Violenze nel carcere di Modena: per la procura è tutto da archiviare
Oltre due anni di indagini non sono bastati a trovare riscontri a denunce ed esposti presentati da un gruppo di detenuti. Al contrario, i reclusi sono ritenuti «totalmente inattendibili» dalle pm. E così i presunti pestaggi e torture potrebbero non arrivare mai a processo
Come se nulla fosse successo, non sulla pelle dei carcerati. La procura di Modena ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di archiviare l’inchiesta aperta dopo la rivolta dell’8 marzo 2020 (e la morte di 9 detenuti, dei 13 contati in tutta Italia).
Nel registro delle notizie di reato erano stati iscritti 121 poliziotti penitenziari, via via indagati con le ipotesi di tortura e di lesioni aggravate, presunti abusi e maltrattamenti denunciati da italiani e stranieri, singolarmente e collettivamente.
Agenti e graduati, dal comandante in giù, per la pubblica accusa sono tutti da scagionare pienamente e senza necessità di andare a processo. Non ci sono fonti di prova sufficienti, o almeno la procura non ne ha trovate, per pensare di approdare in aula e a arrivare a condanne.
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Rivolta nel carcere di Modena: esposti e denunce smontati in 245 pagine
Versioni contradditorie o contrastanti, a distanza di mesi e mesi dai fatti. Confusione sui luoghi e sulla dislocazione degli spazi interni del carcere di Sant’Anna, devastato dalla sommossa, con la luce saltata, le telecamere disattivate. Riconoscimenti sbagliati, sempre non in tempi stretti, con l’individuazione di polizotti penitenziari che nemmeno erano in servizio.
Nessun video a supporto delle accuse di pestaggi e maltrattamenti, come è successo invece a Santa Maria Capua Vetere. Nessun certificato medico per documentare eventuali ematomi, lividi, tagli, denti saltati via.
Nessuna frase fuori posto nelle ore di telefonate intercettate, le comunicazioni tra indagati. Le parole dei detenuti, in assenza di riscontri oggettivi e immagini, non hanno alcun peso, sgretolate dalle conclusioni tratte dalla procura.
Denunce ed esposti, in presenza di contraddizioni ed errori, diventano carta straccia, così come le trascrizioni di interviste e lettere.
Richiesta di archiviazione per «accuse infondate» e «testimonianze inattendibili»
Le motivazioni della richiesta di archiviazione arrivano dopo 241 pagine di ricostruzione di indagini e accertamenti. Le due pm titolari del fascicolo, un insieme di procedimenti accorpati, non hanno dubbi: «Gli elementi sopra rappresentati non consentono in alcun modo di ritenere fondati gli esposti denunce formalizzati» dai detenuti che si erano fatti avanti.
«La complessa e articolata attività di indagini espletata – aggettivi usati sempre dalle due sostitute procuratrici, prima del vaglio e dell’analisi di un giudice terzo – ha messo in evidenza la totale inattendibilità dei racconti forniti da ciascuno dei soggetti coinvolti».
I detenuti, rimarcano le due magistrate – pur essendo nello stesso posto e nella stessa giornata – hanno «fornito versioni completamente discordanti circa i luoghi in cui sarebbero stati percossi, in ordine ai soggetti da cui sarebbero stati percossi». E le contraddizioni sarebbero «stridenti» nelle dichiarazioni dei cinque compagni di detenzione autori di un esposto collettivo.
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Nella rivolta nel carcere di Modena «si sono feriti accidentalmente o da soli»
Non solo. «I presunti pestaggi non trovano riscontro nella documentazione sanitaria acquisita». In alcuni casi i medici dicono di non aver notato alcun segno delle violenze poi denunciate e nelle cartelle cliniche non ci sono annotazioni specifiche.
In altri casi è stata attestata «una genesi accidentale delle lesività», in altri ancora le ferite riscontrate sui detenuti sarebbero da correlare alle «condotte particolarmente attive e facinorose» messe in atto durante la rivolta (e per cui sono indagati in un procedimento parallelo, per devastazione, saccheggio, resistenza e lesioni aggravate a pubblico ufficiale).
8 marzo 2020, 9 morti in poche ore
Il racconto dei detenuti è considerato «intrinsecamente inattendibile», se valutato alla luce della drammaticità di quella giornata, con il carcere da riconquistare e i trasferimenti in massa da organizzare.
La polizia penitenziaria si è trovata a gestire l’emergenza, sta scritto nella richiesta di archiviazione, prodigandosi «nell’interesse e a tutela in primo luogo dell’incolumità» dei detenuti.
Sono morti in 9, all’interno dell’istituto e durante e dopo gli sfollamenti, ufficialmente perché hanno fatto uso smodato di metadone e benzodiazepine razziate nell’assalto all’infermeria.
Per le pm è «inverosimile pensare ad agenti picchiatori»
Le pm argomentano, testualmente, tornando al comportamento delle “divise” in servizio a Modena:
«Appare oltremodo inverosimile che, a fronte di una situazione così allarmante, il personale di polizia penitenziaria concentrasse la propria presenza e le proprie energie per portare a compimento azioni di pestaggio in danno dei detenuti, piuttosto che impegnarsi affinché quella che appariva come una rivolta dalle dimensioni “epocali” potesse essere gestita nel migliore dei modi e nel minor tempo possibile a tutela, si ribadisce degli stressi ristretti».
E poi non ci sono videoriprese utili, non come a Santa Maria Capua Vetere. È saltata la corrente elettrica, le immagini interne disponibili si fermano alle prime ore della rivolta. C’è qualche fotogramma esterno, ma basta appena a documentare una manganellata, forse due. E l’agente che le ha sferrate non è stato identificato «perché portava la mascherina anticovid» (e non è dato sapere se sia stato chiesto il nome ai colleghi presenti o ai superiori).
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Le possibili contromosse degli avvocati dei detenuti
Gli avvocati delle parti offese – tra cui figurano il Garante nazionale delle persone private della libertà e l’associazione Antigone, assisti da Giampaolo Ronsisvalle e Simona Filippi – valuteranno le 245 pagine appena notificate dalla procura e decideranno se presentare o meno opposizione alla richiesta di archiviazione.
Il senatore Michele Barcaiolo, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Esteri difesa, dà per scontato che il fascicolo finirà dritto in un magazzino, senza aspettare le decisioni del gip. «Non ci furono torture al carcere Sant’Anna. Ora si chieda scusa ai nostri agenti. Per loro finisce il calvario. Per questo mi dico soddisfatto dell’epilogo, e rinnovo il ringraziamento verso quegli uomini e quelle donne che con spirito di sacrificio lavorano per assicurare ordine, legalità e sicurezza».