Armenia – Azerbaijan: si teme una nuova guerra nel Caucaso
La tensione tra Armenia e Azerbaijan resta alta anche dopo la fine del Nagorno Karabakh. E c'è chi prevede una sanguinosa guerra tra Yerevan e Baku
I bombardamenti a tappeto sulla capitale e i villaggi del Nagorno Karabakh, l’esodo degli armeni dell’Artsakh dalla loro terra d’origine, l’arresto dei leader politici armeni e il loro trasferimento nelle carceri di Baku. E poi i video che ritraggono il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev entrare trionfante per le vie di Stepanakert (capitale dell’Artsakh, oggi ribattezzata dall’esecutivo azero Khankendi) e calpestare la bandiera del Nagorno Karabakh.
Sono tanti i segnali che indicano come la situazione tra Armenia e Azerbaijan, nonostante la scomparsa dell’ex autoproclamata repubblica armena, non sia affatto volgendo verso una pace stabile e duratura, ma continua anzi a rimanere tesa e il rischio reale è che la guerra nel Caucaso possa estendersi e coinvolgere direttamente Yerevan e Baku.
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Armenia – Azerbaijan: guerra latente da oltre un anno
Una situazione di tensione e di guerra latente tra Armenia e Azerbaijan prosegue da più di un anno. Gli scontri alla frontiera tra l’esercito armeno e quello azerbaigiano sono diventati ordinari a partire dall’estate del 2021 e hanno raggiunto il loro apice nel settembre del 2022.
L’anno scorso, infatti, le truppe di Baku hanno lanciato un’offensiva in Armenia arrivando ad occupare e prendere controllo, prendendo in considerazione il periodo dal 2020 ad oggi, di oltre 150 chilometri quadrati di territorio della Repubblica d’Armenia.
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Confine armeno-azero: il villaggio di Sotk
Nella zona di confine, uno dei villaggi che sono stati maggiormente toccati dai combattimenti è stato il piccolo paese di Sotk. Macerie e case riparate con tetti di lamiera sono la muta testimonianza di cosa è stato il conflitto del 2022, quando il villaggio è stato attaccato e investito da un intenso fuoco di sbarramento da parte delle truppe di Baku.
Oggi il fronte è distante solo 3 chilometri dal centro abitato, gli scontri sulla linea di contatto sono ordinari e la vita degli abitanti rimasti nel piccolo borgo armeno è scandita dalla paura, dall’impotenza e dal suono dei colpi dell’artiglieria.
«Prima che la guerra ci travolgesse qui a Sotk era davvero una bella vita. I campi davano ricchi frutti, avevamo il bestiame e in tutte le case c’erano luce e acqua corrente», dice a Osservatorio Diritti Susanna Mandelyan, più di 50 anni di età, che risiede insieme a suo padre in una casa provvisoria perché la sua è stata distrutta dai bombardamenti.
«Oggi la nostra esistenza è una sofferenza infinita. Ogni giorno ci svegliamo e non sappiamo se ci sarà una guerra o un cannoneggiamento. Tutti abbiamo paura che possa scoppiare un conflitto e che quello che è successo alla gente dell’Artsakh possa succedere a noi. La paura più grossa che abbiamo non è quella di morire, ma quella di vivere».
Terra contesa tra Armenia e Azerbaijan
A inizio novembre l’istituto Lemkin, che monitora la situazione dei diritti umani nel mondo con lo scopo di prevenire i genocidi, ha lanciato un’allerta rossa per quel che riguarda il rischio di una possibile aggressione dell’Azerbaijan nei confronti dell’Armenia.
A fine agosto l’esecutivo di Baku aveva ammassato truppe lungo tutto il confine, chiamando i riservisti a raccolta. In seguito, anche dopo l’attacco al Nagorno Karabakh, sono proseguiti scontri lungo il confine tra le due ex repubbliche sovietiche.
Oggi la questione che continua a provocare tensioni e rischi di escalation tra i due Paesi è la provincia di Syunik, chiamata dai turchi e dagli azeri corridoio di Zangezur: il territorio della repubblica d’Armenia che separa l’exclave azera del Nachicevan e il territorio dell’Azerbaijan.
L’esecutivo di Aliyev, con l’appoggio del presidente della Turchia Erdogan, rivendica l’apertura di un corridoio che attraversi il territorio armeno e metta così in diretta comunicazione le aree dell’Azerbaijan e, di riflesso, anche la Turchia, andando così a completare il sogno pan-turco di un’unione dei popoli turanici dalla penisola anatolica sino all’Oriente.
Il progetto, oltre ad essere osteggiato e condannato dall’Armenia, che accusa il vicino azero di attentare alla propria sovranità territoriale, ha raccolto l’opposizione anche dell’Iran che, in una prima fase, ha dichiarato che avrebbe impedito con ogni mezzo un cambio dello status quo della situazione ai suoi confini.
Nonostante l’intervento di Theran, la disputa relativa alla provincia Syunik continua però a rimanere una questione di primaria importanza per l’amministrazione azera, che ha rinominato il territorio conteso “Azerbaijan occidentale” rivendicandone un’appartenenza territoriale e fomentando l’irredentismo interno in una maniera che, con le debite proporzioni, ricorda quanto avvenuto in Nagorno Karabakh e che fa temere in maniera concreta il rischio di un nuovo conflitto.
«L’Azerbaijan potrebbe attaccare l’Armenia nelle prossime settimane», ha dichiarato in ottobre il segretario di stato americano Anthony Blinken.
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Aria di conflitto nelle exclave azere e nei territori contesi
«Io ho sempre avuto un sogno, trasferirmi a Meghri, e quando ho raggiunto la pensione, dopo aver lavorato per anni in Russia come autista, con i risparmi di una vita sono venuto in questo angolo di mondo e ho costruito la mia casa».
A parlare così è Giorgiy Mkrtchyan, che vive nell’ultima casa dell’ultima città armena al confine con l’Iran. Un giardino ricco di frutti e fiori, un leggero vento che trasporta il profumo del glicine e del gelsomino e un panorama da incanto.
Davanti a lui le montagne iraniane che abbracciano il fiume Arax, intorno il sogno di sempre.
«Qui è dove il governo azero vorrebbe che passasse il corridoio che mette in comunicazione l’Azerbaijan con il Nachicevan. Questo significa che se ciò avvenisse io perderei tutto e verrei cacciato dalla mia casa e dalla mia terra. Se ciò avvenisse non avrei più alcuna ragione di vita».
Armenia – Azerbaijan, i faticosi colloqui di pace
Il dramma che sta attraversando Giorgiy è lo stesso dei cittadini che vivono nelle ex exclave azere presenti sul territorio armeno. Villaggi che, per la politica del divide et impera, il governo sovietico consegnò ai due paesi, così che una minoranza etnica armena e azera fosse presente sia in Azerbaijan sia in Armenia e oggi queste decisioni, risalenti all’epoca socialista, stanno divenendo un ulteriore fattore di rivendicazione tra i due stati.
Gli incontri per arrivare a un definitivo accordo di pace continuano a vedere defezioni di entrambi i leader. Aliyev si è rifiutato di presentarsi a Granada il 5 ottobre e Pashinyan ha fatto lo stesso a Bishek, in Kirghizistan.
Ma se il leader armeno ha dichiarato di essere pronto a riconoscere l’integrità territoriale dell’Azerbaijan e che la pace deve costruirsi intorno al riconoscimento dell’integrità territoriale dei due Paesi, la delimitazione dei confini sulla base della dichiarazione di Alma Ata del 1991 e l’enunciazione di un progetto infrastrutturale ad ampio respiro denominato “Crocevia della pace”, la mano non è stata tesa in modo altrettanto conciliatorio dai rappresentanti politici di Baku.
E ora che l’Armenia si sta allontanando dalla Russia e avvicinandosi all’Occidente, il timore è che il Caucaso possa divenire un nuovo terreno di scontro nello scacchiere politico internazionale.