Haiti pericolosa: crisi umanitaria e violenza senza fine

Uno scenario di guerra obbliga alla chiusura l’ospedale di Medici senza frontiere a Cité Soleil, quartiere delle capitale haitiana Port-au-Prince. Haiti è sempre più pericolosa e la popolazione dell'isola è in preda alla dilagante violenza delle bande armate

Anche Medici senza frontiere (Msf) ha dovuto alzare bandiera bianca di fronte alla dilagante violenza della quale è preda oramai da mesi Haiti, in modo particolare in alcuni quartieri della capitale Port-au-Prince.

La situazione del paese caraibico, situato nella parte ovest dell’isola La Española (nella parte est sorge Santo Domingo), è completamente fuori controllo e la popolazione civile è ostaggio di banda criminali armate che superano per numero, e in alcuni casi anche per armamento, le poche forze di polizia ancora attive.

Dal comunicato rilasciato da Msf emerge che di fronte a rischi insostenibili per la sicurezza l’organizzazione è stata costretta a chiudere temporaneamente il suo ospedale nella zona di Cité Soleil della capitale haitiana. La violenza si è ormai diffusa in tutta Port-au-Prince, lasciando coloro che sono rimasti coinvolti nel fuoco incrociato.

Con violenti scontri tra gruppi rivali pesantemente armati che si svolgono a pochi metri dal complesso ospedaliero, l’ong non è più in grado di garantire la sicurezza dei pazienti o del personale.

«Stiamo osservando scene di guerra a pochi metri dal nostro ospedale. Sebbene lo stesso non sia stato preso di mira, siamo una vittima collaterale dei combattimenti, poiché la struttura si trova proprio nella prima linea dei combattimenti», ha detto Vincent Harris, consulente medico dell’organizzazione.

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L’Onu distribuisce cibo e acqua a Cité Soleil nel 2010, dopo il terremoto ad Haiti – Foto: UN Photo/Sophia Paris (via Flickr)

Haiti pericolosa: l’Onu chiede un contingente armato internazionale

Alla radice di una situazione insostenibile che vede buona parte della popolazione nell’impossibilità di accedere a beni di prima necessità, sono arrivate le parole dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, che ha invitato la comunità internazionale a considerare urgentemente il dispiegamento di una forza di supporto specializzata con una scadenza specifica e un piano d’azione completo e preciso per Haiti.

A sostegno delle parole di Türk ci sono le cifre e i fatti riportati da Marta Hurtado, sua rappresentante sull’isola. Si parla di più di 500 morti violente dall’inizio dell’anno fino al 15 marzo, 300 feriti e 277 persone sequestrate.

«La maggior parte delle vittime è stata uccisa o ferita da cecchini che apparentemente stavano sparando a caso alle persone nelle loro case o per strada. Le bande usano anche la violenza sessuale contro donne e ragazze per terrorizzare, sottomettere e punire la popolazione», afferma Hurtado in un comunicato.

Nel frattempo, proprio dentro le Nazioni Unite, si è prodotto un cambio al vertice della rappresentanza dell’organizzazione ad Haiti. L’incarico di rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stato assunto da María Isabel Salvador, ex ministra degli Esteri ecuadoriana, che sostituisce la statunitense Helen Meagher La Lime, che ricopriva questo ruolo dal 2019.

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Crisi umanitaria ad Haiti

Che la situazione abbia raggiunto livelli allarmanti è confermato anche da Marisela Silva, responsabile regionale del Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), che in un’intervista alla stampa internazionale ha sottolineato le difficoltà della missione medica ad Haiti, oramai immerso in una crisi umanitaria senza precedenti.

Gli scontri con l’uso di armi e i rapimenti di professori e studenti nelle vicinanze della scuole hanno causato la chiusura di molti centri educativi. E con la loro chiusura molti bambini sono stati reclutati con la forza da bande armate che si disputano il controllo dei quartieri.

A metà marzo si parlava già di oltre 150 mila sfollati, un’inflazione alle stelle e un deterioramento costante dell’accesso a servizi di base e beni di prima necessità, come alimenti, acqua potabile, carburante e servizi igienico-sanitari.

Silva sottolinea che sono 3 milioni gli haitiani che stanno soffrendo direttamente le conseguenze della violenza armata. E specialmente a Cité Soleil la situazione dell’accesso delle persone alla missione medica è molto limitata. Un pericolo ancora più imminente dato da un’epidemia di colera che finora è costata la vita a 640 persone e con 39 000 altri possibili casi di contagio.

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Commissariato di polizia di Cité Soleil, Haiti, nel 2011 – Foto: James Emery (via Flickr)

Haiti pericolosa oltre la soglia di guardia: l’intervento di Canada e Usa

La capitale haitiana è preda di uno scontro tra due blocchi principali, due coalizioni chiamate G9 e G-Pep. La prima (G9) ha il quasi totale controllo di Cité Soleil e del terminal portuale dove arriva il combustibile.

Ci sono poi anche altre bande minori, non appartenenti alle due coalizioni, che moltiplicano gli scontri in tutti il territorio di Port-au-Prince.

Per far fronte alla situazione, a fine marzo il primo ministro del Canada, Justin Trudeau, ha annunciato l’invio di circa 70 milioni di euro (100 milioni di dollari canadesi) per il rinforzo della polizia haitiana, con l’intenzione di aiutare a frenare la violenza nel paese caraibico.

Su Haiti ha gli occhi puntati anche l’amministrazione statunitense di Joe Biden, visto che il flusso migratorio in uscita dal paese è diretto principalmente verso la frontiera nord del Messico (passando per il Darién, poi il centroamerica, Tapachula e infine attraversando il Messico verso nord).

Inoltre, il 18 marzo due cittadini statunitensi sono stati sequestrati ad Haiti, nel contesto del meccanismo usato dalle bande criminali per autofinanziarsi con i soldi dei riscatti e poter continuare la guerra per il controllo del territorio.

Si tratta di Abigail e Jean-Dickens Toussaint, cittadini dello Stato della Florida, che sono stati rapiti a Port-au-Prince insieme ad una terza persona mentre si dirigevano a un evento.

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