Caporalato: migliora la repressione, ma manca la prevenzione

A fine aprile è stato scoperto un caso di sfruttamento lavorativo in agricoltura che coinvolgeva 67 persone accolte in un Cas di Piombino. Flai Cgil: «Manca il contrasto preventivo del caporalato: in regione attivate solo 5 sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità»

Dieci ore di lavoro al giorno nei campi e negli uliveti di Livorno e Grosseto, per pochi euro all’ora, senza contratto. È l’ennesimo caso di sfruttamento e caporalato in agricoltura scoperto dai carabinieri a fine aprile: sei persone, titolari di ditte agricole individuali, insieme ad altre che si occupavano di reclutamento, trasporto e controllo dei lavoratori, hanno impiegato 67 persone di origine pakistana e bengalese accolte nel Cas (Centro di accoglienza straordinaria) di Piombino (Livorno).

In totale, sono dieci le persone, anch’esse di origine pakistana, accusate di intermediazione illecita e sfruttamento della manodopera e nei cui confronti è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal tribunale di Livorno.

«Viviamo in un contesto in cui le controparti datoriali hanno spesso un atteggiamento negazionista e cercano di far apparire il caporalato come un tema che riguarda solo il Sud dell’Italia. Ma non è così: tutti i territori, anche al Nord, sono pervasi da questo gravissimo fenomeno, e non solo in agricoltura», ha detto a Osservatorio Diritti Mirko Borselli, segretario generale della Flai Cgil Toscana.

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Foto: Cesar Augurso Ramirez Vallejo (via Pixabay)

Caporalato come reato: la legge c’è, ma manca la prevenzione

La legge 199 approvata nel 2016 contiene disposizioni per il contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo e riconosce dunque il caporalato come un reato.

Il caporalato è un fenomeno diffuso in tutta Italia, come ha sottolineato Borselli, con tassi di irregolarità degli occupati che superano il 40% in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio, ma che sono comunque compresi tra il 20 e il 30% al Centro Nord, come si legge nell’ultimo Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil.

Nel 2021 sono state circa 230 mila le persone impiegate in modo irregolare in agricoltura, pari a un quarto del totale degli occupati del settore.

«Il caporalato colpisce tutte le regioni e le province d’Italia, in agricoltura e in altri settori, ma è connotato da elementi diversi da territorio a territorio, anche in Toscana. Firenze e Siena, ad esempio, sono particolarmente votate al vitivinicolo con dinamiche diverse dalle zone costiere dove c’è anche l’ortofrutta, un comparto che ha picchi stagionali e modalità di raccolta differenti», dice il sindacalista.

È anche per questo che la legge 199/2016 ha previsto che le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità avessero un’emanazione provinciale che tenesse conto di queste differenze.

Ma al contrario della repressione, la prevenzione stenta a partire.

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Foto: Ngobeni Communications (via Unsplash)

Caporalato e sfruttamento del lavoro: la Rete di contrasto fatica a diffondersi

La legge sul caporalato istituisce la Rete del lavoro agricolo di qualità, a cui le aziende che non hanno contenziosi relativi allo sfruttamento dei lavoratori possono iscriversi. Obiettivo della Rete è garantire l’incontro tra domanda e offerta, fare da collocamento pubblico, garantire politiche di accoglienza, offrire il trasporto dei braccianti. Attraverso le sezioni territoriali poi si può mappare il territorio per analizzarne le criticità,

Ma sono poche le sezioni che si sono insediate (32 al 2021 rispetto alle province italiane) e pochissime le aziende agricole iscritte (6.113 su un bacino di circa 200 mila imprese che impiegano lavoratori subordinati).

Dati confermati anche da Borselli per quanto riguarda la Toscana: sono 5 le sezioni territoriali insediate in regione, di cui l’ultima  – quella di Firenze – a gennaio 2024.

«Da 8 anni chiediamo che, a livello provinciale, le sezioni territoriali siano istituite. Di per sé non sarebbe la risoluzione del problema ma un punto di partenza per togliere terreno fertile ai caporali», aggiunge Borselli.

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Foto: AgusTriyanto (via Pixabay)

Caporalato in agricoltura: appalti e trasporti i fattori su cui fare leva

In alcuni territori, fa notare Borselli, è necessario intervenire sul trasporto dei lavoratori, «che non hanno mezzi propri per raggiungere le aziende che, spesso, si trovano in aree non collegate alla rete di trasporto pubblico. Intervenire su questo fattore è fondamentale per non lasciarli in mano ai caporali che arrivano dove lo Stato non presidia e intercettano i lavoratori in stato di grave vulnerabilità». Come nel caso di Piombino.

In altri territori, invece, è importante controllare la catena degli appalti, creando percorsi formativi e certificativi della buona condotta delle aziende che lavorano in agricoltura utilizzando questo sistema.

«Uno dei temi che richiede un intervento del governo è poi la condizione di chi denuncia di essere vittima di sfruttamento lavorativo. Spesso si tratta di persone di origine straniera che per poter rimanere in Italia e vedersi rinnovare il permesso di soggiorno hanno bisogno di un contratto di lavoro. Lo Stato dovrebbe farsene carico e garantire loro una tutela che, oggi, in ambito lavorativo non hanno», dice Borselli.

Flai Cgil contro il caporalato

Dal 2008 la Flai Cgil ha ripreso e intensificato la prassi del sindacato dei braccianti agricoli, andando direttamente nei territori, nei campi, per intercettare i lavoratori.

In Toscana ha attivato percorsi di formazione anche per le persone accolte all’interno dei Cas, compreso quello di Piombino, dove le persone migranti spesso non parlano bene la lingua italiana e non conoscono le norme a tutela dei lavoratori.

«Abbiamo ripescato nelle nostre radici un modello organizzativo che è l’unico in grado di entrare in contatto con lavoratori che si trovano in condizioni di grave sfruttamento. Questi lavoratori, spesso, non conoscono le leggi che li tutelano, risiedono in zone rurali e hanno difficoltà a raggiungere le Camere del lavoro. Se non andiamo noi a intercettarli con il sindacato di strada, rischiano di rimanere dei fantasmi», conclude Borselli.

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