Immigrazione Stati Uniti, cambia la politica migratoria Usa. Ma Biden ripete: «Non venite»

Nuovi permessi speciali per venezuelani, cubani, haitiani e nicaraguensi. Niente da fare per tutti gli altri. Ecco come cambia la politica sull'immigrazione degli Stati Uniti con il presidente Joe Biden

Il 2023 è iniziato con un cambio di politica migratoria per gli Stati Uniti d’America. Misure che servono, secondo le stesse parole del presidente Joe Biden, a risanare un sistema migratorio ormai rotto da molto tempo e garantire un processo migratorio «sicuro, umano e ordinato».

In un video ufficiale della Casa Bianca, il presidente Usa ha annunciato che, nonostante la lotta contro i Repubblicani in materia migratoria e nonostante gli ostacoli posti nel Congresso statunitense da questi ultimi, il suo compito è quello di proteggere chi vuole immigrare in modo legale negli Usa.

In questo senso, Biden ha sancito l’apertura di nuovi canali di immigrazione legale, soprattutto alle persone provenienti da Venezuela e Cuba (che vivono la più grande crisi migratoria della loro storia), oltre che Nicaragua e Haiti. Gli Stati Uniti accetteranno 30.000 migranti al mese provenienti da questi paesi, a patto che queste persone possano dimostrare legami familiari con emigrati già presenti nel territorio statunitense.

Allo stesso tempo, però, il presidente Usa è stato chiaro rispetto a chi tenta di attraversare in modo illegale la frontiera, tornando a sottolineare che queste persone saranno immediatamente espulse e sanzionate con un divieto di entrata nel paese nordamericano della durata di 5 anni.

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Joe Biden, presidente degli Stati Uniti – Foto: Prachatai (via Flickr)

Immigrazione Stati Uniti oggi: gli effetti sul Messico

Biden nel 2022 aveva cercato per ben due volte di far eliminare il famoso Titolo 42 (a maggio e a dicembre), ma in entrambe le occasioni un’azione giudiziale spinta dai repubblicani aveva fermato il proposito della Casa Bianca.

Nel frattempo, il 25 ottobre 2022 il governo del Messico dava per concluso il programma chiamato Quédate en Mexico (rimani in Messico), un programma creato durante la legislatura dell’ex presidente Donald Trump (2017-2021) che stabiliva che i migranti intenzionati a entrare negli Stati Uniti legalmente dovevano attendere la risoluzione delle procedure burocratiche in territorio messicano.

Il Messico è la principale rotta migratoria per l’ingresso di persone che cercano il sogno americano, ma è anche diventato uno Stato che offre lo status di rifugiato a chi ne fa richiesta. Una politica che tende a diminuire la pressione verso la frontiera nord (Rio Grande) e che vuole porre l’immagine del Messico nella comunità internazionale come Stato sicuro.

Nel corso del 2022, secondo i dati della Commissione messicana per l’assistenza ai rifugiati (Comar), il Messico ha ricevuto 118.478 richieste di asilo, la seconda cifra più alta dopo il 2021 (131.448 casi).

Questi dati (250 mila richieste di asilo in due anni), dimostrano come il Messico stia diventando sempre di più un’opzione di “nuova casa” almeno per le persone provenienti da Honduras, Haiti, e Venezuela, che negli ultimi anni sono stati nei primi posti della classifica della nazionalità dei richiedenti asilo.

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Spiaggia di Tijuana, frontiera tra Messico e Usa – Foto: Adam McLane (via Flickr)

Joe Biden ai migranti: «Non venite»

In tutto questo periodo, però, il messaggio dell’amministrazione Biden non è cambiato. Nel vertice trilaterale tenutosi a Città del Messico tra Canada, Messico e Usa, infatti, il presidente degli Stati Uniti ha ribadito il mantra del «Do not come» (non venite), reso famoso da Kamala Harris (la vicepresidente) nel suo primo viaggio istituzionale nel 2021 e ribadito durante il vertice delle Americhe di Los Angeles (giugno 2022).

Una linea che risponde ai dati dell’anno fiscale 2022 (da ottobre a settembre dell’anno successivo), dove gli agenti di frontiera statunitensi hanno intercettato migrati quasi 2,4 milioni di volte al confine tra Stati Uniti e Messico, registrando un aumento del 37% rispetto al dato di 1,7 milioni dell’anno fiscale precedente.

Per leggere correttamente questi dati, è importante sottolineare che non si tratta di 2,4 milioni di persone, ma di intercettazione di un transito irregolare (una persone può essere intercettata più volte).

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Migranti venezuelani riposano in uno dei rifugi provvisori creati in Colombia – Foto: © 2018 European Union (Photographer N. Mazars) – Via Flickr

Il dettaglio dei dati che ci viene offerto da un report di Reliefweb (progetto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari), ci offre elementi interessanti per capire il cambio di politica di Biden. In primo luogo il 2022 è stato anche il più mortale per i migranti che hanno tentato di attraversare il confine tra Stati Uniti e Messico, con oltre 850 morti, tra i quali molti per annegamento o esaurimento da calore. Ciò rappresenta un aumento del 56% rispetto al precedente record di 546 morti di migranti registrato nell’anno fiscale 2021.

Inoltre, si legge sul report, «per la prima volta gli agenti di frontiera statunitensi hanno incontrato più venezuelani, cubani e nicaraguensi che migranti da El Salvador, Guatemala e Honduras, insieme a arrivi significativi di brasiliani, ecuadoriani e haitiani, nonché migranti extraregionali, compresi cittadini da Ucraina, India e Turchia».

Non più, dunque, una migrazione prettamente centroamericana, ma caratterizzata da un forte aumento della presenza venezuelana e cubana, aumento che Panama aveva già denunciato in uno dei punti iniziali di questo cammino, l’inferno della selva del Darién, dove nel 2022 sono passate più di 200 mila persone (di cui 150 mila provenienti dal Venezuela).

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