Ecuador: la violenza colpisce un importante leader indigeno: ucciso Eduardo Mendúa

Un leader del popolo indigeno Kofán, Eduardo Mendúa Vargas, è stato ucciso in Ecuador. Si sospetto che l'omicidio abbia a che fare con le sua lotta contro lo sfruttamento petrolifero nella provincia di Sucumbíos

In Ecuador la violenza questa volta colpisce un importante leader del popolo indigeno Kofán, Eduardo Mendúa Vargas, 40 anni d’età, ucciso a colpi di arma da fuoco nella sua casa a Sucumbíos, nel nord del paese.

I fatti risalgono alla sera del 26 febbraio, quando Mendúa si trovava nella sua proprietà all’interno della comune Kofán Dureno. Uscito di casa insieme alla moglie, stava andando a raccogliere frutta nel suo orto quando due sconosciuti hanno fatto irruzione con le armi nella proprietà. I due criminali hanno esploso 12 colpi d’arma da fuoco contro il leader indigeno, che non ha avuto scampo ed è morto all’istante. La moglie, invece, ne è uscita illesa.

Violenza contro leader indigeno: omicidio su commissione?

La stampa ecuadoriana ha riportato nelle prime ore del 27 febbraio la notizia che una persona sarebbe già stata arrestata in relazione all’omicidio.E secondo la comunità indigena l’assassino sarebbe legato a doppio filo ai conflitti generati dallo sfruttamento petrolifero nella provincia di Sucumbíos.

Si tratterebbe, secondo quando denunciato dal movimento indigeno, di  un omicidio su commissione per zittire una delle voci più forti contro le nuove politiche di espansione delle zone di sfruttamento petrolifero promosse dal governo Lasso e dalla compagnia PetroEcuador.

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Fiume Aguarico, uno dei più inquinati dell’Ecuador a causa del petrolio – Foto: ©Diego Battistessa

Ecuador violento, la reazione della Confederazione indigena

Eduardo Mendúa non solo era riconosciuto e apprezzato all’interno della sua comunità nel nord del paese sudamericano, ma aveva anche un ruolo importante a livello nazionale, all’interno della Conaie, la Confederazione delle organizzazioni indigene dell’Ecuador.

Il leader Kofán era infatti membro del Consiglio di governo della confederazione, ricoprendo l’incarico di responsabile delle relazioni internazionali.

In merito all’accaduto non si è fatta attendere la reazione della stessa Conaie, che, per bocca del suo presidente, Leonidas Iza, ha puntato immediatamente il dito sul conflitto territoriale che si vive nella zona:

«Tanto dolore per l’assassinio del compagno Eduardo Mendúa, leader della Conaie. Eduardo ha combattuto contro lo sfruttamento e la contaminazione del petrolio in Amazzonia… Stato, Governo e compagnie petrolifere devono rispondere di questo crimine».

Posizione ribadita anche da un tweet sull’account della confederazione, che proprio pochi giorni addietro aveva chiesto la rinuncia dell’attuale presidente del paese, Guillarmo Lasso, ribadendo una rottura con l’amministrazione di governo, già in corso dal 2022.

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Tubi per il trasporto del petrolio attraversano l’Amazzonia – Foto: ©Diego Battistessa

Ecuador, Sucumbíos è la Chernobyl dell’Amazzonia

I conflitti ambientali non sono nuovi in Ecuador, paese dalle enormi risorse naturali che da sempre hanno fatto gola a un capitalismo predatorio colluso con le varie amministrazioni di governo. E Osservatorio Diritti si è occupato in varie occasioni, per esempio, degli scontri per l’estrazione mineraria, per la difesa dell’ acqua e per le violazione dei diritti umani nella piantagioni di banane.

Ma il caso della provincia di Sucumbíos, dove è avvenuto l’omicidio di Mendúa,  è molto particolare e porta con sé un passato che racchiude il più grande danno ambientale della storia conosciuto come la Chernobyl amazzonica.

Si tratta di eventi che risalgono al periodo compreso tra il 1964 e il 1990, quando la compagnia petrolifera statunitense Texaco, che nel 2001 fu acquistata da Chevron, fu responsabile dell’estrazione petrolifera in Ecuador nella provincia di Sucumbíos e Orellana.

Durante questo tempo, è stato comprovato che la società statunitense abbia versato 71.000 milioni di litri di olio esausto e 64 milioni di litri di greggio in mille piccole fosse aperte di 3/4 metri di profondità in una zona coperta da oltre 2 milioni di ettari di Amazzonia ecuadoregna. In totale, i rifiuti tossici prodotti da Chevron-Texaco ammontarono a 68.140.000 m³.

Le controversie emerse dal caso giudiziario che ne è seguito, un caso non ancora chiuso, avevano rallentato lo sfruttamento petrolifero nella zona, che però ha ripreso vigore attraverso le operazioni della compagnia petrolifera statale ecuadoregna, PetroEcuador.

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Capanna indigena, Amazzonia, Ecuador – Foto: ©Diego Battistessa

L’attivismo del leader indigeno Mendúa

«Dovranno passare sul nostro cadavere per portare la morte a questo territorio, morte che per noi è rappresentata dalle attività di estrazione petrolifera» dichiarava Mendúa in un video che oggi rappresenta la sua eredità di lotta per la difesa dell’ambiente.

Messaggio tristemente premonitore nel quale sottolineava che la resistenza era l’unico cammino percorribile, in un clima di persecuzione, intimidazioni e minacce ai leader indigeni, lasciati soli da uno Stato che non protegge la vita.

Stato che si è manifestato il 27 febbraio per bocca del Ministro dell’interno Juan Zapata, che in una conferenza stampa ha parlato di irresponsabilità del movimento indigeno nell’indicare dei colpevoli senza avere delle prove.

Zapata ha poi dichiarato che non ci sarà impunità per questo omicidio e che le indagini proseguono secondo i protocolli regolamentari, alla ricerca di indizi e con lo svolgimento delle perizie del caso.

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