Nagorno Karabakh: guerra tra Armenia e Azerbaijan a un passo dallo sterminio degli armeni
Un presidio di attivisti azeri ha bloccato l’unica strada che collega Armenia e Repubblica dell’Artsakh, isolando così 120.000 armeni che dal 12 dicembre 2022 non hanno più accesso a cibo e medicinali: ecco cosa succede oggi nella guerra in Nagorno Karabakh
Dal 12 dicembre 2022 centinaia di attivisti azeri hanno bloccato il corridoio di Lachin, l’unica arteria che mette in comunicazione l’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh con l’Armenia, impedendo in questo modo il transito di uomini, mezzi, viveri e medicinali.
Oltre 120.000 cittadini armeni che vivono nella regione contesa del Caucaso meridionale, che quotidianamente importa 400 tonnellate di beni di prima necessità da Yerevan, da quasi un mese sono isolati dal resto del mondo: i mercati e i negozi sono vuoti, le merci ormai mancano, le scuole sono chiuse, gli ospedali funzionano con difficoltà, 18 persone in terapia intensiva necessitano un trasferimento urgente e già si registra la prima vittima a causa del blocco stradale.
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Nagorno Karabakh: le motivazioni all’origine del blocco stradale
Stando a quanto riportato dai media azeri, l’interruzione dell’unico collegamento tra la regione armena del Nagorno Karabakh e l’Armenia sarebbe dovuta a una protesta condotta da ambientalisti azeri contro le attività estrattive che avvengono nella regione.
Questa spiegazione, però, è stata messa in dubbio dalla stampa internazionale e dai report pubblicati dai difensori dei diritti umani dell’Artsakh e dell’Armenia, che hanno presentato prove del fatto che le manifestazioni sono condotte da «attivisti appartenenti ad organizzazioni finanziate dal governo azero o direttamente riconducibili a fondazioni della famiglia del premier Aliyev».
Il report, inoltre, aggiunge che tra i dimostranti sono riconoscibili «numerosi appartenenti ai servizi speciali di sicurezza azeri». A conferma di questa affermazione ci sono numerosi video che ritraggono i dimostranti intonare canti nazionalistici e inneggiare ai Lupi Grigi, l’organizzazione di estrema destra turca di cui faceva parte anche Ali Agca, l’attentatore di Giovanni Paolo II.
La guerra infinita tra Armenia e Azerbaijan
Quanto sta avvenendo in queste ore nel Caucaso meridionale è una nuova fase del conflitto che contrappone la popolazione armena che vive nel territorio del Nagorno Karabakh con il governo di Baku (Azerbaijian).
Dopo la guerra scoppiata negli anni Novanta e terminata con la vittoria delle truppe armene, che hanno poi proclamato la nascita della Repubblica dell’Artsakh, non riconosciuta ad oggi da alcuno stato al mondo, a settembre 2020 un nuovo conflitto ha infiammato la regione.
Le forze di Baku hanno aggredito il territorio armeno e dopo 44 giorni di scontri, costati la vita a 7.000 persone e lo sfollamento di 100.000 civili, si è arrivati a un cessate il fuoco firmato da Armenia, Azerbaijan e Russia.
Dal 9 novembre 2020 ad oggi molteplici sono state le violazioni della tregua nelle aree di contatto tra l’esercito armeno e quello azerbaigiano. Inoltre, sono state numerose le interruzioni delle forniture di elettricità, gas e acqua potabile al territorio armeno.
Ma quanto sta avvenendo ora, con la presa in ostaggio di 120.000 civili, non si era mai verificato e porta lo scontro a un livello senza precedenti.
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Nagorno Karabakh oggi: la vita nella Repubblica dell’Artsakh
A causa dell’interruzione del collegamento tra l’Armenia e l’Azerbaijan, l’accesso alla regione è impedito agli osservatori internazionali, alla stampa estera, ma anche agli stessi cittadini del Karabakh che non possono più fare rientro alle loro case.
Sono oltre 1.000 gli armeni a cui è vietato ricongiungersi con le proprie famiglie, compresa la delegazione di bambini dell’Artsakh che si è recata a Yerevan in occasione dell’Eurovision junior a inizio dicembre e che da un mese è separata dai propri genitori.
Le uniche notizie sulla situazione che sta vivendo la popolazione del Nagorno Karabakh arrivano dai social network. Su Twitter sono tante le immagini che ritraggono i mercati chiusi, gli scaffali deserti, ma anche le manifestazioni oceaniche che ogni giorno avvengono nelle strade delle città armene.
Karen Ohanjanyan, cittadino dell’Artsakh e fondatore del Comitato Helsinki ’92, ong per i diritti umani, raggiunto in via telefonica da Osservatorio Diritti, ha raccontato come stanno andando le cose all’interno della capitale Stepanakert:
«La situazione è estremamente critica. Manca tutto. Giorno dopo giorno le conseguenze di quanto sta avvenendo si fanno sempre più serie e preoccupanti e siamo a un passo dalla catastrofe umanitaria. Al momento il governo sta provvedendo a distribuire aiuti umanitari alla popolazione, ma fino a quanto potrà durare questa situazione?».
«L’Europa e il mondo Occidentale – ha aggiunto – devono mostrare coerenza con i loro principi di democrazia e libertà. Dal 2020 siamo difronte a un’aggressione ai danni del popolo armeno paragonabile a quanto accade in Ucraina, ma perché per l’Artsakh la comunità internazionale non si sta mobilitando?».
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La comunità internazionale e il conflitto in Nagorno Karabakh
I ministri degli Esteri di Armenia e Nagorno Karabakh hanno allertato la comunità internazionale: «L’assenza di una reazione adeguata all’aggressione azera potrebbe causare nuovi tragici sviluppi». Le parole sono rivolte sia al mondo occidentale, poiché ad oggi – nonostante una discussione sulla situazione del corridoio di Lachin al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 20 dicembre, un appello da parte dell’ambasciatore americano all’Osce, un messaggio di inquietudine espresso da Papa Francesco e la fermezza dell’Eliseo nel condannare quanto sta accadendo – nulla di tangibile è ancora stato fatto per ripristinare il transito di persone e merci; sia alla Russia, che, nonostante il dispiegamento di un contingente di pace di 2.000 uomini nella regione, mantiene un atteggiamento traccheggiante e ondivago.
I rapporti tra Mosca e Yerevan sono sempre più tesi da quando Vladimir Putin, venendo meno agli accordi dell’alleanza militare degli ex paesi del blocco sovietico, non si è impegnato nel difendere l’Armenia dai ripetuti attacchi di Baku.
Inoltre oggi lo zar, dato l’onere della guerra in Ucraina, non vuole prendere una posizione definita nel Caucaso. E a questo va aggiunto che la Russia è uno dei principali fornitori di armi all’Azerbaijan e che fino a marzo 2023 garantirà a Baku oltre un miliardo di metri cubi di gas, dal momento che il Paese affacciato sul Mar Caspio ne ha un enorme bisogno essendo tra i principali fornitori di idrocarburi dei paesi europei.
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Vicini a una guerra in Nagorno Karabakh? Rischi e conseguenze
L’International Crisis Group, l’importante organizzazione internazionale che ha come obiettivo quello di denunciare e prevenire futuri conflitti nel mondo, nei primi giorni del 2023 ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle zone del pianeta da monitorare perché a rischio di un conflitto.
Ebbene, dietro l’Ucraina, in seconda posizione, come zona ad alta instabilità e possibile scenario di un conflitto nei prossimi mesi, c’è proprio l’Armenia. Le possibilità di una nuova escalation militare sono dettate dall’ immobilismo nelle trattative di pace e da quanto sta avvenendo nel corridoio di Lachin. Una situazione che potrebbe trasformarsi facilmente in un casus belli e che potrebbe essere all’origine, se non arginata per tempo, di una nuova drammatica escalation militare nella regione.
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