Violenza in carcere: Trapani, torture e abusi sulle “vite di scarto”
Una lunga inchiesta fa luce su vessazioni e angherie che sarebbero state commesse su detenuti fragili e vulnerabili. Decine gli agenti e i graduati coinvolti, 11 dei quali finiti agli arresti domiciliari, 14 sospesi dal servizio
Secchiate d’acqua gelata e lanci di acqua «immischiata a pisciazza», come la chiamavano tra loro, gli agenti. Manganellate e botte, a volte inferte gettando un lenzuolo sopra il corpo da martoriare, per non lasciare tracce. Sputi in faccia e perquisizioni illegali, le braccia legate dietro la schiena. Nudità imposte ed esibite, sfottò a sfondo sessuali, insulti razzisti. Il reclutamento di una «squadretta» per impartire punizioni ai detenuti che mettevano in atto azioni di protesta e resistenza passiva e per imporre l’ordine.
È un repertorio di comportamenti illegali e di abusi e vessazioni, fisiche e psicologiche, quello che emerge dall’inchiesta delle violenze e delle torture nel carcere Pietro Cerulli di Trapani, sezione Blu, la costruzione buia e sperduta destinata a contenere detenuti con problemi psichiatrici, stranieri fragili, tossicodipendenti in crisi di astinenza.
Gli ultimi degli ultimi. «Vite di scarto», per usare la durissima espressione del gip Giancarlo Caruso.
Per loro le celle erano di due metri per quattro, con finestrelle di 40 centimetri per 50 oscurate da sbarre e reti fitte, il cesso a vista, a volte una tazza, altre volte alla turca.
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Violenze nel Padiglione Blu, il “girone dantesco” di Trapani
Il procuratore capo Gabriele Paci ha definito il padiglione «una sorta di girone dantesco», infernale. E ha raccontato che nelle ricostruzioni dei fatti contestati, supportata da riprese e registrazioni audio, «sembra di leggere parti dei Miserabili di Victor Hugo».
Un buco nero nel sistema delle patrie galere, non il solo.
Torture, abusi e falsi rapporti
Una donna e 43 uomini della polizia penitenziaria, una percentuale rilevante dei 249 effettivi in servizio, sono stati indagati e monitorati per mesi. A conclusone deli accertamenti, con il giudice che ha ridimensionato le richieste della procura, 11 sono stati arrestati e collocati ai domiciliari e per 14 è stata disposta la sospensione dal servizio.
L’età va dai 30 ai 61 anni, tutti risultano originari di Trapani e dintorni.
I reati ipotizzati a vario titolo (da dimostrare in giudizio, per chi verrà mandato a processo, per il ruolo attivo avuto o per il ruolo omissivo) sono la tortura, l’abuso d’autorità contro le persone ristrette e il falso ideologico, per le relazioni di servizio riempite di contestazioni non veritiere per calunniare le vittime di angherie e coprire gli abusi.
Violenze in carcere: come sono partite le indagini
Per anni lo Stato non ha visto, non ha sentito e non ha reagito, dimenticandosi della casa circondariale. A Trapani ha abbandonato carcerati e carcerieri, lasciando l’istituto senza direttore fisso e senza alcun tipo di controllo, i vuoti in organico da riempire.
A mettere in moto le indagini, il 17 settembre 2021, non è stata una figura istituzionale. Si è dovuto esporre il detenuto Giuseppe A., esponendosi a vendette e ritorsioni. All’inizio ha segnalato carenze nell’assistenza sanitaria. Poi, ha appiccato un incendio di protesta dopo essere stato trasferito in isolamento, ha denunciato pestaggi e vessazioni contro di lui e contro il vicino di cella.
La cella liscia e la cella della tortura
Solo quasi un anno dopo la procura ha fatto installare due videocamere non visibili, successivamente sono partite anche le intercettazioni ambientali e sono state raccolte altre denunce, approfondite e verificate.
Le riprese e gli audio hanno consentito di ricostruire 14 casi di aggressioni e abusi, compresa la consegna di una sigaretta probabilmente intrisa di calmanti.
Gli episodi potrebbero essere stati molti di più. Il sistema illegale si è interrotto quando la palazzina Blu è stata dichiarata fatiscente, e lo era da lungo tempo, e chiusa per interventi strutturali.
Aveva 14 stanze singole in pessime condizioni e due camere particolari: la cella 5 liscia, privata delle suppellettili per evitare che i reclusi problematici si facessero male, e la «cella della tortura», la numero 3, quella con le pareti sporche di sangue, l’erogazione di acqua corrente interrotta, gli scarichi otturati.
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Le frasi della vergogna
Le frasi captate dai microfoni nascosti, piazzati nel febbraio 2023, aggiungono accuse e sdegno. Nel reparto Blu si teorizzava l’uso preventivo della forza contro detenuti protagonisti di intemperanze,
Un assistente capo, dopo l’aggressione a un collega, sbotta: «Gli amici non si toccano, minchia. Ma io l’avrei massacrato, compà come ho fatto anche con gli altri». Un secondo poliziotto penitenziario incalza: «Lo andiamo a sminchiare, a questo…Le secchiate d’acqua…fa caldo, un piacere gli facciamo».
Botte, insulti e consigli per le violenze in carcere
Un terzo agente dispensa consigli, per lavoretti puliti: «Se lui ci esce le mani – riferito a uno straniero – ci mettiamo un lenzuolo di sopra per non lasciargli segni, compà, lenzuolo di sopra e lo fracchi, tanto questo è nero e non si vede un cazzo».
Un quarto riferisce: «Ho visto il nero, compà. Un colpo di wum. E poi dopo, partito uno, siamo partiti tutti, lo abbiamo messo a terra».
«Minchia – si vanta un quinto, commentando un calcione in faccia a un detenuto -, la forma mia dell’anfibio l’ha in testa». Non mancano gli insulti, diretti: «Tu sei un cane – si sente urlare in una cella, insieme al rumore di schiaffi – Tu sei un cane, capito?».
Detenuti come sudditi
Scrive il gip Caruso, nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari, analizzando quello che era diventato un sistema, non una semplice successione casuale di fatti isolati:
«In un’ottica drammaticamente rovesciata del trattamento rieducativo, la violenza diventa lo strumento privilegiato per motivare i detenuti al rispetto dell’ambiente penitenziario e per alimentare un sentimento di sudditanza nei confronti delle “guardie” ».
I reclusi come “vite di scarto”
E, ancora, sempre parole del giudice: «La circostanza che i i bersagli ricorrenti delle aggressioni fossero i detenuti più fragili e vulnerabili, poiché affetti da disturbi psichici in alcuni casi molto gravi, consente di affermare che, al netto di ogni ipocrita richiamo all’ordine, sottesa a tali gesti i detenuti siano “vite di scarto”, cui sia giusto negare ogni forma di umanità ed empatia».
Niente sovraffollamento, ma polizia penitenziaria sotto organico
Il carcere di Trapani nei mesi delle torture non ha problemi di sovraffollamento. Ci sono meno detenuti dei posti letto. ll personale della polizia penitenziaria è sotto organico, i pensionati non vengono sostituiti, lo stress pesa. E le assenze per motivi di salute si moltiplicano.
«Arriva un mare di malattia ogni giorno», costatano due colleghi della polizia penitenziaria. Secondo il gip si alludeva «a pretestuosi congedi», pretesti per non andare al lavoro. I duri, però, non si buttavano mai in malattia. Sono i primi ad essere contattati per entrare nella squadretta dei punitori.
Domande aperte
Dove erano gli educatori, gli psicologi, i sanitari del carcere? I volontari non si sono accorti di nulla? Il cappellano? E chi aveva il dovere di vigilare? L’inchiesta lascia in sospeso le risposte.
Ma nelle carte delle indagini si leggono passaggi inquietanti. Due medici vengono chiamati per controllare le condizioni del primo detenuto denunciante, con un’ecchimosi alla gamba e un graffio sulla schiena. Lo “visitano” solo cinque giorni dopo l’aggressione e dal corridoio, restando fuori dalla cella in cui è rinchiuso, al reparto Blu, il reparto delle torture.