Chico Forti torna in Italia dopo 24 anni di carcere negli Usa

L’ex imprenditore e produttore televisivo trentino Chico Forti, condannato all’ergastolo in Florida (Stati Uniti) per un omicidio del quale si è sempre proclamato innocente, ha ottenuto il trasferimento in una prigione in Italia. Ad oggi sono più di 2.600 gli italiani detenuti all’estero

Il lungo incubo di Enrico (Chico) Forti è terminato. Dopo 24 anni trascorsi chiuso in carcere in Florida, con una condanna all’ergastolo per l’omicidio di un uomo di nazionalità australiana, Dale Pyke, avvenuto a Miami nel 1998 (e del quale lui si è sempre fermamente proclamato innocente), l’ex imprenditore, produttore televisivo e campione di windsurf e di vela, oggi 65enne, finalmente è tornato in Italia. Un passo definitivo, quello del trasferimento in un carcere italiano, richiesto anni fa, atteso a lungo, più volte rimandato. Ma per il quale Forti non ha mai perso la speranza.

L’annuncio del trasferimento era stato dato in un video Tv da Washington lo scorso 1° marzo dalla premier italiana Giorgia Meloni, durante la sua visita negli Stati Uniti per incontrare il presidente Joe Biden.

Il caso Forti non era previsto nell’agenda ufficiale, ma era uno dei temi che ci si aspettava la premier avrebbe intavolato e discusso con Biden. Il 18 maggio Forti è arrivato all’aeroporto militare di Pratica di Mare. Da lì è stato poi portato, temporaneamente, al carcere di Rebibbia, per essere poi trasferito al penitenziario di Verona.

Chico Forti: il lavoro della diplomazia italiana

Prima di Meloni, a spendersi per il rientro in Italia del detenuto trentino era stato l’allora ministro degli Esteri Luigi di Maio che, dopo un’intensa trattativa diplomatica fra Italia e Stati Uniti, poco prima del Natale del 2020 aveva annunciato che il governatore della Florida, Ron DeSantis, aveva accolto con riserva l’istanza di Chico Forti di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardi dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – trattato internazionale adottato nel 1950 ed entrato in vigore nel 1953, prima convenzione del Consiglio d’Europa destinata a tutelare i diritti dell’uomo – e di poter essere cosi trasferito in un centro di detenzione in Italia dove finire di scontare la sua pena.

Ma poi, il rientro non è mai stato messo in atto, tra problemi burocratici, elezioni presidenziali americane e pandemia del Covid-19 che sembra abbiano rallentato tutto il procedimento, mantenendo Forti in una sorta di limbo per più di altri tre anni.

Leggi anche:
«Chico Forti torna in Italia», ma dopo otto mesi non c’è ancora una data 
Chico Forti: per Thomas Salme la «svolta» può venire dall’Italia

chico forti cosa ha fatto
Rusty Pelican, il luogo dove Chico forti ho lasciato Dale Pike – Foto: Thomas Salme

Un caso che ha catalizzato l’attenzione di media e opinione pubblica

La vicenda di Chico Forti negli ultimi anni ha catalizzato l’attenzione della politica, della stampa e dell’opinione pubblica nel nostro Paese.

Di questo caso anche Osservatorio Diritti si è occupato ampiamente, con diversi articoli nei quali non solo è stata ricostruita tutta la storia, ma sono state anche intervistate persone molto vicine a Forti e informate sul caso giudiziario, come l’avvocato americano Philip Mause che da anni si occupa di casi di errori giudiziari negli Usa con l’organizzazione non profit Justice anywhere, che ha visitato più volte Forti in carcere ed è sempre stato fermamente convinto dell’innocenza del detenuto italiano.

Chico forti colpevole o innocente? La storia, le accuse, la condanna

La vicenda giudiziaria di Chico Forti secondo molti sarebbe un caso eclatante di malagiustizia americana. Nel 1998 Dale Pyke, figlio del proprietario di un hotel a Ibiza con il quale Forti aveva una trattativa commerciale in corso per acquistare proprio quell’hotel, è stato ritrovato senza vita su una spiaggia di Miami, ucciso da un colpo di pistola alla nuca.

Di questo omicidio è stato accusato Forti, che doveva andare a prendere Pyke all’aeroporto.

L’imprenditore è stato condannato all’ergastolo without parole – cioè senza possibilità di uscire fino alla fine della sua vita – al termine di un processo che ha destato grande dibattito e critiche perché da molte parti giudicato lacunoso, pieno di errori, omissioni e approssimazioni.

In modo particolare, sul luogo del delitto non sono state trovate impronte, a suo carico ci sono degli indizi ma non ci sono prove, il test del Dna è risultato negativo, non ci sono testimoni, neppure un movente valido (secondo la giustizia Usa Forti avrebbe agito per interessi economici, perché Dale Pyke voleva ostacolare la trattativa per l’hotel) e la pistola non è mai stata trovata.

Una serie di lacune che, se non fanno di Forti con assoluta sicurezza un innocente, certamente hanno posto molti ragionevoli dubbi sulla sua colpevolezza. E comunque pongono dubbi sulla correttezza dell’iter processuale.

Leggi anche:
Chico Forti tornerà in Italia: chi è, la storia, la condanna e i 20 anni di carcere
Chico Forti: arriva il documentario (con intervista) sulla sua storia

chico forti chi è
Il giudice Dennis Murphy, che negò l’appello a Enrico Forti – Foto: Thomas Salme

Il processo a Chico Forti: bugie, mancanza di prove, testimoni e arma del delitto

A giocare molto a suo sfavore, alcune bugie da lui raccontate alla polizia dopo essere stato fermato per l’omicidio. Ma, come ha detto ad Osservatorio Diritti l’avvocato Mause, una bugia, detta magari in un momento di panico e di confusione, non fa necessariamente di un uomo un assassino, a meno che non si trovino poi prove inconfutabili della sua colpevolezza.

L’opinione pubblica in questi anni si è divisa tra innocentisti e colpevolisti. Tuttavia, il problema di fondo è: Chico Forti è stato sottoposto a un iter processuale davvero giusto e corretto, che abbia determinato in modo fondato e indiscutibile, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, la sua colpevolezza?

La mobilitazione in Italia in favore di Chico Forti

In questi anni, a combattere indefessamente per il suo rientro in Italia, dal Trentino è stato suo zio, Gianni Forti. Un’ondata di solidarietà si è mossa in suo favore, a partire dalla pagina Facebook Chico Forti free e dal Comitato Una chance per Chico.

Molti sono stati i personaggi del mondo della musica e dello spettacolo che si sono spesi e mobilitati per lui. Fra questi il tenore Andrea Bocelli, che ha stretto un legame di amicizia con Forti: ogni volta che si reca a Miami, ha dichiarato l’artista toscano, va a trovare il detenuto trentino. E lo ha fatto anche la scorsa vigilia di Natale accompagnato dalla moglie e dalla figlia.

Dalla parte di Forti si sono schierati anche la criminologa Roberta Bruzzone. E poi il cantautore Enrico Ruggeri e la cantante Jo Squillo.

Leggi anche:
Tortura, omicidi in divisa, repressione: parla Ilaria Cucchi
Carcere di San Gimignano: “tortura di Stato” contro detenuto indifeso

chico forti storia
Momento della “Trento half Marathon for Chico”

Prospettiva della libertà condizionale per Forti

Una volta in Italia, Forti deve terminare di scontare la sua condanna, secondo quanto previsto dall’ordinamento giuridico italiano. Nel nostro Paese potrebbe dunque ottenere presto la libertà condizionale: secondo l’articolo 176, comma terzo, del nostro Codice penale, “il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena”.

Quanto a Forti, con il rientro in Italia per lui si avvera un sogno mai sopito. Sa di dover tornare in carcere, di non essere un uomo libero. Ma – ha dichiarato – potrà finalmente riabbracciare sua madre, ormai molto anziana, e averla accanto a lui.

Oltre 2.600 gli italiani detenuti in un Paese straniero

Quello di Chico Forti è il caso più famoso e mediatico di un italiano detenuto in un Paese straniero. Ma ce ne sono molti altri, a partire da quelli di Ilaria Salis, la 39enne insegnante e militante antifascista di Monza detenuta in Ungheria, a Budapest, dall’11 febbraio del 2023 con l’accusa di lezioni aggravate ai danni di due militanti neonazisti durante una manifestazione degli estremisti di destra nella capitale ungherese (reato per il quale rischia fino a 24 anni di detenzione). Salis è candidata alle elezioni europee e attualmente si trova agli arresti domiciliari a Budapest.

E poi Filippo Mosca, 29enne di Caltanissetta arrestato in Romania a maggio del 2023 e detenuto nel carcere di Porta Alba, a Costanza, dopo una condanna in primo grado a 8 anni e 6 mesi per traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

Gli italiani detenuti all’estero sono 2.663, secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osap) risalenti ad inizio febbraio.

La maggior parte dei detenuti italiani all’estero – ben 1079 – si trova in Germania; al secondo posto la Spagna, seguono Francia e Belgio.

Fra i Paesi extraeuropei il numero più alto di detenuti si trova nel Regno Unito, poi in Svizzera e negli Stati Uniti.

1 Commento
  1. Antonio dice

    Veramente la storia che impedimenti burocratici e covid non hanno reso possibile l’operazione di trasferimento non è corretta. È palese a tutti l’incapacità di di maio e questi ne sono i risultati

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.