Gender gap pensionistico: donne, eterne svantaggiate
Il gender gap pensionistico raggiunge ogni settore: le donne ricevono pensioni più basse e in media possono ritirarsi dal lavoro più tardi. In generale, inoltre, il sistema penalizza uomini e donne appartenenti alle classi meno abbienti. Lo rivelano i dati contenuti nel rapporto annuale dell'Inps
Retribuzioni più basse, limitate possibilità di carriera, presenza ridotta nei ruoli apicali, maggior ricorso al part time, interruzioni lavorative o rinuncia all’impiego per maternità o cura familiari, occupazioni atipiche e irregolari, discriminazione.
Per le donne le differenze e le disuguaglianze nella vita lavorativa continuano ad avere ricadute negative anche sulle pensioni, dove il gender gap resta pesante: in media i pensionati Inps percepiscono un importo mensile lordo superiore di oltre il 36% a quello incassato dalle coetanee. La differenza sfiora il 38% se si fa riferimento “solo” alle pensioni e alle indennità erogate dall’Istituto nazionale di previdenza sociale, il 96%, più di 16 milioni.
Gender gap e pensioni, categoria per categoria
Un falegname appena andato in pensione percepisce 1.087,22 euro al mese lordi, in media (dato elaborato sulla base delle nuove prestazioni previdenziali liquidate dall’Inps nel 2022), una sarta si ferma a 716,34.
Gli ex commercianti arrivano a 1.133,89 euro pro capite, le colleghe non vanno oltre 764,16 euro.
Un coltivatore diretto a riposo porta a casa 729,60 euro, una coltivatrice 593.13.
La pensione media lorda media scende a 421,99 euro per un ex lavoratore parasubordinato e precipita a 196,28 euro per una ex lavoratrice della stessa categoria.
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Retribuzioni diverse anche tra ex dipendenti pubblici: i dati dell’Inps
I dipendenti pubblici maschi fuori servizio per raggiunti limiti di età incassano 2.423,91 euro, le dipendenti di 1.831,97 (sempre lordi e al mese, in media).
L’ultimo Rapporto redatto dell’Inps, diffuso a metà settembre, certifica quello che milioni di donne (e di uomini) sanno. I fattori che creano e mantengono il divario di genere – in ambito lavorativo, nelle carriere, nelle retribuzioni, nei posti di potere, nelle istituzioni – si riflettono anche nelle pensioni, con le donne svantaggiate, in eterna rincorsa dei coetanei, superati unicamente per le pensioni di reversibilità (legate ai redditi dei mariti defunti).
Gender gap pensionistico: meno soldi alle donne, anche se sono la maggioranza
I pensionati e le pensionate sono in tutto 16.106.583 (aggiornamento al 31 dicembre 2022). Le donne numericamente superano gli uomini (8.324.796 contro 7.781.787 uomini, corrispondenti a quasi il 52%), ma percepiscono una quota inferiore dei redditi pensionistici (quasi il 44%, pari a 141 miliardi in un anno, contro i 180 miliardi destinati agli uomini).
«L’importo mensile medio erogato da Inps a uomini e donne – quantificano gli analisti dell’Istituto – è rispettivamente di 1969.33 e di 1430.35 euro, con una differenza del 37,68% a sfavore della componete femminile».
Il divario scende un poco se si prendono in considerazione anche le pensioni pagate da casse ed enti diversi. «Il reddito mensile lordo di un pensionato assomma a 1931.86 euro, quello di un pensionata a 1416.24, il 36,41% in meno».
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Le donne vanno in pensione più tardi
Il Rapporto Inps evidenzia un’altra differenza tra donne e uomini in relazione allo spostamento in avanti degli anni che bisogna avere per poter accedere alla pensione. L’età media per il collocamento a riposo è cresciuta per tutti.
Per gli uomini è passata da 62 anni nel 2012 a 64,2 nel 2014, per le donne è aumentata più lentamente, ma è arrivata a superare di cinque mesi quella dei coetanei: da 62,3 anni nel 2012 a 64,7 nel 2022. La ragione? La discontinuità delle carriere femminili, che comporta ritardi nel raggiungimento dei requisiti contributivi per la pensione anticipata.
Pensioni con maxi decurtazione con l’Opzione donna
L’Opzione donna ha consentito a 174.500 donne di uscire prima dal mercato del lavoro. Ma per le lavoratrici che hanno aderito a questa modalità il prezzo è stato la massiccia decurtazione dell’importo percepito: l’assegno medio – sempre dati del Rapporto Inps – è del 40% più basso rispetto alla media di tutte le pensioni anticipate (pari a 1.946,92 euro lordi, contro 1.171,19).
Tale differenza – spiegazione degli analisti – è in parte riconducibile al ricalcolo contributivo e in parte alla minore contribuzione rispetto alle pensioni anticipate, oltre al fatto che la propensione a utilizzare l’opzione è maggiore tra le lavoratrici nelle classi di reddito più basse e quindi con minore contribuzione.
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Pensioni, penalizzati donne e uomini meno abbienti
Secondo l’Inps l’utilizzo di un coefficiente di trasformazione unico per il calcolo della pensione risulta fortemente penalizzante per i soggetti meno abbienti, il cui montante contributivo viene trasformato in una pensione più bassa di quella che otterrebbero se si tenesse conto della loro effettiva speranza di vita. Viceversa, i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita.
In altre parole, le regole attuali per l’accesso al pensionamento con il calcolo degli importi uguale per tutti sfavoriscono donne e uomini delle classi meno agiate e premiano le persone più ricche e longeve.
Aspettative di vita di pensionate e pensionati
Ed ecco le stime. Un ex dirigente di 67 anni ha la probabilità di campare 2,6 anni in più rispetto a un ex operaio della stessa età (rispettivamente con 18,9 e 16,3 anni di aspettativa di vita).
Per le coetanee i divari sono inferiori, ma comunque significativi: è di 1,7 anni la differenza tra le pensionate con introiti più bassi (con riferimento al reddito coniugale e a cinque fasce) e le pensionate con introiti più alti (le prime con 19,9 di speranza di vita, le secondo con 21,6 anni davanti).