Cile, in vendita le isole dei popoli indigeni
Almeno quattro isole sono in vendita nell'arcipelago di Chiloé, terre vergini e remote della Patagonia cilena vincolate in modo ancestrale ai popoli indigeni. Una mercificazione della natura che non prende in considerazione i legami di questi territori alle comunità indigene australi, come quella dei mapuche-huilliche
Isole pubblicizzate sui siti web di compagnie statunitensi, britanniche e cilene (tra gli altri, anche da Sotheby’s) come veri e propri paradisi dove realizzare tutti i propri sogni. I potenziali acquirenti sono miliardari, compagnie del settore della ristorazione che impianterebbero sulle isole dei complessi turistici di lusso, oppure l’industria del salmone, fiorente nelle zona.
Guafo, Lacao, Imelev e San Pedro, i nomi delle quattro isole che sono state messe in vendita, sulle oltre 40 che compongono l’arcipelago di Chiloé, in Cile. Storie, prezzi e dimensioni diverse, ma apparentemente tutte isole con lo stesso destino: essere vendute al miglior offerente.
In Cile oltre la metà delle isole è di proprietà privata
Il blog immobiliare Islasdechile si apre con la frase «Isole private in vendita nel sud del Cile che possono essere tue». Ed è sempre su questo portale che si trova l’annuncio di vendita di una delle isole in questione, la isola Imelev, proposta dalla compagnia Immobiliaria rural Chile Sur E.I.R.L. di Fernando Paredes Berger.
Il giornale digitale cileno El Desconcierto, in prima linea per la difesa della democrazia, la partecipazione cittadina e la protezione della natura, ha realizzato una dettagliata inchiesta per capire come queste vendite siano possibili. Tra le informazioni emerse, un dato su tutti mostra una preoccupante realtà: delle 43.471 isole presenti nel territorio cileno, solo 19.471 sono di proprietà pubblica, cioè meno della metà.
Nella regione chiamata de Los Lagos (o X), che è la regione dell’arcipelago di Chiloé, su un totale di 1.769 isole solo 69 sono di proprietà pubblica, meno del 4% del totale.
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Da parco a proprietà in vendita: storia dell’isola dell’ex presidente Piñera
San Pedro è un caso simbolo di quello che sta succedendo a Chiloé. L’isola infatti era proprietà del demanio cileno e lo è stata fino al 2003. All’epoca ci fu una operazione di scambio di terre molto discussa, tra lo stato cileno e l’imprenditore statunitense Jeremiah Henderson. Quest’ultimo accedeva alla restituzione di alcuni territori, dei quali possedeva il titolo di proprietà, ai popoli indigeni e come compensazione gli venne assegnata l’isola di San Pedro.
In seguito, però, spiega El Desconcierto, l’isola venne venduta al due volte presidente Sebastian Piñera (2010-2014 e 2018-2022), noto imprenditore e rappresentante della destra del paese dell’America Latina. Il progetto iniziale, secondo le parole dell’ex presidente, era quello di creare un parco, ma poi qualcosa deve essere andato storto visto che oggi l’isola è in vendita.
Lo stesso Piñera, in piena campagna elettorale, nel giugno del 2017 aveva assicurato nel programma Estación Moneda, organizzato da La Tercera, Radio Zero e Radio Dune:
«Nel 2004, un uomo d’affari statunitense voleva far fruttare la foresta nativa di Chiloé vendendo delle terre. Io a quel tempo ero interessato a realizzare un progetto di protezione della biodiversità della zona e così ho acquistato quello che lo statunitense (Henderson, ndr) stava vendendo. Fu un’azione che non aveva altro scopo se non la protezione e la conservazione della natura. L’acquisto venne fatto a Panama, il che è assolutamente legittimo… il mio è stato un atto di amore per la natura».
Sempre El Desconcierto precisa che durante il governo di Salvador Allende fu disposto che questi territori fossero restituiti alle comunità indigene della zona. Dopo il colpo di Stato del settembre 1973, però, il precedente proprietario, Timoleón de la Taille, riuscì a convincere Pinochet a restituirgli queste terre, il che provocò la cacciata di oltre 100 famiglie nel 1974.
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Cile, popoli indigeni australi derubati della terra
Il popolo mapuche-huilliche è un popolo indigeno australe del Cile. Conosciuti anche come Mapuche del Sud (i Mapuche sono il popolo indigeno più numeroso del paese), hanno vissuto da sempre tra gli arcipelaghi di Chiloé e il Golfo di Penas, quasi all’estremità meridionale del contenente americano.
Nel report report Il Mondo Indigeno 2021, il Gruppo internazionale di lavoro sulle tematiche indigene (Iwgia) spiega che «data la geografia del territorio, caratterizzato da un vasto arcipelago con estesi canali e fiordi, i popoli indigeni meridionali – un tempo nomadi e canoisti – hanno mantenuto fino ad oggi uno stretto rapporto con lo spazio marino e costiero, dove trovano sostentamento e dove si trova la radice della loro cosmovisione».
È importante sottolineare che in questa zona del Cile vivono in simbiosi con il territorio altri due popoli indigeni: il popolo Kawésqar, il cui territorio si trova tra il Golfo di Penas e lo Stretto di Magellano, e il popolo Yagán, ancestralmente situato a sud della Terra del Fuoco, tra il Canale di Beagle e Capo Horn.
L’ombra dell’industria del salmone sui popoli indigeni del Cile
Sempre l’Iwgia, organizzazione danese fondata nel 1968, spiega che questi territori presentano un elevato interesse per la conservazione della biodiversità, ma allo stesso tempo sono estremamente «appetibili» per l’industria del salmone.
Questo ha provocato che buona parte dei territori indigeni, marini e terrestri, sia stato da un lato dichiarato Area Naturale Protetta dallo Stato (Aspe) e, dall’altro, sfruttato in modo intensivo dall’industria del salmone.
Due dimensioni che, seppure in modo differente, hanno generato un forte impatto sulla vita di questi abitanti originari, ai quali non è stato concesso di esprimere il loro parere, libero e informato (come previsto dalla Convenzione 169 dell’Ilo) sull’utilizzo e destino di questi ecosistemi.
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Cile, popolazione indigena in lotta per le terre ancestrali
Va ricordato che in Cile circa il 13% della popolazione, pari a oltre 2 milioni di persone, si auto identifica come indigena. Lo Stato cileno dichiara che tra gli abitanti del Cile meridionale esistono tre gruppi principali, accomunati da una lingua, il Mapudungun. Questi tre gruppi sono conosciuti come picunches (popolo del nord), mapuches (popolo della terra) e huilliches (popolo del sud).
Ad oggi, però, la Costituzione cilena, che risale ai tempi della dittatura di Pinochet, non riconosce specificamente i popoli indigeni. Per sanare questa situazione, nel 1993 è stata introdotta la legge 19.253 di Promozione, protezione e sviluppo degli indigeni, conosciuta anche come “legge indigena”. Una norma che è però insufficiente rispetto agli attuali standard internazionali in materia (ad esempio la Convenzione Ilo 169, ratificata dal Cile nel 2008).
Gli strumenti giuridici successivi, ai quali il Cile ha aderito o che ha approvato, sono la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni del 2007 e la Dichiarazione americana sui diritti dei popoli indigeni del 2016, oltre alla ratifica dell’Accordo di Escazú (primo trattato ambientale dell’America Latina), avvenuto nell’anno appena trascorso.
A livello interno, nel 2008 la legge 20.249, nota come “Legge Lafkenche”, ha creato gli spazi marini costieri dei popoli originari (Ecmpo). Questi spazi hanno costituito un’alternativa per la salvaguardia dei territori delle comunità indigene costiere e, come si legge nell’articolo 3 della norma, servono a «tutelare l’uso consuetudinario di detti spazi, al fine di mantenere le tradizioni e l’uso delle risorse naturali da parte delle comunità legate alla costa».
Un valido strumento che potrebbe aiutare a porre freno alle speculazioni, ma l’applicazione di questa legge è stata lenta e arbitraria (circa 4 anni per la risoluzione di ogni domanda). In questo senso, l’Iwgia riferisce che a gennaio 2020, dei 93 Ecmpo richiesti dalle comunità costiere in tutto il Cile, solo 13 avevano avuto una positiva risoluzione.
Le comunità indigene stanno dunque lottando, nonostante gli ostacoli organizzativi e burocratici, e affrontando a viso aperto gli enormi interessi immobiliari e dell’industria del salmone, fermandone l’espansione verso i fiordi ei canali della Patagonia cilena e salvaguardando le isole, e la loro grande biodiversità, parte del loro territorio ancestrale.