Pena di morte: record di esecuzioni in Arabia Saudita

Sette ong chiedono all'Arabia Saudita una moratoria immediata per arrivare all'abolizione della pena di morte. Le organizzazioni, tra le quali Human Rights Watch e Amnesty International, denunciano che nel 2024 oltre un quarto delle esecuzioni riguardano reati legati alla droga. In molti casi gli autori sono stranieri

Sono almeno 214 le persone giustiziate in Arabia Saudita nei primi 9 mesi del 2024. Un numero enorme, il più alto dal 1990 secondo Amnesty International.

Tra loro c’erano persone condannate per reati legati alla droga, persone incarcerate per aver espresso il proprio dissenso online, persone che avevano meno di 18 anni all’epoca del reato.

Il dato è riportato nel documento sottoscritto da sette ong in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte (che si celebra il 10 ottobre) in cui chiedono alle autorità saudite una moratoria immediata sulle esecuzioni.

«Siamo sconvolti dal crescente numero di esecuzioni nel Paese. Questo dimostra il disprezzo delle autorità saudite per il diritto alla vita e contraddice il loro stesso impegno a limitare il ricorso alla pena di morte», scrivono Human Rights Watch, Amnesty International, Alqst per i diritti umani (Ong saudita, il cui nome richiama la parola araba per “giustizia”), Reprieve, l’Organizzazione saudita europea per i diritti umani (Esohr, ong con sede a Berlino), Mena rights group ed Ecpm-Insieme contro la pena di morte.

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Foto: World Coalition Against the Death Penalty (via Flickr)

Pena di morte: in Arabia Saudita è prevista anche per reati di droga

Tra le 214 esecuzioni del 2024 (dato al 9 ottobre), 59 riguardavano reati legati alla droga, tra questi 46 erano stati commessi da persone straniere (tra cui due cittadini egiziani giustiziati lo scorso 28 settembre), come hanno riportato Alqst, Amnesty International, Esohr e Reprieve.

Un dato in aumento rispetto al 2023, quando solo 2 esecuzioni riguardavano legati alla droga, e che «segna il totale rovesciamento di una precedente moratoria annunciata dall’Arabia Saudita su questo tipo di reati», scrivono le ong per i diritti umani, preoccupate per la sorte delle centinaia di persone che attualmente sono in carcere nel Paese con una condanna capitale per crimini di questo tipo.

Arabia Saudita e pena di morte: dissenso e proteste si pagano con la vita

Anche se le autorità affermano che il ricorso alla pena di morte riguarda solo crimini molto gravi, la realtà mostra che non è così: 4 esecuzioni su 10 tra quelle eseguite nel 2024 riguardavano reati considerati non gravi in base all’articolo 6.2 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici.

Sono state punite con la pena di morte persone che avevano protestato in modo pacifico, che avevano espresso il proprio dissenso, che avevano chiesto riforme politiche e la tutela dei diritti umani. Le ong riportano, ad esempio, il caso di Mohammed al-Ghamdi, ex insegnante di 55 anni, condannato per i suoi post in rete: la sentenza nei suoi confronti è stata poi ridotta a 30 anni di detenzione.

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Foto: javacolleen (via Flickr)

L’impegno (a parole) contro la pena di morte

Nel 2018 il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman si è impegnato a ridurre l’uso della pena di morte, ma il numero di esecuzioni ha continuato a salire a parte un periodo di calma durante la pandemia da coronavirus, scrivono le organizzazioni.

L’impegno è stato ribadito nel marzo 2022 e in quell’anno si è registrato il più alto numero di esecuzioni fino a quel momento.

Nel 2023 ci sono state 172 esecuzioni e a inizio ottobre 2024 si è già arrivati a 214.

Il numero reale però potrebbe essere più alto, dicono le ong, «visto che spesso le esecuzioni vengono fatte in segreto».

Diritti umani: la revisione periodica delle Nazioni Unite

A gennaio 2024 si è svolto il quarto ciclo di revisione periodica universale del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, un processo di verifica della situazione dei diritti umani in ognuno dei 193 Stati membri durante il quale i Paesi possono illustrare le azioni intraprese per migliorarla.

L’Arabia Saudita ha ricevuto numerose raccomandazioni su diritti civili, politici, sociali, economici, diritti delle donne e di altri gruppi vulnerabili.

A luglio le autorità hanno accettato 273 raccomandazioni su 354, di cui una sola tra le 22 che riguardavano l’uso della pena di morte: «Questo rivela la loro totale mancanza di impegno verso riforme significative», scrive Human Rights Watch.

Giustiziate anche persone minorenni al momento del reato

Secondo le ong, attualmente sono almeno 9 le persone in carcere a rischio imminente di esecuzione per reati commessi quando non avevano ancora compiuti 18 anni. «Ciò avviene in violazione delle leggi internazionali sui diritti umani e in contraddizione alle dichiarazioni delle autorità di aver posto fine a questa pratica».

Spesso, poi, fa notare Human Rights Watch, le sentenze capitali per questi giovani sono arrivate alla fine di processi sommari in cui non sono stati rispettati i principi del giusto processo: gli imputati non hanno avuto la possibilità di avere un avvocato, non hanno avuto accesso ai documenti processuali e in tribunale sono state ammesse come prove le loro confessioni estorte con la violenza.

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Foto di codepinkphoenix (via Flickr)

Pena di morte: l’obiettivo è l’abolizione totale

La richiesta alle autorità saudite da parte delle sette ong firmatarie è una moratoria sulle esecuzioni. Ma l’obiettivo finale è l’abolizione della pena di morte per tutti i crimini.

E in attesa di raggiungere questo risultato, chiedono al Paese di eliminare l’uso della pena di morte nei confronti di minorenni e per reati non gravi.

«Mentre continuano a perpetrare questi abusi, le autorità saudite stanno cercando di ripulire l’immagine del Paese a livello internazionale. È importante che la comunità internazionale non si lasci abbagliare da queste distrazioni, ma si concentri sulla realtà, ovvero il picco di esecuzioni e la repressione della libertà di espressione», scrivono le ong facendo riferimento ad esempio agli investimenti dell’Arabia Saudita in eventi sportivi globali, la proposta di ospitare la Coppa del mondo della Fifa e quella di sedersi al Consiglio dei diritti umani dell’Onu (quest’ultima rigettata nei giorni scorsi, come già accaduto nel 2020).

I numeri delle sentenze e delle esecuzioni nel mondo

A fine 2023 il numero degli Stati in cui è stata abolita la pena di morte è salito a 112. Sempre nel 2023, le sentenze capitali emesse in 52 Paesi sono state 2.428 (erano 2.016 nel 2022) e sono più di 27 mila le persone incarcerate con una condanna alla pena di morte.

Le esecuzioni documentate nel 2023 sono 1.153, con un aumento del 31% rispetto al 2022. Nel 2023 i Paesi con il più alto numero di esecuzioni sono stati Cina, Iran, Arabia Saudita, Somalia e Stati Uniti in quest’ordine (dati Amnesty International).

Dal 1990 Amnesty ha documentato le esecuzioni di persone minorenni al momento di commettere il reato: sono state almeno 168 in 10 Paesi: Cina, Repubblica democratica del Congo, Iran, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita, Sud Sudan, Sudan, Stati Uniti e Yemen.

Molti di questi Paesi hanno modificato le loro leggi per escludere questa pratica.

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