Ecuador: nove ragazze in difesa dell’Amazzonia

Nove ragazze si mettono di traverso a progetti petroliferi per difendere l'Amazzonia in Ecuador: ecco la loro battaglia

In Ecuador un gruppo di nove bambine e adolescenti si sta battendo per la difesa dell’Amazzonia. Negli anni hanno ottenuto vittorie e successi importanti, ma il prezzo che stanno pagando per le loro battaglie è alto.

Le ragazze, in prima fila nel voler fermare la distruzione dell’ecosistema amazzonico e tutelare i diritti e la salute dei popoli indigeni, negli ultimi mesi sono divenute bersaglio di stigmatizzazioni, intimidazioni e minacce di morte.

Niñas Amazonas, o Amazonian Girls, è il nome del gruppo composto dalle attiviste Leonela Moncayo, Rosa Valladolid, Skarlett Naranjo, Kerly Herrera, Denisse Núñez , Dannya Bravo, Mishell Mora e Jeyner Tejena.

Le giovani si sono conosciute in quanto originarie di Lago Agrio, nella provincia di Sucumbios, regione al confine con la Colombia, terra dei popoli Kichwa, Shuar e Siekopai e luogo ospitante la riserva biologica Limoncocha, uno dei territori con maggiori biodiversità al mondo, ma anche zona ricchissima di giacimenti petroliferi e sfruttata sin dagli anni Sessanta, prima dalla Texaco, oggi dalla compagnia di stato PetroEcuador, e in cui i processi estrattivi stanno provocando altissimi danni all’ambiente e alle popolazioni native.

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Cantone di Lago Agrio, Ecuador – Foto: Luis Astudillo / Cancillería (via Flickr)

Ecuador: la vittoria delle attiviste pro Amazzonia

Le ragazze sono diventate conosciute per la loro battaglia contro il gas flaring (mecheros, in spagnolo), un sistema che consiste nel bruciare i gas in eccesso della produzione petrolifera.

La combustione del gas, come è noto, emette milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera, uno dei maggiori fattori della crisi climatica.

Inoltre, gli effetti sulla salute sono devastanti, soprattutto per le donne. Uno studio condotto dall’Unione delle persone colpite da Texaco (Udapt) e dalla Clinica Ambientale indica che l’incidenza del cancro è 2,6 volte più frequente nelle donne che negli uomini. Nel 2020 le “bambine dell’Amazzonia” presentarono un’istanza costituzionale contro lo stato dell’Ecuador denunciando l’inquinamento causato dai mecheros.

In una prima fase l’istanza venne respinta, le attiviste fecero però ricorso e nel 2021 ottennero una storica vittoria in appello. La sentenza decretava la progressiva chiusura dei mecheros: entro 18 mesi smantellamento di quelli vicini ai siti abitati e progressivamente di tutti gli altri entro il 2030.

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Foto: Peter Prokosch (via Flickr)

Sentenza non eseguita: la lotta continua

Al 29 marzo del 2023, termine previsto per la chiusura degli impianti, nulla di tutto quanto era stato promesso e sentenziato, però, è stato fatto. Sebbene la compagnia petrolifera PetroEcuador e il ministero dell’Energia abbiano dichiarato di aver eliminato 77 mecheros e di averne spenti altri 35, in realtà un’inchiesta condotta dall’Udapt ha rivelato che di quelle 77 torri di combustione, 49 erano già inattive al momento della sentenza e in altri casi si è semplicemente assistito allo spostamento del flusso del gas verso altri siti.

Ad oggi il numero dei mecheros è aumentato, passando da 447 a 486.

Le ragazze hanno proseguito nella loro battaglia, che si è quanto mai radicata dopo l’intervento in Parlamento di Adrea Arrobo, ministra dell’Energia, il 21 febbraio 2024. Durante la seduta che aveva lo scopo di mostrare il rispetto della sentenza, la ministra, alla presenza delle ragazze, ha rivendicato l’eliminazione di due mecheros come prova dell’impegno dell’esecutivo e di fronte alle proteste delle attiviste non ha esitato ad accusarle di essere manipolate da terzi.

Difendere l’Amazzonia in Ecuador è pericoloso

Leonela una delle “ragazze dell’Amazzonia”, di fronte alla Corte Costituzionale di Quito, ha dichiarato:

«Io non smetterò di gridare sino a quando l’ultimo mechero sarà eliminato dall’Amazzonia».

Alle sue parole sono seguite proteste in tutto il Paese. I cittadini dell’Ecuador sono scesi in piazza a sostegno delle ragazze, la parlamentare dell’opposizione Sofiìa Sanchez Urgiles ha chiesto il rispetto della sentenza, ma parallelamente al crescendo del supporto da parte della società civile hanno incominciato a manifestarsi in modo sempre più esplicito minacce e intimidazioni.

Il 12 marzo, in occasione della manifestazione a Quito, gli autobus che trasportavano le ragazze sono stati bloccati dalla polizia per impedire l’arrivo delle attiviste alla dimostrazione, ma il fatto più eclatante e drammatico è avvenuto il 26 febbraio, quando un ordigno è esploso davanti alla casa di Leonela Moncayo.

Solidarietà alle ragazze dell’Amazzonia

Dopo l’attentato Amnesty International ha diramato questo comunicato: «Ciò è accaduto cinque giorni dopo che Leonela, insieme ad altre otto ragazze, era stata stigmatizzata dal ministro dell’Energia e delle Miniere dell’Assemblea nazionale a causa del loro attivismo contro il gas flaring. Leonela, la sua famiglia e altri otto bambini attivisti potrebbero essere a rischio. Chiediamo alle autorità ecuadoriane di indagare efficacemente su quanto accaduto, di astenersi dallo stigmatizzare i bambini attivisti e di proteggerli in modo che possano svolgere il loro lavoro in un ambiente sicuro. Ci sono enormi preoccupazioni per la sicurezza di Leonela, delle altre otto ragazze amazzoniche e delle loro famiglie. Le loro vite sono messe in pericolo dalle accuse dei leader del governo, sminuenti e stigmatizzanti, e che possono incitare all’ostilità. Altri difensori della terra e dell’acqua che si sono espressi contro le operazioni petrolifere sono stati minacciati, attaccati e uccisi impunemente».

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