
Israele-Palestina, pace sotto assedio
Tra devastazione e crimini contro l’umanità, il conflitto israelo-palestinese sfida gli equilibri globali e rimane una ferita aperta per la comunità internazionale. Ecco un'istantanea della situazione scattata in occasione della 47esima Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese
La Striscia di Gaza è, da anni, al centro di una crisi umanitaria senza precedenti. L’embargo imposto da Israele e le ripetute offensive militari hanno trasformato questa piccola enclave in una prigione a cielo aperto per oltre 2 milioni di persone.
Ospedali al collasso, carenza cronica di acqua potabile, energia e beni di prima necessità rappresentano la quotidianità per gli abitanti di Gaza, da ben prima del 7 ottobre 2023, quando i miliziani di Hamas hanno fatto irruzione nel territorio israeliano uccidendo oltre 1.250 israeliani, tra civili e militari.
Israele-Palestina, i numeri della guerra dopo il 7 ottobre
Dopo 419 giorni (al 29 novembre), le vittime palestinesi dell’offensiva israeliana a Gaza sono oltre 44.249, tra cui 13.319 bambini, 7.216 donne e 3.447 anziani.
I feriti superano i 104 mila, di cui un gran numero ha subito lesioni permanenti, amputazioni o altre disabilità gravi. A questi si aggiungono circa 1,9 milioni di sfollati e oltre 411 mila case distrutte, secondo i dati dell’Ocha, l’Ufficio della Nazione Unite per il coordinamento degli affari umanitari.
La crisi sanitaria è altrettanto devastante: il sistema medico di Gaza è completamente al collasso, con strutture mediche e ospedali danneggiati, operatori sanitari uccisi (secondo fonti palestinesi sarebbero oltre 759) e ambulanze colpite dagli attacchi.
Anche in Cisgiordania, nei cosiddetti Territori Palestinesi Occupati (Opt), la situazione è nettamente peggiorata nell’ultimo anno. Da ottobre 2023 a oggi, infatti, sono stati uccisi circa 732 cittadini palestinesi, sempre secondo l’Onu.
Sul versante israeliano, invece, sono stati uccisi finora oltre 1.200 cittadini israeliani e stranieri, tra cui almeno 33 bambini. Inoltre, si riportano almeno 5.400 feriti di varie gravità e circa 101 persone, tra cui donne e bambini, ancora in ostaggio nelle mani di Hamas.
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Giornata di solidarietà con la Palestina, dalla parte dei diritti umani
In questo contesto, il 29 novembre, Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese istituita dall’Onu nel 1977, è un’occasione per ribadire che sostenere i diritti dei palestinesi non significa giustificare atti di terrorismo, ma denunciare le ingiustizie e le violazioni che stanno subendo milioni di civili.
Le campagne di sensibilizzazione, le iniziative educative sui diritti umani e le pressioni diplomatiche possono essere strumenti cruciali per lavorare a una soluzione pacifica.
Israele-Palestina, diritto internazionale violato: Netanyahu sotto accusa
Il governo israeliano è stato accusato di numerose violazioni del diritto internazionale. La stessa Corte Penale Internazionale (Cpi) ha recentemente emesso mandati d’arresto, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, dell’ex ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant e del capo del braccio armato di Hamas, Mohammad Deif.
Secondo il tribunale, infatti, esistono «motivi ragionevoli per credere» che molte delle azioni di guerra compiute da Israele, come risposta all’attacco del 7 ottobre, rientrino nella categoria giuridica dei crimini contro l’umanità, come per esempio l’uso della privazione di acqua e cibo come strumento di guerra.
Molte organizzazioni umanitarie hanno denunciato in varie occasioni l’impossibilità di consegnare e distribuire gli aiuti umanitari a Gaza, che per buona parte della popolazione rappresentano l’unico mezzo di sostentamento, a causa delle chiusure dei valichi imposte da Israele.
Anche l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha denunciato l’azione delle autorità israeliane per impedire il rifornimento di aiuti e ostacolare le operazioni sul territorio. Per tutta risposta, il parlamento israeliano ha approvato una legge che vieta all’Unrwa di operareall’interno di Israele.
Bisogna ricordare che lo stato israeliano è accusato di varie violazioni del diritto internazionale anche prima del 7 ottobre 2023. Tra queste figurano l’espansione illegale degli insediamenti israeliani nei territori occupati, la demolizione delle abitazioni e delle infrastrutture palestinesi e il trasferimento forzato di intere comunità.
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Cisgiordania dimenticata e ripercussioni sul Libano
Dopo il 7 ottobre, gli episodi di violenza sono aumentati significativamente anche in Cisgiordania, sebbene con meno risonanza mediatica. Le autorità israeliane hanno inasprito le restrizioni alla libertà di movimento della popolazione, in un territorio già frammentato da check-point, strutture di controllo e insediamenti israeliani in continua espansione, nonostante siano illegali secondo il diritto internazionale.
I coloni, spesso incoraggiati o sostenuti da partiti di estrema destra vicini al governo di Benjamin Netanyahu, hanno intensificato le provocazioni e gli atti violenti contro i vicini palestinesi. Scontri quotidiani si accompagnano a incursioni militari israeliane, soprattutto in città come Nablus e Jenin, ma anche in centri più piccoli, rendendo sempre più difficile la vita quotidiana dei cittadini.
Storia recente di Israele: il conflitto entra in Libano
Il conflitto, inoltre, ha esteso i propri confini il 24 settembre scorso, quando il governo israeliano ha deciso di rispondere ai lanci di razzi nel nord del Paese con un’invasione di terra che ha trasformato ufficialmente il Libano in un nuovo teatro di questa guerra.
Durante un raid israeliano, inoltre, è stato ucciso Hassan Nasrallah, alla guida del partito politico e gruppo militante Hezbollah per oltre tre decenni. Le ultime stime riportano almeno 1.000 vittime, tra cui 87 bambini e 156 donne, dovute agli attacchi aerei israeliani, molti dei quali diretti contro ospedali e strutture civili ed effettuati senza preavviso di evacuazione.
A questi si aggiungono migliaia di sfollati che sono stati costretti a fuggire verso Beirut dalle regioni meridionali del Libano, creando così un’ulteriore crisi umanitaria in uno stato già al collasso.
Ultime notizie, prospettive di pace con Trump?
La recente rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, che torna alla Casa bianca dopo quattro anni, potrebbe avere ripercussioni anche sul conflitto in corso e sui piani di Israele per la Striscia di Gaza. La sua amministrazione, infatti, aveva appoggiato apertamente le posizioni israeliane già nel 2016, riconoscendo Gerusalemme come capitale di Israele e trasferendovi di fatto l’ambasciata statunitense, riducendo anche i fondi destinati ai rifugiati palestinesi.
Con il ritorno di Trump, anche la soluzione a due stati, spesso citata come unica via sostenibile per una pace duratura, appare sempre più distante. I cosiddetti Accordi di Abramo, firmati da Usa, Emirati Arabi Uniti e Israele nel 2020, hanno minato la possibilità di negoziati equi, rafforzando le posizioni israeliane a discapito di quelle palestinesi e diventando, di fatto, uno strumento per consolidare gli interessi di Israele all’interno dei territori occupati. Senza considerare il fatto che gli Stati Uniti continuano a essere i principali fornitori di aiuti militari allo stato israeliano.
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Conflitto tra Israele e Palestina, la denuncia dei soldati
Nonostante l’approccio militarista scelto da Israele, crescono le voci di dissenso anche all’interno delle Idf, le Forze di Difesa israeliane. Di recente, infatti, una lettera firmata da 130 soldati israeliani ha criticato apertamente l’intervento militare a Gaza e in Libano, denunciando violazioni dei diritti umani e la politica di occupazione israeliana.
Questi soldati hanno contestato le politiche del governo, definendole «immorali» e dannose per entrambe le popolazioni, e chiesto un cambio di rotta perché la sicurezza di Israele non può essere garantita attraverso l’oppressione dei palestinesi.
Il loro gesto, seppur marginale, rappresenta una sfida al consenso interno e indica un crescente malcontento, anche all’interno della società civile israeliana, rispetto alla direzione del conflitto scelta dall’esecutivo.