Alviero Martini, caporalato e sfruttamento nella filiera

La Alviero Martini, azienda del settore moda specializzata in borse e accessori in pelle e cuoio, è stata posta in amministrazione giudiziaria nel settore dei rapporti con i fornitori, nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla procura di Milano e dai carabinieri del nucleo Ispettorato del lavoro. Nella ditta di un contoterzista della griffe morì un operaio che lavorava in nero

Lavoratori stranieri, in maggioranza irregolari o clandestini, sfruttati e sottopagati, in un caso sorvegliati da videocamere non autorizzate. Paghe a cottimo, procedura vietata, con la miseria di 1,25 euro a pezzo per le tomaie delle scarpe firmate, 50 centesimi per la rifinitura di una fibbia. Laboratori insalubri, degradati e degradanti. Dispositivi di sicurezza rimossi dai macchinari per velocizzare i ritmi di produzione. Esposizione al rischio di infortuni, anche mortali. Niente ferie, malattia, contributi. Orari massacranti, turni notturni e nelle giornate festive. Dormitori divisi in cubicoli senza finestre né luce naturale, impianti non a norma, materiali infiammabili ed esplodenti non custoditi o lasciati accanto a fili elettrici volanti. E via elencando, in un interminabile serie di violazioni, carenze, abusi.

Ci sarebbe stato tutto questo dietro le vetrine e il glamour della Alviero Martini spa, brand della moda noto per le mappe geografiche disegnate su borse e accessori, rappresentativo del Made in Italy e apprezzato in tutto il mondo.

Alviero Martini: appalti “senza verifiche” per risparmiare

La Alviero Martini (non indagata) appaltava la produzione italiana di intere linee a ditte cinesi del settore, con sedi in Lombardia ed Emilia, senza verificare se fossero in grado o meno di fornire tutti gli articoli in pelle e cuoio ordinati, nei tempi indicati ed evitando di ricorrere a sub-appalti, in teoria non consentiti dai contratti.

Però le aziende ingaggiate avevano «solo nominalmente» adeguate capacità produttive e potevano competere sul mercato unicamente esternalizzando a loro volta le commesse (o parti delle commesse) e ad altri opifici cinesi operativi tra l’hinterland Milanese, la Brianza e la provincia di Pavia.

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Lavoratori sfruttati e prezzi di vendita lievitati: le accuse ai fornitori della Alviero Martini e il caso della borsa Prima classe

In questi laboratori, costretti a stare dentro bassi compensi, i costi venivano compressi attraverso l’impiego e lo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori quasi tutti irregolari o clandestini, provenienti perlopiù dalla Cina. Gli intermediari, poi, si ritagliavano margini di guadagno maggiorando i costi di produzione imposti ai contoterzisti finali.

Ma il business più consistente stava a monte. Una borsa bauletto Prima classe era fatturata a 22 euro dal produttore reale, saliva a 25 euro e a 38 euro per i ricarichi nei due passaggi successivi della filiera, nei negozi veniva venduta a 350 euro.

Prassi illecite collaudate e radicate

La situazione fotografata – è scritto nelle carte dell’inchiesta e nel provvedimento di “commissariamento” parziale del tribunale, sezione Misure di prevenzione – suona come «un campanello d’allarme sintomatico di una più estesa e diffusa organizzazione della produzione».

E’ emersa la «connessione tra il mondo del lusso da una parte e quello dei lavoratori cinesi dell’altra, con un unico obiettivo: l’abbattimento dei costi e la massimizzazione dei profitti, attraverso l’elusione delle norme penali e giuslavoristiche».

La corsa a generare sempre maggiori utili è sfociata nel «cono d’ombra dell’economia sommersa popolata da imprese che cercano di risparmiare frodando i lavoratori, il fisco e il sistema previdenziale» e non investono nulla in formazione e in sicurezza.

Infortunio mortale in un contoterzista della Alviero Martini

Il 24 maggio 2023, nella ditta di Trezzano sul Naviglio finita tra quelle sotto inchiesta, contoterzista ufficiale della Aliviero Martini, perse la vita Abdul Ruman. Aveva 25 anni, veniva dal Bangladesh, era sposato da poco. Rimase schiacciato sotto un pesante macchinario.

Non era al primo giorno di lavoro, come dichiarò il principale e scrissero agenzie e giornali. La regolarizzazione fu tentata dopo il decesso. Solo a incidente avvenuto, partiti i controlli, «per camuffare l’effettivo status di lavoratore in nero» l’azienda inoltrò il modello telematico di assunzione del morto a Centro per l’impiego, Inps e Inail.

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Foto: via Pixabay

Alviero Martini: l’autodifesa dell’azienda di moda

La griffe sotto i riflettori ha risposto con una nota alle notizie diffuse da magistratura e carabinieri:

«La Alviero Martini comunica di essersi messa tempestivamente a disposizione delle autorità preposte, non essendo peraltro indagati né la società né i propri rappresentanti. Tutti i rapporti di fornitura sono disciplinati da un preciso codice etico a tutela del lavoro e dei lavoratori, al cui rispetto ogni fornitore è vincolato. Laddove emergessero attività illecite effettuate da soggetti terzi, introdotte a insaputa della società nella filiera produttiva e assolutamente contrarie ai valori aziendali, si riserva di intervenire nei modi e nelle sedi più opportune, al fine di tutelare i lavoratori in primis e l’azienda stessa».

Per la procura di Milano non c’era alcun controllo nella catena produttiva

Per la procura «la responsabilità della committente Alviero Martini, nel favorire la produzione in regime di sfruttamento, è assolutamente pacifica».

Il perché lo argomentano i giudici che seguono la vicenda, il presidente del tribunale Fabio Roia e due colleghi: «E’ fuor di dubbio che l’azienda non abbia mai effettivamente controllato la catena produttiva», omettendo di verificare «la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione», limitandosi a riscontrare l’iscrizione alla Camera di commercio delle imprese cui affidare le commesse.

Non ha nemmeno disposto «ispezioni o audit per appurare in concreto le condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro». Non solo. La Alviero Martini è rimasta «inerte», sempre a detta dei giudici, anche quando è venuta a conoscenza delle esternalizzazioni a ditte in sub appalto».

Due amministratori giudiziari per un anno

Da qui il provvedimento che ha messo la griffe in amministrazione giudiziaria, limitatamente ai rapporti con i fornitori e per un anno, un periodo necessario per consentire ai due professionisti designati dal tribunale di rivedere i contratti, adottare correttivi e mettere a punto procedure efficaci, in sinergia con i dirigenti aziendali.

Lavoratori costretti ad accettare condizioni svantaggiose

La Alviero Martini non risulta indagata. Lo sono invece una decina di imprenditori di origine cinese, ritenuti responsabili a vario titolo di caporalato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, omicidio colposo e altri reati ancora e multati per le violazioni amministrative. Per sei opifici è stata disposta la sospensione dell’attività.

Non è dato sapere che fine abbiano fatto i “dipendenti” in nero. Gli sfruttati trovati dai carabinieri del Nil – e più degli altri i clandestini, poi schedati dai militari – erano in uno stato «di bisogno e di difficile emancipazione ed inserimento sociale, costretti o quantomeno condizionati ad accettare condizioni di lavoro particolarmente svantaggiose». L’economia illegale funzionale all’economia legale.

Altre griffe del lusso senza modelli organizzativi efficaci

Il caso della Aliviero Martini non sembra isolato. «I grandi marchi – è rimarcato nel provvedimento del tribunale – mostrano una generalizzata carenza di modelli organizzativi».

Quelli evidenziati dagli accertamenti non sono «fatti episodici o limitati a singole partite di prodotti». Provano l’esistenza di un «sistema generalizzato e consolidato».

L’inchiesta in corso ha aperto uno squarcio sulla realtà italiana. Ma anche nel settore moda non poche produzioni sono state delocalizzate all’estero. L’azienda commissariata, ad esempio, si avvale di ditte site in Bulgaria, Romania e Cina.

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