Turchia, la centrale a carbone dello scandalo

Human Rights Watch ha chiesto al ministro dell'Ambiente turco di non approvare il progetto di ampliamento di una centrale a carbone. I livelli di inquinamento nella zona sono già altissimi, così come l'incidenza di malattie cardiovascolari, tumori e patologie respiratorie

A inizio settembre Human Rights Watch ha chiesto al ministro dell’Ambiente della Turchia di fermare il progetto di espansione della centrale termoelettrica alimentata a carbone di Afşin-Elbistan per gli effetti dannosi che avrebbe sulla salute delle persone che vivono nell’area, la provincia sud-orientale di Kahramanmaraş, e sull’ambiente.

Secondo l’ong i livelli d’inquinamento dell’aria vicino alla centrale – dove si brucia lignite, un tipo di carbone di bassa qualità estratto dalla miniera di Elbistan – sono già pericolosamente alti e gli abitanti, alcuni dei quali sono stati intervistati da Hrw a maggio 2024, hanno dichiarato che loro stessi o i loro familiari, amici, vicini, si sono ammalati di tumore ai polmoni, patologie cardiovascolari o respiratorie, causate dall’aria inquinata.

«Ogni anno la tossicità dell’aria causata dalla produzione di energia da fonti fossili come il carbone uccide migliaia di persone in Turchia, mentre le autorità non fanno nulla per prevenire il problema o avvertire le persone dei pericoli per la loro salute. Invece di autorizzare l’ampliamento delle inquinanti centrali a carbone, il governo turco dovrebbe rafforzare gli standard di qualità dell’aria e garantire una transizione dal carbone alle fonti rinnovabili entro il 2030», ha detto Hugh Williamson, direttore per l’Europa e l’Asia centrale di Human Rights Watch.

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Turchia, Centrale di Afşin-Elbistan (via Wikimedia Commons)

Ampliamento della centrale a carbone: protestano abitanti e associazioni

La centrale di Afşin-Elbistan è costituita da diversi impianti: l’impianto A è entrato in funzione nel 1984 e vi è rimasto fino al 2023, quando è stato temporaneamente chiuso a causa del terremoto, visto non era dotato di sistemi di riduzione delle emissioni inquinanti; l’impianto B, invece, è stato attivato nel 2005-2006, con tecnologie più moderne.

Il progetto di espansione riguarda l’impianto A e prevede la costruzione di altre due unità. È stato presentato nel 2022 e avrebbe dovuto essere completato in 36 mesi, ma è stato fortemente osteggiato da cittadini e associazioni ambientaliste.

Uno studio realizzato nel 2022 da Greenpeace Mediterranean insieme al Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea) ha stimato che l’ampliamento della centrale causerebbe 50 morti premature all’anno e 1.900 durante tutta la sua vita economica.

Si stima che dal 1984 al 2020 siano morte oltre 17 mila persone a causa degli inquinanti fuoriusciti dalla centrale. Il progetto però è andato avanti (dati Greenpeace).

Nel 2024 una petizione su change.org per chiedere la chiusura della centrale e l’investimento in fonti rinnovabili ha raccolto 17 mila firme in poche settimane.

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Foto: John Englart (via Flickr)

Turchia, le analisi su qualità dell’aria e salute

Human Rights Watch ha analizzato i dati sulla qualità dell’aria registrati dalla stazione di monitoraggio di Elbistan, che sono pubblici, e li ha confrontati con quelli raccolti dai satelliti del programma dell’Unione europea Copernicus.

Secondo quanto scrive l’ong, i dati satellitari raccolti da Copernicus Sentinel 5P mostrano una concentrazione media di diossido di zolfo (un inquinante che ha effetti nocivi sui polmoni, danneggia il sistema nervoso e quello cardiovascolare) molto più alta sopra la centrale e sopra i villaggi vicini rispetto a quella registrata dalla stazione di monitoraggio di Elbistan, che si trova a 22 chilometri dall’impianto A.

I residenti intervistati da Human Rights Watch hanno dichiarato di non aver mai ricevuto informazioni dalle autorità sui rischi derivanti dalla centrale e su come proteggersi dalle emissioni inquinanti.

Human Rights Watch ha anche richiesto al ministero dell’Ambiente, all’azienda che gestisce l’impianto e alle autorità locali i dati di monitoraggio della salute nei distretti di Afşin ed Elbistan, ma non ha ricevuto alcuna risposta.

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Turchia, Centrale di Afşin_Elbistan – Foto di Hüseyin Öcal (via Wikimedia Commons)

La “carbon bomb” e i rischi per la transizione energetica

La miniera di Elbistan che rifornisce di carbone la centrale di Afşin-Elbistan è una delle 425 “carbon bomb” attive al mondo, ovvero una fonte di energia fossile che può generare più di un gigaton di anidride carbonica (la miniera turca ha una capacità di 4,09 gigaton).

Secondo il sito carbonbombs.org, un progetto non profit che spiega la relazione tra i grandi siti di estrazione di energia fossile, le aziende e le banche, le “carbon bombs” mettono a rischio gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima, il trattato internazionale adottato nel 2015 per contrastare gli effetti del cambiamento climatico.

Anche per la Piattaforma sul diritto all’aria pulita (Temiz Hava Hakkı Platformu – THHP), una rete di organizzazioni mediche e ambientaliste che dal 2015 lavora sull’inquinamento dell’aria e sul suo impatto sulla salute, la centrale di Afşin-Elbistan è altamente inquinante.

La Turchia ha ratificato l’Accordo di Parigi nel 2021 (è stato l’ultimo tra i Paesi del G20 a farlo) e, anche se sta investendo in fonti rinnovabili (solare ed eolico coprono il 54% della produzione di energia del Paese), continua a portare avanti progetti di espansione delle centrali a carbone.

Secondo Human Rights Watch, il Paese dovrebbe invece affrontare l’inquinamento dell’aria, ad esempio introducendo dei limiti alle emissioni di Pm 2,5 (le polveri fini che, una volta inalate, possono penetrare in profondità nel sistema respiratorio), che attualmente non sono regolamentate dalla legge turca.

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