Cop28 Dubai, ricchi contro poveri: «Lo scontro sarà sui fondi»
Dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 tornano i colloqui sul clima delle Nazioni Unite. La Cop28 di Dubai, negli Emirati Arabi, rischia di acuire la dicotomia tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri. Ne abbiamo parlato con Marirosa Iannelli, coordinatrice Clima & Advocacy dell’Italian Climate Network
Per un paio di settimane oltre 70 mila rappresentanti delle Nazioni Unite provenienti da tutto il mondo si riuniranno a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, per tentare di conciliare la tutela degli interessi domestici con l’impegno preso dall’Accordo di Parigi per mitigare gli effetti devastanti della crisi climatica globale.
Marirosa Iannelli è un’esperta di cambiamento climatico e transizione ecologica; è presidente del Water Grabbing Observatory e coordinatrice Clima & Advocacy di Italian Climate Network. A lei Osservatorio Diritti ha chiesto cosa dovremmo aspettarci da questi negoziati.
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La Cop27 si era conclusa con l’istituzione del fondo a beneficio dei paesi più poveri che, pur avendo contribuito meno al cambiamento climatico, ne sono i più colpiti. Cosa dobbiamo aspettarci dalla Cop28 a Dubai?
L’istituzione del fondo loss and damage è stato un risultato storico, perché costituisce la terza gamba dell’Accordo di Parigi, che adesso può poggiare non più solo su mitigazione e adattamento, ma anche sul capitolo “perdita e danni”. Adesso però c‘è da implementarlo, non solo a livello di meccanismi, procedura erogazioni… va proprio riempito anche con dei soldi veri e propri. Questo secondo me è il centro dello scontro che ci sarà a Dubai tra i Paesi ricchi del Nord e quelli del Global South.
Uno scontro che si fa sempre più acuto ad ogni Cop…
Negli ultimi negoziati, i due blocchi si son sempre più delineati, non soltanto per quanto riguarda il phase down e il phase out (riduzione graduale della produzione di energia dal carbone, al posto della eliminazione ndr), ma anche riguardo la necessità dei paesi del Sud globale di richiamare il mondo alle responsabilità storiche dei grandi emettitori. Questo acuirsi è molto concentrato rispetto al tema dei fondi e della finanza climatica, quindi dei soldi necessari ai Paesi maggiormente impattati dai cambiamenti climatici.
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Cos’altro dovremmo sapere sulla Cop28 di Dubai?
Innanzitutto che è il primo momento di global stocktake, ossia di condivisione e analisi dei risultati ottenuti fino ad oggi da ogni paese sotto il regime dell’Accordo di Parigi: ciò che si è fatto, si deve e si dovrà fare rispetto alla redazione e implementazione dei cosiddetti NDCs (Nationally Determined Contributions), i piani nazionali su emissioni, adattamento e finanza per il clima a livello domestico. Per questo, la Cop28 è considerata molto importante, benché più tecnica. Perché a partire da questa, poi, ogni 5 anni si farà una revisione, per capire se tutti i paesi hanno mantenuto gli impegni presi di negoziato in negoziato. È un passaggio fondamentale, perché se vogliamo contenere sul breve, medio e lungo periodo le emissioni di gas clima alteranti dobbiamo ovviamente fare delle tappe intermedie. E controllare che ognuno faccia la propria parte.
E i paesi finora hanno fatto la loro parte?
No. Anzi, con gli impegni e le politiche messe in atto finora siamo ancora molto lontani dal rispettare quella famosa soglia di 1,5°C che la scienza ci dice essere fondamentale, e che era poi l’impegno preso con gli Accordi di Parigi. È un obiettivo ancora lontano perché la riduzione delle emissioni di gas clima alteranti non sta procedendo come dovrebbe e quindi l’ambizione necessaria in questa Cop28, e soprattutto nelle prossime 5 che saranno poi i momenti di revisione degli NDCs, saranno fondamentali.
La guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente rischiano di distogliere l’attenzione?
La componente geopolitica è molto rilevante nei negoziati climatici. Da una parte c’è il tema dell’energia, dell’approvvigionamento energetico che non è secondario per diversi Paesi, a partire da quelli europei, destabilizzati, da questo punto di vista, dalla guerra in Ucraina. Dall’altra parte è da sottolineare che comunque i negoziati sul clima riescono a far sedere allo stesso tavolo paesi che in altri contesti internazionali di democrazia magari non dialogano. La Cop28 in questo senso deve e può rappresentare un’occasione per dare rilievo a quello che è la crisi climatica anche rispetto alle guerre in corso.
La presidenza degli Emirati Arabi Uniti la rende una Cop a rischio greenwashing?
Il timore c’è ed è fondato. Gli attivisti, i movimenti e la società civile hanno fatto emergere la forte criticità nei confronti della sede, anche perché il presidente designato di Cop28 è anche a capo di una compagnia petrolifera (Ahmed Al Jaber è amministratore delegato del gigante petrolifero statale Adnoc – Abu Dhabi National Oil Company, ndr). Si teme dunque che questa Cop possa puntare più sulla diversificazione che sulla transizione energetica, perché questo è ciò a cui punta la presidenza: diversificare le varie energie, magari anche potenziare le energie rinnovabili, ma comunque non eliminare le fonti fossili. Poi c’è anche da dire che ogni presidenza però vuol fare bella figura e quindi ci aspettiamo una spinta sul fronte della finanza climatica, dell’erogazione di fondi per mitigazione e adattamento nei vari paesi.
Per gli attivisti c’è anche il tema della sicurezza e dei diritti umani. Dopo l’Egitto, un altro Paese controverso quanto a diritti umani e democrazia…
In contesti del genere i movimenti devono muoversi con molta attenzione, non solo in loco, ma anche sui social network. Il fatto che avvengano i negoziati in paesi poco democratici o che violano i diritti umani è comunque importante, perché permette di accendere i riflettori anche su questi temi.