Abaca, il tessuto degli schiavi dell’Ecuador

Via al primo processo per schiavitù moderna in Ecuador. Ad essere accusata è la compagnia giapponese Furukawa Plantaciones C.A. e tre dei suoi dirigenti. La società esporta l'abaca, una pianta strettamente imparentata con il banano da frutta che si usa per la produzione di un tessuto

Comincia in Ecuador il primo processo per schiavitù moderna della storia del paese dell’America Latina. Sul banco degli imputati la compagnia giapponese Furukawa Plantaciones C.A. e tre dei suoi dirigenti: Marcelo Almeida, Hugo Chalen e Paúl Bolaños.

L’impresa, che commercializza ed esporta una particolare varietà di banana, chiamata abaca (principalmente utilizzata per ricavare cartamoneta), era già finita sotto i riflettori nel 2019, ma gli abusi non si erano fermati.

All’epoca alcune denunce avevano portato a dei primi sopralluoghi della autorità che si erano trovate di fronte a condizioni di lavoro subumane. Mancanza di acqua potabile, luce e servizi igienici, giornate lavorative superiori alle 10 ore senza contratto né previdenza sociale, sovraffollamento delle baracche, lavoro minorile e numerose mutilazioni subite dai braccianti per l’utilizzo insicuro di macchine agricole.

Oggi, dopo ben 4 anni, si arriverà  ad un processo per la Furukawa e parte della sua dirigenza, per il delitto di tratta di persone ai fini dello sfruttamento lavorativo, secondo l’articolo 91, comma 3 del Codice Organico Integrale Penale (Coip) dell’Ecuador.

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Procuratore generale dell’Ecuador, Lady Diana Salazar Méndez – Foto: Fiscalía General del Estado / Andrés Montalvo (via Flickr)

Tessuto di abaca e schiavitù, un caso che viene da lontano

Nel 2019 si era già venuti a conoscenza della condizioni di vita precarie dei lavoratori nelle piantagioni  di Abacá in Ecuador. I primi dati li aveva offerti il ministero dell’Inclusione economica e sociale, che con un’indagine a campione su 400 lavoratori aveva scoperto che l’83% di questi viveva in condizioni di estrema povertà e solo il 2% non viveva sotto la soglia della povertà.

A causa di questi dati e di alcune denunce specifiche, arrivò l’intervento della Defensora del Pueblo (ombudsman) Gina Benavides, che iniziò un iter amministrativo che portò a ispezioni e  varie sanzioni pecuniarie per un ammontare di circa 40 mila euro e ad una chiusura forzata dell’impresa per 90 giorni.

Di questo dava conto anche il ministero del Lavoro, in quello cha sarebbe stato il primo di molti “difficili” comunicati, dove ricordava che «il nostro impegno come istituzione è quello di garantire i diritti dei lavoratori al fine di garantire un rapporto di lavoro equo e condizioni dignitose».

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Gina Benavides, Defensora del Pueblos, Ecuador – Foto: Fernando Lagla / Asamblea Nacional (via Wikimedia Commons)

Il ministero del Lavoro fa i conti con il caso Furukawa

Come anticipato, il ministero del Lavoro avrebbe, di lì a poco, dovuto emettere altri scomodi comunicati, mentre le indagini sulle piantagioni di Furukawa portavano alla luce dettagli sempre più terribili.

Infatti, mentre la compagnia dichiarava di dar lavoro ufficialmente a circa 200 persone, con prestazioni salariali secondo i criteri di legge, i censimenti realizzati dagli organi statali rivelarono nel marzo del 2019 che ben 1.244 persone vivevano e lavoravano all’interno delle piantagioni della compagnia giapponese.

Con le indagini vennero alla luce casi che configuravano una forma di schiavitù moderna, soprattutto verso persone afrodiscendenti, che nella maggior parte dei casi erano analfabete.

Così, la denuncia coordinata di 123 persone portò nel 2021 ad un primo grande successo: ovvero la condanna di Furukawa Plantaciones C.A. del Ecuador da parte  del giudice Carlos Vera Cedeño a indennizzare i lavoratori pregiudicati dalle pratiche di lavoro subumano.

A quel punto arrivarono due comunicati del ministero del Lavoro. Il primo, del 21 aprile 2021, era un inizio di scuse pubbliche nei confronti delle vittime di Furukawa, un documento che includeva anche il ritiro del “Riconoscimento al merito lavorativo Miguel Márquez Vázquez” che era stato dato, proprio dal ministero del Lavoro, ad Hiroko Furukawa, direttrice dell’impresa, nel 2005.

Il secondo, del 4 maggio 2021, era invece una vera e propria ammissione della violazione per omissione di vari diritti costituzionali, come il diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione, il diritto a una vita dignitosa, il diritto al lavoro e il divieto di lavoro minorile.

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Lavorazione di una pianta di abaca (2009, Filippine) – Foto: © ILO/Allan Barredo (via Flickr)

Cosa accadrà alla società giapponese che commercializza il tessuto di abaca

Il futuro dell’impresa giapponese che opera dal 1963 in Ecuador, secondo produttore mondiale di fibra di abacá, è ora incerto. Il settore è molto lucrativo per il paese sudamericano, ma lo Stato non potrà più fare finta di niente rispetto alle diffuse pratiche di schiavitù moderna venute alla luce dalle indagini.

Furukawa è la principale abacalera in Ecuador e conta 23 stabilimenti distribuiti in un’area di 2.300 ettari, nella provincia di Santo Domingo de los Tsáchilas, Los Ríos ed Esmeraldas.

Dal canto suo, l’impresa giapponese si difende dicendo che i diritti dei lavoratori nelle sue installazioni vengono rispettati e promette una battaglia legale, oltre che mediatica.

Il caso è ora nelle mani del giudice Susana Sotomayor, che avviato il processo ha accettato parzialmente quanto presentato dalla procura generale della Repubblica, nella persona di María Susana Rodríguez (due dei cinque dirigenti accusati dalla procura sono stati estromessi dal caso).

L’apertura di un caso così importante per l’Ecuador segna uno spartiacque e aumenta la possibilità che altre persone che vivono situazioni simili in altre compagnie possano trovare il coraggio di denunciare per chiedere giustizia e riparazione per le violazioni subite.

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