Industria della moda: i costi nascosti dell’abbigliamento Made in Europe

Un nuovo rapporto pubblicato dal Fair Trade Advocacy Office, basato sulla ricerca sul campo della Campagna Abiti Puliti, denuncia le pratiche commerciali scorrette che caratterizzano l’industria dell’abbigliamento all’interno dell’Unione europea

Ritardi nei pagamenti, abbassamento dei prezzi rispetto ai costi di produzione con riduzione dei tempi di consegna e relazioni commerciali sempre più volatili, rischiose e sbilanciate tra marchi e produttori. Non stiamo parlando, come potrebbe sembrare, della fast fashion asiatica, che ogni hanno mette sul mercato capi d’abbigliamento di bassa qualità a prezzi ridotti, ma della moda prodotta a casa nostra, in Europa.

È quanto emerso dal report Pratiche d’acquisto da fast fashion nell’Unione Europea (qui il Pdf), che si basa su interviste condotte da marzo a settembre 2022 con fornitori, esperti e rappresentanti sindacali in Bulgaria, Romania, Croazia, Repubblica Ceca, Italia e Germania.

«I marchi vogliono prodotti molto veloci e molto economici», è la frase emblematica pronunciata da un dirigente bulgaro di un’azienda produttrice di abbigliamento. Il mercato europeo della moda, infatti, è caratterizzato ormai da ordini piccoli e veloci, a basso costo e con tempi di consegna sempre più brevi.

«Le spedizioni – si legge nel report – avvengono solitamente con camion su strada e, a differenza di navi e container, possono consegnare i prodotti finiti ai negozi in pochi giorni. Inoltre, non ci sono dazi doganali in gran parte dell’Europa, né all’interno dell’Unione Europea né all’esterno, poiché l’Ue ha concluso accordi di libero scambio con la maggior parte dei Paesi confinanti».

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Industria della moda: fast fashion e disequilibri nel mercato

Il settore manifatturiero dell’abbigliamento è noto da tempo per la disparità di potere contrattuale tra i più famosi brand internazionali e i produttori che li riforniscono. In generale, a livello globale, marche e rivenditori hanno il potere di decidere e imporre clausole contrattuali e fasi di produzione, che includono tempi di consegna, prezzi dei prodotti e condizioni d’acquisto.

Per queste ragioni, nel settore si verificano spesso «pratiche commerciali sleali», grazie alle quali un partner commerciale si trova a poter imporre unilateralmente queste prassi non etiche agli altri partner, in questo caso i produttori.

La situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alla crisi causata dalla diffusione del Covid-19, che ha contribuito ad amplificare l’impatto negativo di queste dinamiche di potere nelle relative catene di approvvigionamento. Durante la pandemia, infatti, molti marchi di moda «hanno invocato ampie clausole di eccessiva onerosità sopravvenuta per cancellare o sospendere gli ordini, lasciando i fornitori senza pagamenti e i lavoratori delle fabbriche senza reddito, in particolare nei Paesi con reti di sicurezza sociale deboli».

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Regime di perfezionamento passivo: come funziona l’industria della moda in Europa

Gli ordini effettuati nei Paesi come Bulgaria, Romania, Croazia e Repubblica Ceca possono essere così volatili e flessibili grazie a un particolare sistema di produzione e commercio introdotto nell’Ue intorno agli anni Settanta. Si tratta del cosiddetto regime di perfezionamento passivo (Ttp), che permette ai tessuti, nella maggior parte dei casi pretagliati, di essere consegnati nei Paesi con un costo di manodopera basso, dove viene effettuata la cucitura e la finitura dei capi che vengono poi reimportati dalle altre nazioni europee senza i dazi doganali.

Grazie a questo sistema, quei Paesi dell’Est Europa sono diventati esportatori chiave di capi d’abbigliamento e prodotti tessili, con destinazioni verso paesi come la Germania, il Regno Unito e l’Italia.

«Le catene di fornitura di abbigliamento all’interno di un accordo di Tpp sono caratterizzate da relazioni di potere e influenza particolarmente disequilibrate, con scarse prospettive di sfuggire a questo ruolo e migliorare. Il Tpp crea quindi cluster regionali di povertà, occultamento, paura e informalità».

Gli insostenibili costi nascosti sostenuti dai produttori d’abbigliamento

Dalle interviste è emerso, inoltre, che i produttori reputano qualsiasi tentativo di trattativa con i marchi come una «causa persa», soprattutto per quanto riguarda la possibilità di aumentare i prezzi, nonostante l’incremento dei costi dei materiali e dei trasporti. Allo stesso tempo, però, i marchi e i rivenditori che acquistano da queste aziende produttrici chiedono prezzi sempre più bassi e tempi di consegna dei capi sempre più rapidi.

Non solo, per incentivare gli acquisti i marchi garantiscono ai clienti di poter effettuare più modifiche nelle ordinazioni e allungano le tempistiche per le scadenze dei pagamenti, tutto a discapito dei produttori, che vedono così aumentare i propri «costi nascosti».

I produttori, spesso, non dispongono del potere contrattuale o dei mezzi per contestare queste pratiche commerciali sleali, nella maggior parte dei casi perché rischierebbero di perdere il contratto col brand. «Anche far valere il contratto per via giudiziaria è complesso, a causa dei costi elevati, degli aspetti procedurali e del timore di interrompere de facto il rapporto commerciale».

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Industria della moda in Italia

Il mercato della produzione tessile in Italia è considerato uno dei settori economici più strategici e di punta del nostro Paese nel panorama internazionale. L’Italia, infatti, oltre a essere la patria di marchi di lusso a livello mondiale, «ospita una parte significativa della produzione di abbigliamento, spesso basata su manodopera meno qualificata e immigrata e caratterizzata da subappalti, lavoro irregolare e violazioni dei diritti del lavoro». Nel report si specifica, inoltre, come questi lavoratori vengano principalmente «impiegati da fornitori di primo livello che operano sotto la direzione del marchio».

«I contratti proposti dai marchi non prevedono mai un impegno sulle quantità da produrre e nemmeno un impegno sui prezzi. I “contratti” per i marchi consistono nel dire che il fornitore deve rispettare la qualità e i tempi di consegna perché se non lo fa scattano le penali. Non vengono mai inserite clausole di salvaguardia a tutela degli interessi del fornitore», ha dichiarato un fornitore italiano.

I principali marchi coinvolti nella ricerca della Campagna Abiti Puliti

Per effettuare la ricerca sono stati contattati, tramite mail, una serie di marchi e rivenditori nei Paesi di riferimento. Tra i brand coinvolti nella ricerca e che si riforniscono dai produttori intervistati ci sono Asos, Metro, Ms Mode, Moncler e Otto Group. Solo Asos e Metro hanno approvato la menzione del marchio all’interno della ricerca.

Nel caso di Metro, sia il management dei fornitori sia gli acquirenti dei marchi hanno fornito informazioni sulle pratiche di acquisto. Per quanto riguarda i marchi che si riforniscono in Italia dai produttori intervistati, invece, nella ricerca non compaiono i nomi perché gli intervistati non hanno autorizzato la pubblicazione dei loro brand.

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