Colombia, il governo chiede perdono alle Madri di Soacha
Il governo colombiano si è scusato pubblicamente per le esecuzioni extragiudiziali di 19 civili assassinati dall'esercito e registrati come combattenti ribelli (i cosiddetti "falsi positivi") durante uno dei periodi più violenti della guerra civile del paese sudamericano
«Riconosciamo che ci sono stati atti dolorosi commessi da membri dell’esercito nazionale che non sarebbero mai dovuti accadere», ha commentato martedì 3 ottobre il generale Luis Ospina, durante un evento nella centrale piazza Bolivar a Bogotá, in Colombia.
Un evento già diventato storico: è infatti la prima volta che il governo colombiano chiede ufficialmente scusa ai parenti di alcuni dei 6.402 civili assassinati dai soldati per presentarli, a volte vestiti da guerriglieri, come vittime del nemico durante la guerra civile che ha insanguinato il paese dell’America Latina.
Le parole del generale Ospina non sono state le uniche. Sul podio, a chiedere perdono a quelle madri che dal 2010 si sono costituite nell’associazione Madres de Falsos Positivos de Soacha y Bogotá (Mafapo), è salito l’attuale ministro della Difesa, Iván Velasquez.
«Siamo qui a chiedere perdono sapendo nonostante ciò che sarà difficile ottenerlo, perché lo Stato ha cercato di nascondere la verità, perché ci sono state autorità che hanno agito come se questi fatti non fossero accaduti nel modo in cui sappiamo essere accaduti», ha commentato il ministro.
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Madri di Soacha, un lungo cammino cominciato nel 2008
Queste scuse arrivano 15 anni dopo i fatti Soacha, comune di circa 800 mila abitanti situato sud della capitale colombiana e facente parte della sua area metropolitana. Scuse ordinate da un atto del Tribunale del Nord di Santander nel 2015, ma che lo Stato non aveva ancora pronunciato.
«Sono Blanca Rubia Monroy, madre di Julián Oviedo Monroy , un giovane scomparso il 2 marzo del 2008 e ucciso il 3 marzo del 2008. Lo hanno attirato fuori dalla città con una offerta di lavoro falsa, portandolo ad Ocaña (Dipartimento del Nord di Santander) dove è arrivato alle 9h00 di mattina del 3 di marzo, nel pomeriggio, intorno alle 14h00-14h30, lo hanno ucciso»
Le parole lapidarie di una delle madri delle 19 vittime, raccolte nel documentario prodotto dalla Commissione della Verità nel 2022 Hacer visible lo invisible – Madres de falsos positivos (Rendere visibile l’invisibile – Madri di falsi positivi).
Fin dalla notizia della morte dei loro cari le madri di Soacha non si sono arrese. Dopo essersi costituite in un’associazione, hanno continuato per anni a denunciare le incongruenze della versione ufficiale dell’esercito. Le prime sentenze a loro favore sono arrivate nel 2011 da un tribunale di Cundinamarca (dipartimento nel quale si trova Soacha) e successivamente dalla giustizia del dipartimento del Nord di Santander (2015).
La svolta è arrivata con la costituzione della Giurisdizione Speciale per la Pace (Jep in spagnolo, creata nel 2016, dopo gli Accordi di Pace), alla quale le madri hanno presentato un report dettagliato nel 2018.
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Colombia e terrorismo di Stato
Il cammino di lotta di queste instancabili madri e familiari delle vittime di Soacha è stato lungo e tortuoso e si è scontrato per molti anni con il muro di gomma di istituzioni parte di un terrorismo di Stato, acuitosi durante il governo di Álvaro Uribe Vélez, presidente della Repubblica di Colombia dal 7 agosto 2002 al 7 agosto 2010.
A dirlo è la Jep, che nel febbraio 2021 diffuse questa cifra, legandola al periodo della parapolitica di Uribe. Su Osservatorio Diritti vi avevamo parlato delle migliaia di omicidi di persone comuni commessi dall’esercito colombiano, persone successivamente camuffate da guerriglieri per spacciarli come tali: quello che in Colombia è conosciuto, appunto, come falso positivo (leggi Colombia: presidenza Uribe, uccise oltre mille persone l’anno dai militari).
Per ogni guerrigliero ucciso l’esercito riceveva un beneficio, una specie di concorso a premi, che consisteva in permessi di vacanza, denaro o promozioni. E così i ragazzi dei quartieri più poveri delle grandi città colombiane venivano ingannati con promesse false di lavoro e portati in zone di combattimento. Una volta sul posto, alcuni membri dell’esercito simulavano uno scontro a fuoco con la Farc (Forza armata rivoluzionaria colombiana), realizzando in modo sistematico delle vere e proprie esecuzione extragiudiziali, contabilizzando poi queste morti come uccisioni di nemici in uno scontro armato. Un guerrigliero morto, nel gergo dell’esercito, era appunto un positivo.
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Le scuse del governo colombiano
«Grazie a questa lotta costante, sono riuscite non solo a ritrovare i loro figli (i corpi), ma anche a conoscere le circostanze in cui sono stati assassinati”, ha aggiunto il ministro Velasquez durante l’evento del 3 ottobre scorso.
Parole che fanno riferimento a una tenacia che ha contraddistinto queste donne che non hanno mai creduto che i loro figli fossero dei guerriglieri e che hanno lottato incessantemente fino ad oggi.
Una lotta che le ha fatte conoscere anche internazionalmente e che, nel 2012, ha portato cinque di loro – Luz Marina Bernal, Carmenza Gómez, Maria Sanabria, Melida Bermúdez e Lucero Carmona – a ricevere il premio “Costruttore di Pace”, assegnato dall’Institut Català Internacional per la Pau e consegnata loro nel 2013 nel parlamento della Catalogna.
L’evento del 3 ottobre scorso a Bogotà ha segnato un punto d’arrivo, ma forse non un punto finale. L’attuale presidente colombiano, Gustavo Petro, che non ha potuto assistere all’atto, si è unito alla richiesta di perdono, ma le madri non hanno risparmiato polemiche dal palco.
Ana Adelina Paez, madre di una delle vittime, ha sottolineato che il perdono non equivale alla giustizia e alla sua voce si sono unite quelle di altre madri che, stringendo tra le mani le foto dei loro figli massacrati dall’esercito, hanno chiesto dove fossero i rappresentanti dei governi passati, veri responsabili dei fatti.