Lavoro part time, Cassazione: “Non può essere causa di discriminazione donne”
La Cassazione bocca la condotta dell'Agenzia delle Entrate e ribadisce che il lavoro part time delle donne "non può essere causa di discriminazione"
Svalutare l’occupazione part time, quando si devono riconoscere aumenti di stipendio e va individuato chi ne ha diritto, significa penalizzare le donne. E rappresenta una forma, indiretta, di discriminazione di genere. Sono infatti le lavoratrici ad usufruire in misura maggiore di contratti a tempo parziale, diffusi tra mamme e mogli costrette a conciliare impiego e attività domestiche, occuparsi di figli e mariti, spesso anche prendersi cura di genitori anziani e malati.
A ribadirlo è la Corte di Cassazione, chiudendo una causa di lavoro con un altro aspetto non secondario. La controparte non era un imprenditore privato ma l’Agenzia delle Entrate, il braccio fiscale dello Stato, sotto la vigilanza del ministero dell’Economia e delle finanze.
Discriminazione contro lavoratrice part time: preferito dipendente a tempo pieno
L’Agenzia non ha tenuto conto delle peculiarità e dei diritti delle donne – oltre che della legislazione in materia – quando attraverso un bando ha scelto quali dipendenti promuovere sotto il profilo economico, accordando loro il passaggio ad una migliore fascia retributiva. La decisione sull’avanzamento della busta paga è stata presa dopo una selezione interna indetta il 30 dicembre 2010, su cui hanno avuto un peso le ore passate in ufficio dai candidati al bonus.
Maria M., sposata e madre di due bambini, faceva il part time, nella sede di Genova. Per l’avanzamento di stipendio le è stato preferito un collega, lui in servizio in full time, come tutti gli uomini o quasi.
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Agenzia delle Entrate perde in Cassazione: 12 anni per chiudere il caso
Assistita dall’avvocato torinese Alberto Biscaro, legale di altre impiegate penalizzate, la dipendente si è rivolta al Tribunale del capoluogo ligure, in funzione di giudice del lavoro.
Ha vinto in primo grado e in appello e, dopo 12 anni di cause e di attesa, si è vista dare pienamente ragione anche dalla Cassazione.
L’Agenzia delle Entrate (e non era la prima volta) è stata formalmente invitata a mettere fine al comportamento discriminatorio legato alla svalutazione del part time e condannata a versarle 8.466,47 euro, la differenza di retribuzione nel frattempo maturata, e a pagare le spese.
Donne e lavoro part time: la sentenza-pilota
I figli cui doveva badare sono diventati grandi e indipendenti, Maria M. continua a lavorare all’Agenzia delle Entrate ed è passata al tempo pieno. Per questo preferisce che a commentare l’epilogo della sua battaglia sia l’avvocato Biscaro.
«Siamo soddisfatti – rimarca il legale – anche se per Maria M. c’è voluto tempo per arrivare al positivo risultato. Ce lo aspettavamo, perché in linea con sentenze precedenti. La Cassazione aveva già deciso nello stesso modo per la causa-pilota in materia ed altre cause gemelle seguite dal nostro studio. Tra le persone penalizzate c’era anche un uomo, costretto a mettersi temporaneamente in part time per un problema in famiglia. Ma è stato l’eccezione».
Il caso di Maria M.
Valutando l’anzianità di servizio in funzione della progressione economica, ricapitola la sentenza, a Maria M. venne attribuito un punteggio ridotto rispetto ai colleghi con pari anzianità, ma con contratti a tempo pieno. Così il giudizio finale della donna risultò inferiore a quello di un impiegato maschio.
L’avrebbe superato se anzianità di servizio fosse stata ponderata per intero, senza tenere conto della minore presenza in ufficio della lavoratrice.
Il part time non può pesare sulle valutazioni
«Non può esserci alcun automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio da valutare ai fini delle progressioni economiche. Occorre invece verificare se, in base alle circostanze del caso concreto (tipo di mansioni svolte, modalità di svolgimento…), il rapporto proporzionale tra anzianità riconosciuta e ore di presenza al lavoro abbia un fondamento razionale oppure non rappresenti, piuttosto, una discriminazione in danno del lavoratore a tempo parziale».
E l’onere della prova è a carico del datore di lavoro.
Lavoro part time donne: discriminazioni dirette e indirette
Per i giudici di Cassazione è discriminazione indiretta qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che di fatto metta «i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso».
La legge non richiede che si tratti di comportamenti o azioni illecite o discriminatorie anche sotto altri profili. Guarda soltanto al risultato finale della discriminazione, da apprezzare sul piano della realtà sociale e non solo delle forme giuridiche.
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La componente femminile dell’Agenzia
Nel caso di Maria M. e di altre colleghe i giudici della Cassazione hanno tenuto conto anche di un dato di fatto, statisticamente rilevante: la presenza di donne in stragrande maggioranza tra i dipendenti dell’Agenzia delle Entrate che chiedono il part time. E hanno tratto le conclusioni: svalutare l’orario ridotto ai fini delle progressioni economiche orizzontali (progressioni economiche non legate ad avanzamenti di carriera, ma comunque meritate, secondo parametri che includono anche l’anzianità di servizio) significa, nei fatti, penalizzare le donne rispetto agli uomini.
Donne doppiamente penalizzate al lavoro
E, ancora: «La preponderante presenza di donne nella scelta per il tempo parziale è da collegare al dato sociale del tuttora prevalente loro impegno in ambito familiare e assistenziale, sicché la discriminazione nella progressione economica dei lavoratori part time andrebbe a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell’accesso al mondo del lavoro».
Le cause promosse e vinte, rileva l’avvocato Alberto Biscaro, hanno posto fine alle scelte discriminanti dell’Agenzia delle Entrate. Che non era l’unica a prendere in considerazione, in negativo, la variabile part time. «Succedeva anche alla Agenzia delle Dogane», ricorda il legale.