Eni, Greenpeace e ReCommon fanno causa all’azienda per le sue emissioni

Eni dovrà affrontare la prima causa climatica italiana in sede civile contro un’azienda privata. A promuoverla sono Greenpeace Italia e ReCommon. Vogliono spingere la società ad allontanarsi dai combustibili fossili e creare un precedente importante per altre azioni giudiziarie contro la crisi climatica

«Eni, ci vediamo in Tribunale». Non lascia spazio alla fantasia l’annuncio della prima causa climatica italiana in sede civile contro un’azienda privata, Eni, tra le più inquinanti al mondo.

L’hanno pianificata le organizzazioni Greenpeace Italia e ReCommon, assieme a 12 cittadini e cittadine privati italiani. Tutti soggetti che, direttamente o indirettamente, stanno subendo le conseguenze della crisi climatica di cui considerano la multinazionale in larga parte responsabile.

Alcune delle persone partecipanti alla causa, infatti, abitano in zone dove gli effetti dei cambiamenti climatici sono già ben visibili come il Polesine, sul Delta del Po, dove il mare avanza sempre di più, o il Piemonte, colpito da una drammatica siccità.

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Eni, ministero dell’Economia, Cassa depositi e prestiti: chi è coinvolto nell’azione legale degli ambientalisti

Il 9 maggio 2023 è quindi stato notificato a Eni S.p.a. un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei suoi confronti, ma non solo.

A essere coinvolti sono anche il ministero dell’Economia e delle Finanze e la Cassa depositi e prestiti S.p.a. in qualità di principali azionisti, quindi in grado di influenzare in modo dominante la società.

L’azione è stata intentanta per i danni subiti e quelli futuri causati dai cambiamenti climatici a cui l’azienda, e quindi anche i suoi azionisti, ha contribuito in modo consistente con le sue strategie «pur essendone consapevole».

«Noi riteniamo che il governo italiano, poiché ha sottoscritto l’accordo di Parigi nel 2015, sia corresponsabile dal momento che non ha agito per far sì che Eni si dotasse di un’adeguata strategia industriale per raggiungere gli obiettivi climatici», spiega a Osservatorio Diritti Antonio Tricarico, direttore dei programmi di ReCommon.

Eni, emissioni di Co2 da record

«Eni è in assoluto il maggior emettitore italiano di gas serra a livello mondiale», spiega Tricarico.

«È tra i 30 più grandi inquinatori al mondo e solo nel 2021 ha emesso 456 milioni di tonnellate di CO2. Il sistema energetico italiano nel suo complesso ne ha emesse poco meno di 400. Quindi deve assumersi le sue responsabilità».

Gli obiettivi della causa civile contro Eni

Gli obiettivi di questa azione, innovativa per l’Italia, sono diversi. Innanzitutto i promotori chiedono che vengano accertati i danni, e quindi la responsabilità, di Eni in merito alle conseguenze dei cambiamenti climatici e all’impatto sulle vite delle 12 persone in Italia che partecipano al contenzioso, ma anche nei confronti delle associazioni.

«Noi non chiediamo una quantificazione di questi danni», spiega Tricarico. «Ma un riconoscimento della responsabilità di Eni nel provocarli. L’impianto giuridico si fonda sul fatto che questi danni sussistono perché il diritto alla vita, alla salute, all’ambiente salubre, alla vita familiare sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e recepiti dalla Costituzione sono sostanzialmente stati violati».

Un altro obiettivo della causa è la condanna di Eni a rivedere la propria strategia industriale e a modificarla, così che possa ridurre le proprie emissioni di gas serra del 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2022. «Che poi è quello quello che chiede l’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, ndr) affinché si raggiungano gli obiettivi degli accordi di Parigi, ovvero rimanere sotto il grado e mezzo di riscaldamento globale per evitare una catastrofe climatica.»

«Con questa causa noi consideriamo che la stessa Eni debba ottemperare all’accordo di Parigi. L’azienda riconosce questi obiettivi, ma afferma che la sua strategia di decarbonizzazione possa raggiungerli, mentre noi crediamo di no. Inoltre Eni vuole espandere la produzione di gas fossile fino al 2050 e oltre, e questo non è non è compatibile con gli obiettivi dell’accordo».

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San Donato Milanese, uffici Eni – Foto: Arbalete (via Wikipedia)

#LaGiustaCausa, cos’è una climate litigation e il precedente di Shell

L’iniziativa legale contro Eni, promossa dalla campagna #LaGiustaCausa, porta il nome tecnico di climate litigation. In sostanza si tratta di un’azione legale che ha lo scopo di far riconoscere le violazioni ma soprattutto di innescare un’azione inibitoria, ovvero fare in modo che la società venga obbligata a cambiare strategia.

«Ci siamo ispirati a un precedente analogo e comparabile avvenuto in Olanda», racconta Tricarico. «In quel caso, in sede civile diversi cittadini hanno ottenuto una condanna di Shell da parte di un giudice, che ha riconosciuto la responsabilità dell’azienda richiedendo che praticasse una riduzione del 45% delle emissioni entro il 2030. Shell aveva poi fatto appello, ma è stato comunque un caso di ispirazione per noi, con tutte le differenze giuridiche dovuto all’ordinamento di un Paese diverso» (Osservatorio Diritti ne ha seguito tutta la vicenda nei suoi dettagli con la newsletter del sabato su Imprese e Diritti Umani).

Nel giugno 2021, poi, lo Stato italiano era stato citato nell’ambito della campagna Giudizio universale.

A livello globale, dal 2015 il numero complessivo di azioni legali sul clima è più che raddoppiato, per un totale di oltre 2 mila.

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Foto: via Pixabay

I prossimi passi: udienze pubbliche per contrastare l’ingiustizia climatica

E adesso, cosa succederà? «Abbiamo chiesto di fissare una prima udienza per il 30 novembre. Circa a metà settembre Eni si dovrà costituire formalmente e quindi esporrà le proprie obiezioni. Noi auspichiamo che ci siano diverse udienze pubbliche e che quindi attorno al caso si crei dibattito».

«Se vinceremo questa causa civile si creerà un precedente molto importante, che potrà fare giurisprudenza e che qualsiasi cittadino o realtà potrà usare come riferimento. Da un punto di vista politico è anche l’occasione per rompere quel velo di silenzio che troppo spesso copre le responsabilità di Eni. Allargare un dibattito dentro e fuori dalle aule giudiziarie è un’occasione per iniziare a porre la questione, coinvolgere altri attori. Infine, potremo dare uno strumento per agire davanti a casi di ingiustizia climatica, una risposta alla sensazione di impotenza che troppo spesso ci circonda».

La posizione di Eni

All’annuncio della citazione Eni ha risposto in una nota dicendo che «dimostrerà in Tribunale l’infondatezza dell’azione messa in campo e, per quanto necessario, la correttezza del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione, che mette insieme e bilancia gli obiettivi imprescindibili della sostenibilità, della sicurezza energetica e della competitività del Paese».

E ancora: «Prende atto dell’iniziativa annunciata oggi da ReCommon e Greenpeace e si riserva a sua volta di valutare le opportune azioni legali per tutelare la propria reputazione rispetto alle ripetute azioni diffamatorie messe in campo da ReCommon, a partire dal ruolo che l’associazione ha cercato di ritagliarsi nell’ambito della vicenda giudiziaria Opl 245 terminata con la totale insussistenza delle accuse e danni reputazionali alla società e alle sue persone».

Eni sul podio delle aziende per ricerca ed estrazione di gas e petrolio

Il giorno successivo, il 10 maggio 2023, in vista dell’assemblea degli azionisti della multinazionale, l’organizzazione Oil Change International ha pubblicato un report (scarica il Pdf) dal titolo Big Oil Reality Check 2023, Eni – Italian major uses record profits to fuel more climate change (Big Oil Reality Check 2023, Eni – La major italiana usa profitti record per alimentare ulteriori cambiamenti climatici).

Nel documento si legge che Eni prevede di aumentare l’estrazione del 3-4% all’anno fino al 2026, per poi sostenere questo livello di produzione fino al 2030, rischiando di diventare nel 2023 la terza azienda nel mondo per ricerca ed estrazione di gas e petrolio, dietro solo a QatarEnergy e Petrobras.

Inoltre, la multinazionale nel 2022 ha investito nel settore dei combustibili fossili 15 volte di più rispetto al segmento Plenitude (dedicato alle energie rinnovabili).

Una strategia energetica definita dall’organizzazione «gravemente disallineata rispetto agli sforzi globali per arginare la crisi climatica».

Nel documento si aggiunge che «gli obiettivi di Eni di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di tutti gli ambiti del 35% entro il 2030 e dell’80% entro il 2040 rispetto ai livelli del 2018, sono compromessi dal fatto di essere obiettivi “netti” e non sono supportati da piani di riduzione graduale della produzione di petrolio e gas a un ritmo commisurato».

«La decarbonizzazione del business di Eni rimane un miraggio e il bond legato alla sostenibilità recentemente emesso dall’azienda è solo fumo negli occhi», ha commentato Antonio Tricarico di ReCommon.

«Il governo italiano, che controlla ancora il 30% dell’Eni, ha scelto di confermare per altri tre anni un amministratore delegato la cui priorità è aumentare la produzione di petrolio e gas almeno fino al 2030 e spingere l’espansione del gas fossile per i prossimi decenni. Nonostante i profitti record di sempre, l’azienda investirà l’80% in nuovo petrolio e gas, vendendo le favole della cattura del carbonio e della fusione nucleare che difficilmente vedranno la luce. Per questo motivo, il governo e l’azienda hanno deciso di violare palesemente gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. È tempo che gli investitori che vogliono agire contro la crisi climatica facciano sentire la loro voce prima che sia troppo tardi».

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