università e l’aeroporto erano caduti e subito occupati dalle forze del regime, con combattimenti casa per casa.
Pasqwar Let, 21 anni, ha preparato il caricatore e sistemato lo zaino, perché la prima linea era ormai prossima. «Ogni volta che vado in battaglia – dice – prego Dio affinché possa dare a mia madre la forza di perdonarmi per il dolore che le provocherei se dovessi morire».
I colpi dei fucili automatici fischiavano tra i campi, poi un’esplosione, i combattenti del Kndf si sono acquattati tra l’erba e i cespugli, poi si sono rialzati per riprendere a sparare.
Dopo pochi minuti un lanciarazzi Grad ha scaricato una sequenza di colpi. Alcuni guerriglieri hanno cercato riparo in un piccolo rifugio, un giovane è stato colpito da una scheggia. Ma il corpo di Kyaw Thu è stato adagiato in un sacco nero. Aveva 20 anni.
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nomi e l’età dei ragazzi caduti, quasi tutti di età compresa tra i 18 e i 25 anni. Foto: © Daniele Bellocchio
L’ospedale clandestino e le vittime civili
Per rendersi conto delle sofferenze che il conflitto sta provocando ai birmani, sia ai giovani che hanno deciso di unirsi alle forze rivoluzionarie sia ai civili, è necessario recarsi all’Ospedale0-1 di Demoso. Il presidio sanitario è stato costruito sulle montagne, in una località nascosta, riparato dalle frasche degli alberi e dai teli che lo nascondono ai ricognitori della giunta.
«L’ospedale in cui ci troviamo è stato costruito in una località segreta, qui, sulle montagne intorno a Demoso, a marzo 2024, perchè l’aviazione della giunta ha bombardato più volte l’ospedale precedente».
Soe Kan Naing è un medico, ha 31 anni, indossa una t-shirt nera e sul braccio destro ha dei tatuaggi che ricordano la sua appartenenza al movimento per la difesa della democrazia sorto in Myanmar dopo il 1° febbraio 2021. Il dottore è originario di Yangon, ma, nel maggio del 2023, ha deciso di lasciare la sua città natale per recarsi nel Kayah State.
«Mi ricordo come fosse ieri il giorno in cui c’è stato il primo bombardamento sull’ospedale precedente, era il novembre del 2023. Io, con gli altri miei colleghi, ero impegnato in sala operatoria, fortunatamente la bomba è caduta in un campo tra la chiesa e l’ospedale e non ci sono state vittime. La seconda volta invece l’ordigno ha colpito il villaggio vicino al nostro ospedale, e una persona è morta, la terza e la quarta volta ci sono stati diversi feriti. Questo nuovo ospedale non è stato ancora interessato dagli attacchi delle forze del regime, ma dobbiamo stare estremamente attenti a non rivelare la nostra posizione».
Guerra in Myanmar oggi: chi sono le vittime
Il giovane dottore spiega: «La maggior parte delle persone che noi assistiamo sono vittime di esplosioni, colpi di artiglieria e mine antiuomo e, nella stragrande maggioranza dei casi, noi dobbiamo amputare gli arti per salvare il paziente».
Sulle brandine sono distesi i pazienti. Un giovane di nome Paing Paing è stato travolto dall’esplosione di un ordigno sganciato da un drone, la gamba sinistra e il braccio destro sono stati amputati, ma ha anche numerose ferite all’addome e al volto. Ci sono donne, uomini, persino bambini nelle capanne di bambù e rafia dell’ospedale: giacciono in silenzio, tra una ragnatela di cannule e garze macchiate di sangue.
I numeri della guerra in Myanmar: bombardati 300 ospedali e 174 scuole
Dal momento che la gran parte della popolazione supporta le forze partigiane, le truppe golpiste attaccano i civili in modo indiscriminato, per soggiogarli con la paura e schiacciarli con la disperazione.
In Myanmar, stando a quanto le organizzazioni per la difesa dei diritti umani sono riuscite a constatare, sono stati bombardati più di 300 ospedali e cliniche mediche, ci sono stati numerosi bombardamenti anche su campi di rifugiati e sono state bombardate più di 174 scuole.
La strage nella scuola Daw See Ei
«Appena arrivato a scuola, i bambini mi hanno detto che c’erano degli aerei che continuavano a volare sopra l’edificio. Sono corso fuori dall’aula e sono andato a controllare dove fossero diretti gli aeroplani. Quando ho guardato in cielo mi sono accorto che un jet era molto vicino e veniva proprio verso di noi».
Sono passati pochi mesi dalla drammatica mattina del 5 febbraio 2024 e Nay Lin Aung, 26 anni, maestro di matematica della scuola Daw See Ei di Demoso, la seconda città del Karenni State, una delle regione maggiormente colpite dalla guerra civile che sta travolgendo la Birmania dal 2021, per la prima volta, ha deciso di tornare nel luogo in cui speranze, convinzioni e vite si sono spente per sempre.
Nay Lin Aung cammina tra le macerie dell’istituto, i suoi passi echeggiano tra le aule vuote e il vento, tra le lamiere accartocciate, emette un urlo gelido. A destra del maestro c’è una lavagna crivellata dalle schegge, a sinistra dei banchi sventrati, per terra, un astuccio carbonizzato, un flauto spezzato, delle matite e dei quaderni abbandonati.
«Ho radunato tutti i bambini e siamo corsi nel bunker e poi ho gridato: “Sdraiatevi e tappatevi le orecchie!”. Dopo c’è stata l’esplosione».
«Quando il bombardamento è cessato sono corso nell’edificio per accertarmi che non ci fossero feriti, ma mi sono imbattuto nei corpi di quattro bambini, quattro miei alunni, esanimi e barbaramente mutilati».
Il maestro Nay Lin Aung trattiene a fatica le lacrime ripensando a quanto visto il 5 febbraio, e poi confessa: «Io, come tutti, da quel giorno vivo in un incubo che non mi dà tregua, sento ancora le urla dei bambini. Appena mi distraggo da ciò che sto facendo, i miei pensieri mi riportano a quel giorno. Io non volevo più venire a scuola, ero terrorizzato. Poi però ho pensato a tutto il male che hanno sofferto i miei studenti e non è giusto che si trovino privati anche dell’istruzione. Le scuole in Birmania sono chiuse dal 2019. Prima a causa del Covid, poi, dal 2021, per via del golpe. Un’intera generazione non ha più un’istruzione. Noi non possiamo fermarci: senza istruzione, non c’è vita. Senza istruzione non può esserci pace».