
Somalia, le donne di Bilan per un’informazione libera e indipendente
Un gruppo di donne in Somalia ha creato un'emittente in grado di sfidare i tabù di cui è impregnata la società nel Paese africano. Con tutti i rischi che questo comporta. Ecco la storia di Bilan
La Somalia, primo Paese fallito della storia, dove dagli anni ’90 ad oggi perdura un conflitto anarchico che dapprima ha visto la contrapposizione tra le milizie dei signori della guerra e poi la lotta del gruppo jihadista Al Shabaab al governo centrale, è oggi il proscenio di una delle storie più icastiche e pervicaci, a livello globale, per quel che riguarda l’impegno femminile nella lotta per la parità di genere.
A Mogadiscio, cuore della Somalia, una delle ultime nazioni per quel che riguarda la libertà di stampa, è nata “Bilan”, in somalo “fare luce”, un’emittente tutta al femminile che fa informazione per le donne, contro la violenza nei confronti di madri e bambini e composta da un team di reporter femminili che, per fare informazione sulla condizione della donna nel Paese africano, ogni giorno rischiano la vita, costantemente minacciate da integralisti islamici e uomini somali che non accettano la presenza di donne armate di taccuino e videocamera per le vie delle loro città.
Somalia: donne di Bilan contro i tabù
Bilan, nato grazie ai fondi del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, nei suoi pochi mesi di vita ha già portato alla ribalta delle cronache temi tabù nello stato del Corno d’Africa, come l’epidemia di droga tra la popolazione femminile, la diffusione dell’Hiv e le mutilazioni genitali femminili, l’abbandono scolastico, gli abusi sulle donne vedove e gli orfani, le scuole per bambini autistici e su come la siccità colpisca le donne.
In Somalia i reportage di Bilan hanno raggiunto milioni di persone attraverso la radio, la TV e i canali dei social media. I resoconti di Bilan sono apparsi regolarmente anche sui media internazionali, tra cui il Guardian, la BBC ed El País, elevando il profilo delle giornaliste somale e dimostrando il valore e la caratura delle colleghe africane che riescono a fare un’informazione approfondita nonostante le minacce e le aggressioni che continuano a subire.
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Essere giornaliste in Somalia: le donne corrono rischi altissimi
Il Paese africano è uno dei posti peggiori al mondo in cui esercitare il mestiere di cronisti. Con più di 50 operatori dei media uccisi dal 2010, è uno dei luoghi più pericolosi per i giornalisti in Africa e non solo. La classifica di Reporter Senza Frontiere (Rsf) vede la Somalia al 141° posto su 180 paesi nel suo Press Freedom Index, e a minacciare la libertà di stampa non sono solo Al-Shabaab, ma anche le autorità somale, con tre giornalisti attualmente in stato di detenzione.
Fathi Mohamed Ahmed è la caporedattrice della testata Bilan e al quotidiano inglese The Guardian ha raccontato: «Quando mio padre scoprì la verità, ovvero che avevo intrapreso questo percorso professionale, mi disse di smetterla immediatamente. Lavorare nei media avrebbe distrutto il mio futuro e avrebbe portato vergogna a tutta la famiglia, diceva. Gli risposi che non potevo fermarmi, che il giornalismo era la mia vocazione. Alla fine, ha ceduto e ora tutta la mia famiglia è orgogliosa di me e del mio lavoro».
La storia di Bilan non è stata facile o esente da rischi .
«Ci sono state minacce da parte di funzionari governativi e gruppi islamici, i familiari di una nostra collega sono rimasti gravemente feriti in un attacco contro di lei. E tutti noi rischiamo la vita ogni giorno poiché viviamo in un paese in cui il più piccolo dei problemi si risolve con una pistola».
La fondatrice di Bilan aggiunge che «ci troviamo di fronte ad abusi anche semplicemente perché andiamo a lavorare. La gente ci urla contro in pubblico dicendoci di tornare a casa».
Somalia, situazione umanitaria e politica oggi
Il Paese del Corno d’Africa non è mai riuscito a risollevarsi dalla situazione di profonda crisi umanitaria e sociale che l’ha investito a partire dagli anni ’90 con lo scoppio della guerra civile.
Dagli inizi degli anni Duemila, invece, è stata la comparsa dell’Unione delle Corti Islamiche prima, e di Al Shabaab poi, a far sprofondare l’ex colonia italiana in uno stato di guerra assoluta tra il gruppo qaedista e il debole governo centrale.
Ad oggi la formazione islamista amministra ampie porzioni del territorio, soprattutto nell’entroterra, mentre il Paese versa in una situazione umanitaria estremamente precaria.
Nel solo primo trimestre del 2023, 480.000 persone sono state sfollate a causa dei combattimenti tra gruppi paramilitari e forze lealiste, 580.000 cittadini vivono in aree sotto il controllo di forze irregolari, in tutto il paese si conta più di un milione di sfollati e sono quasi 4 milioni le persone considerate a rischio insicurezza alimentare.
Inoltre, a dicembre 2024 dovrebbe compiersi il ritiro del contingente di peacekeeping dell’Unione Africana e il rischio è quello di assistere a uno scenario afghano con il ritorno al potere delle formazioni jihadiste. Ma nonostante i timori e le incognite per il futuro, l’obiettivo delle giornaliste somale è definito e concreto.
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Donne di Bilan per una Somalia libera e informata
«Essere una donna giornalista in Somalia significa votare la propria vita all’informazione e alla causa dei diritti delle donne. Bilan ha rivoluzionato l’agenda delle notizie in Somalia», ha affermato Abdallah Al Dardari, direttore dell’Ufficio regionale per gli Stati arabi del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite all’agenzia Reuters. E ha aggiunto: «Con la loro voce unica stanno creando una domanda di cambiamento e di un migliore trattamento delle donne e delle ragazze che non può essere ignorata».
La caporedattrice di BIlan Fathi Ahmed ha detto:
«Oltre alle minacce, riceviamo però anche tante parole di incoraggiamento, soprattutto da donne, ma anche da alcuni uomini, della società somala. Per il nostro futuro abbiamo grandi progetti, vogliamo portare Bilan anche nell’entroterra, nelle aree rurali, dove la situazione è estremamente critica e noi, donne di Bilan, non dobbiamo darci per vinte o farci intimorire, mai. Se noi, che siamo donne somale, riusciamo a vincere qui in Somalia dando vita al nostro sogno e voce alle nostre concittadine, significa allora che c’è speranza e possibilità di riscatto e giustizia per tutte le donne del mondo».