Disuguaglianza sociale: il potere a servizio di pochi
Dal 2020 a oggi i cinque uomini più ricchi del mondo hanno raddoppiato il patrimonio, mentre 5 miliardi di persone rimangono in condizioni di povertà. I dati del nuovo rapporto di Oxfam International denunciano la disuguaglianza sociale nel mondo
Negli ultimi 4 anni i cinque uomini più ricchi al mondo hanno raddoppiato il proprio patrimonio, mentre 5 miliardi di persone più povere hanno visto invariata la propria condizione.
Ai ritmi attuali, ci vorranno più di 2 secoli per porre fine alla povertà, ma entro 10 anni il mondo potrà avere il primo trilionario.
È quanto emerge da Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi, il nuovo rapporto che Oxfam ha diffuso in vista del 54esimo World Economic Forum, il meeting mondiale che si tiene a Davos, sulle Alpi svizzere, dal 15 al 19 gennaio.
«Il nuovo rapporto accende i riflettori sulle disuguaglianze generate a livello globale da un potere economico fuori controllo e un potere politico incurante delle fratture nelle nostre società», scrive Oxfam Italia, che ha lanciato la petizione La grande ricchezza per chiedere un’imposta europea sui grandi patrimoni.
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Disuguaglianza sociale: ricchezza in mano a pochi ricchi
Elon Musk (ad di Tesla, SpaceX e proprietario di X), Bernard Arnault (ad di Lvmh, la più grande aziende francese), Jeff Bezos (fondatore e proprietario di Amazon), Larry Ellison (fondatore di Oracle Corporation) e Warren Buffett (ad di Bershire Hathaway) sono i 5 uomini più ricchi al mondo. Dal 2020 a oggi i loro patrimoni sono passati da 405 a 869 miliardi di dollari: con una crescita che galoppa a un ritmo di 14 milioni di dollari l’ora.
La ricchezza complessiva di quasi 5 miliardi di persone più povere non ha mostrato alcuna crescita. La loro condizione di povertà non è pressoché cambiata negli ultimi 4 anni.
«Il rapporto ci dice che 7 delle dieci società più grandi al mondo hanno un miliardario come ad o azionista di riferimento. Queste corporation hanno un valore di 10.200 miliardi di dollari, superiore al Prodotto interno lordo combinato di tutti i Paesi dell’Africa e dell’America Latina. Sembra di vivere in un film distopico, di trovarci agli albori di un decennio dei grandi divari, con miliardi di persone a sopportare il peso di epidemie, inflazione, guerre, e una manciata di super ricchi che moltiplicano le proprie fortune a ritmi parossistici», ha detto Amitabh Behar, direttore esecutivo ad interim di Oxfam International.
Estrema ricchezza e interesse collettivo: i dati della disuguaglianza
L’aumento della ricchezza estrema nell’ultimo triennio è stato poderoso, mentre la povertà globale rimane inchiodata a livelli pre-pandemici. Oggi, i miliardari sono, in termini reali, più ricchi di 3.300 miliardi di dollari rispetto al 2020 e i loro patrimoni sono cresciuti tre volte più velocemente del tasso di inflazione.
«Il potere economico delle grandi aziende è oggi decisamente fuori controllo, una macchina che alimenta le disuguaglianze. Rendite monopolistiche, compressione dei costi e dei diritti dei lavoratori, elusione delle imposte che concorrono ad ampliare le fortune dei ricchi azionisti. L’estrema ricchezza è potere. Un potere spesso esercitato per condizionare le politiche pubbliche preservando le posizioni di privilegio di sparute minoranze a discapito dell’interesse collettivo e minando alla base l’essenza stessa della democrazia», ha aggiunto Behar.
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Il 2023 è stato l’anno più redditizio di sempre
L’incremento dei patrimoni dei miliardari rispecchia la straordinaria performance delle società che controllano. Il 2023 è destinato, in particolare, ad essere ricordato come», anno più redditizio di sempre.
Complessivamente, 148 tra le più grandi aziende al mondo hanno realizzato profitti per circa 1.800 miliardi di dollari tra giugno 2022 e giugno 2023, con un aumento del 52,5% degli utili rispetto alla media dei profitti nel quadriennio 2018-2021.
Per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 tra i maggiori colossi globali, 82 sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari, dice Oxfam.
Lavoro duro, precario e poco sicuro: cosa significa disuguaglianza sociale
Chi lavora in queste stesse aziende, spesso in modo precario e in condizioni di insicurezza, e contribuisce alla loro ricchezza, non è ricompensato in modo adeguato.
L’analisi di Oxfam dei dati della World Benchmarking Alliance relativi a 1.600 tra le più grandi aziende del mondo rivela che solo lo 0,4% di esse si è pubblicamente impegnato a corrispondere ai propri lavoratori un salario dignitoso e a supportarne l’introduzione lungo le proprie catene di valore.
A essere penalizzate maggiormente sono le donne: una lavoratrice del settore socio-sanitario impiegherebbe 1.200 anni per ottenere la retribuzione media percepita dall’amministratore delegato di una delle cento aziende più grandi, secondo Fortune.
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Il tema della disuguaglianza sociale nel mondo del lavoro
Durante la fase più acuta delle crisi inflattiva le imprese sono riuscite a tutelare i propri margini di profitti, ma la stessa cosa non è successa ai lavoratori. Ampi segmenti della forza lavoro hanno, al contrario, perso potere d’acquisto.
Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore.
Come combattere la disuguaglianza sociale nel mondo
Usare il potere politico per rendere la società più equa, ridare dignità al lavoro, investire in servizi di qualità accessibili a tutti, agire sulla leva fiscale per ridurre le disuguaglianze. Ecco come uscirne secondo Oxfam.
«Esiste una via di uscita da questo status quo: il potere pubblico deve riacquistare centralità, i governi devono usare il loro potere politico per promuovere società più eque, investendo in beni e servizi pubblici di qualità accessibili a tutti, ridando potere, dignità e valore al lavoro, agendo sulla leva fiscale per appianare le disuguaglianze. I governi devono anche ricondurre il potere economico a obiettivi che vadano a beneficio dell’intera collettività, spezzando i regimi monopolistici, tutelando la concorrenza, tassando gli enormi profitti aziendali, incoraggiando, anche per via normativa, il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità sociale ed ambientale», conclude Behar.
Anche in Italia aumentano i patrimoni dei più ricchi
In Italia, il quadro distribuzionale tra il 2021 e il 2022 mostra quasi un dimezzamento della quota di ricchezza detenuta dal 20 per cento più povero, a fronte di una sostanziale stabilità della quota del 10 per cento più ricco degli italiani.
La forbice si amplia: se a fine 2021 la ricchezza del 10 per cento più ricco della popolazione era 6,3 volte superiore a quella detenuta dalla metà più povera, nel 2022 la superava 6,7 volte. Salendo al vertice della piramide distributiva, le consistenze patrimoniali nette dell’1 per cento più ricco (titolare, a fine 2022, del 23,1 per cento della ricchezza nazionale) erano oltre 84 volte superiori alla ricchezza detenuta complessivamente dal 20 per cento più povero della popolazione italiana.
Disuguaglianza sociale in Italia: cresce il numero dei miliardari
Dall’inizio della pandemia fino al mese di novembre 2023 il numero dei miliardari italiani è aumentato di 27 unità (passando da 36 a 63) e il valore dei patrimoni miliardari (pari a 217,6 miliardi di dollari a fine novembre 2023) è cresciuto in termini reali di oltre 68 miliardi di dollari (+46%).
Nel corso del 2023 è cresciuto sensibilmente anche il numero dei multimilionari italiani: l’insieme dei titolari di patrimoni finanziari superiori a 5 milioni di dollari ha visto 11.830 nuovi ingressi su base annua. Il valore complessivo dei loro asset è lievitato nel corso dell’anno passato di 943 miliardi di dollari in termini reali.
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Aumenta l’incidenza della povertà assoluta in Italia: i dati
La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi netti equivalenti in Italia è rimasta pressoché stabile nel 2021 (ultimo anno per cui le stime distribuzionali sono accertate) rispetto al 2020, grazie a un ruolo incisivo dei trasferimenti pubblici emergenziali e del reddito di cittadinanza.
Il profilo poco ugualitario della distribuzione dei redditi colloca il nostro Paese in 21esima posizione sui 27 Paesi membri dell’Unione europea.
Nel 2022 la povertà assoluta mostrava in Italia una maggiore diffusione rispetto all’anno precedente: oltre 2 milioni e 180 mila famiglie (5,6 milioni di individui) non avevano le risorse mensili sufficienti ad acquistare beni e servizi essenziali.
L’incidenza della povertà a livello familiare è passata in un anno dal 7,7 all’8,3%, mentre quella individuale è cresciuta dal 9,1 al 9,7 per cento. Un aggiornamento che si colloca in coerenza con il trend più che ventennale di crescita della povertà in Italia, sospinta da una perdurante stagnazione economica e dagli effetti non cicatrizzati delle crisi che nel nuovo millennio si sono abbattute sul nostro Paese.
«L’aumento tra il 2021 e il 2022 dell’incidenza della povertà assoluta è attribuibile in larga parte e malgrado il buon andamento dell’economia italiana nel 2022, all’impennata dell’inflazione e ai suoi impatti più incisivi sulle famiglie a bassa spesa rispetto a quelle benestanti», ha detto Mikhail Maslennikov, policy advisor sulla giustizia economica di Oxfam Italia.
Secondo Maslennikov, la dinamica del 2023 risentirà verosimilmente del rallentamento dell’economia nazionale e della minore capacità delle famiglie di fare affidamento sui propri risparmi: «Peseranno anche la riduzione delle misure compensative contro l’impennata dei prezzi nella fase di rientro dall’inflazione, e la portata degli strumenti che hanno sostituito il reddito di cittadinanza. Misure che segmentano la platea dei poveri secondo discutibili criteri di meritevolezza, i cui beneficiari si stima potranno ridursi di 500 mila unità rispetto alle famiglie eleggibili per il reddito di cittadinanza. Misure destinate ad aumentare la disuguaglianza, l’indigenza e l’esclusione sociale».
Disuguaglianza sociale in Italia: il mercato del lavoro
Nonostante alcuni segnali positivi, come il tasso di occupazione al 61,3% delle persone tra i 15 e i 64 anni, persistono problemi strutturali nel mercato del lavoro italiano.
Nel rapporto Oxfam Italia sottolinea gli ampi squilibri territoriali tra aree ad alta e bassa occupazione, oltre che forti ritardi rispetto agli indicatori Ue o di Paesi omologhi dell’Italia, come Francia e Germania.
Il miglioramento registrato dagli indicatori italiani è sempre più agevolato dalla dinamica demografica negativa del nostro Paese.
I nodi irrisolti che aumentano il lavoro povero
In Italia sono ancora molti i nodi irrisolti per quanto riguarda il mercato del lavoro: la perdurante stagnazione salariale e la contenuta produttività del lavoro, i forti ritardi occupazionali, la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico.
La conseguenza? Marcate disuguaglianze retributive e sempre più lavoratori poveri.
«Piuttosto che prendere di petto le debolezze strutturali del mercato del lavoro italiano, gli interventi del governo rischiano di esacerbarle. L’assenza di una chiara politica industriale, orientata alla creazione di posti di lavoro di qualità, costituisce una rinuncia a contrastare l’indebolimento dell’economia nazionale e a riqualificare lo sviluppo del Paese in campo tecnologico e ambientale. L’ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine e del lavoro occasionale rischia di rafforzare le trappole della saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa. L’opposizione al salario minimo legale è infine una scelta emblematica di un profondo disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti, impiegati in settori in cui la forza dei sindacati è minima», ha aggiunto Maslennikov.
Un’agenda politica per l’uguaglianza e l’equità
La riduzione delle disuguaglianze rappresenta un tema cui nessun governo, al netto della retorica, ha finora attribuito centralità d’azione.
Secondo l’ong, il governo Meloni non fa eccezione e il suo primo anno è stato caratterizzato da politiche del lavoro incapaci di ridimensionare il fenomeno della povertà lavorativa, da una riforma fiscale che riduce l’equità e l’efficienza del sistema impositivo italiano e dall’abbandono dell’approccio universalistico alla lotta alla povertà in nome di una visione categoriale e in favore di interventi che, lungi dal correggere le note criticità del reddito di cittadinanza, inaridiscono lo schema di reddito minimo, negando dignità e speranza a troppi.
«Invertire la rotta e fare sì che il potere politico torni ad interessarsi del benessere economico e sociale dei più fragili è cruciale».
Disuguaglianza sociale: cosa dovrebbe fare il governo italiano
Secondo l’organizzazione, in Italia il governo dovrebbe adottare misure di contrasto alla povertà a vocazione universale, ripensando le misure per l’inclusione sociale e lavorativa introdotta nel 2021, riabbracciando l’approccio universalistico che garantisce a chiunque si trovi in difficoltà la possibilità di accedere a uno schema di reddito minimo fruibile fino a quando la condizione di bisogno persiste.
Servirebbero anche misure in materia fiscale per una maggiore equità del sistema impositivo: andrebbe riconsiderato il rafforzamento della funzione redistributiva della leva fiscale, si dovrebbe favorire una generale ricomposizione del prelievo (con lo spostamento della tassazione dal lavoro su profitti, interessi e rendite finanziarie), tutelando l’equità orizzontale del sistema impositivo.
Inoltre, il governo dovrebbe prevedere l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni. Per questo Oxfam ha lanciato la raccolta di firme “La grande ricchezza” a supporto di un’iniziativa dei cittadini europei. In Italia l’imposta riguarderebbe lo 0,1% più ricco della popolazione, con un patrimonio netto individuale superiore ai 5,4 milioni di euro. E il gettito stimato sarebbe compreso tra i 13,2 e i 15,7 miliardi di euro all’anno.
A questo si dovrebbe aggiungere una serrata lotta all’evasione fiscale e lo stop agli interventi condonistici che sviliscono la fedeltà fiscale.
Infine, il governo dovrebbe adottare misure per contrastare il lavoro povero: adottare un salario minimo legale, estendere a tutti l’efficacia dei principali contratti collettivi nazionali di lavoro, disincentivare l’uso di contratti non standard, introdurre limiti all’esternalizzazione del lavoro e ridurre le forme di lavoro a tempo determinato e condizioni di accesso agli incentivi per le imprese come il rinnovo dei contratti collettivi scaduti.