Perù, la repressione fa decine di morti in due settimane
In Perù dal 7 dicembre, giorno dell’inizio della crisi istituzionale che scuote il paese, si contano già decine di morti e centinaia di feriti tra la popolazione civile. Ecco cosa è successo e qual è la situazione oggi
A due settimane dall’inizio delle mobilitazioni in appoggio al deposto Pedro Castillo e contro il Congresso della repubblica sono già state confermate 21 morti negli scontri tra manifestanti con la polizia e le forze armate del Perù. Altre sei persone sono morte in incidenti stradali ed eventi legati al blocco stradale (fonte: OjoPublico).
Perù, situazione politica: la mappa della repressione
Le forze dell’ordine, schierate inizialmente per proteggere gli aeroporti e mantenere aperte le vie di comunicazione, hanno commesso attacchi indiscriminati contro la popolazione civile. Molti gli adolescenti caduti sotto i colpi di arma da fuoco dei militari, ragazze e ragazzi tra i 15 e i 19 anni colpiti al petto, al collo e alla testa.
La mano dura dell’esercito per «difendere» l’ordine costituzionale del Paese sudamericano è stata particolarmente feroce nelle regioni delle Ande meridionali, zone con alti livelli di povertà economica e con alta concentrazione di popolazione indigena.
Lo stato d’emergenza che il 13 dicembre era stato dichiarato per la durata di 60 giorni nella zone di Apurímac, Ica e Arequipa, è stato esteso il giorno dopo a livello nazionale (per 30 giorni).
A questo si è aggiunto anche un coprifuoco notturno il 15 dicembre per 15 province di 8 regioni: Arequipa, La Libertad, Ica, Apurímac, Cusco, Puno, Huancavelica e Ayacucho.
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Ultime notizie dal Perù: cronistoria degli eventi
Dopo il tentativo dell’ormai ex presidente Pedro Castillo del 7 dicembre scorso di sciogliere il Congresso per non essere deposto, la sua successiva fuga, arresto e incarcerazione, il Perù è ora scosso da forti proteste.
Proprio il 7 dicembre, Dina Boluarte (vice di Pedro Castillo) ha assunto l’incarico di presidente diventando la prima donna a ricoprire la più alta carica dello Stato nella storia del Perù.
Immediatamente però sono cominciate le proteste popolari dalle zone dove l’anno prima Castillo era stato votato con una grande maggioranza. Apurimac, Arequipa, Cusco, Puno le aree del Perù dove sono stati creati blocchi stradali denunciando l’aperta ostilità del Congresso verso Castillo e gli interessi dell’oligarchia di Lima (la capitale) che non vedeva di buon occhio un presidente contadino.
I manifestanti hanno chiesto da subito lo scioglimento del Congresso ed elezioni anticipate immediate (la fine del mandato presidenziale è prevista per il 2026) e il grido Que se vayan todos («che se ne vadano tutti») ha attraversato il paese moltiplicando le proteste e arrivando fino a Lima.
Dina Boluarte sta cercando di mediare con il Congresso una data per le elezioni anticipate, ma per ora il consenso è stato ottenuto solo per l’aprile 2024, mentre i manifestanti spingono perché si voti nel 2023.
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Amnesty condanna la repressione in Perù
«Le autorità voltano le spalle ai cittadini e inviano le forze dell’ordine per risolvere un problema che va risolto attraverso il dialogo, non con la repressione. La sicurezza della popolazione non può essere garantita violando i diritti umani», ha dichiarato Marina Navarro, direttrice di Amnesty International Perù.
Nel comunicato che l’ong ha rilasciato il 16 dicembre si sottolineava inoltre come ai sensi del diritto internazionale le forze militari incaricate di svolgere attività di ordine pubblico e di contrasto sono vincolate dagli stessi standard delle forze di polizia. Ciò include, ad esempio, il rispetto delle norme e dei regolamenti sull’uso della forza.
In questo senso, lapidarie sono state le dichiarazioni di Erika Guevara Rosas, direttrice di Amnesty per le Americhe, in relazione al ruolo dell’esercito negli scontri: «Data l’evidenza dell’impatto negativo della risposta militarizzata all’attuale crisi in Perù, chiediamo il ritiro delle forze militari dal controllo delle proteste fintanto che non sarà possibile garantire che saranno sottoposte al comando civile e che agiranno in un quadro di diritti degli esseri umani senza l’uso illegittimo della forza e di armi letali».
Lo stesso giorno del comunicato, anche la presidente Dina Boluarte ha espresso il rammarico per le 9 morti del giorno precedente negli scontri all’ Ayacucho, senza però condannare l’operato dell’esercito.
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Notizie dalla visita della Commissione interamericana per i diritti umani
Dopo i fatti di Ayacucho del 15 dicembre, anche la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) ha espresso la sua massima preoccupazione per l’escalation esponenziale della violenza durante le proteste in Perù.
Nel comunicato del 16 dicembre si fa appello ad una soluzione pacifica della controversia «attraverso canali democratici e con la massima aderenza ai diritti umani», ma si denuncia fortemente l’uso della violenza da parte delle forze di polizie e dell’esercito, così come l’opposizione verso la stampa che ha cercato di dare copertura agli eventi.
La Cidh ha annunciato inoltre che sarebbe arrivata a breve in Perù per analizzare sul campo gli eventi seguiti alla vacanza costituzionale dell’ex presidente Pedro Castillo Terrones, prodottasi il 7 dicembre scorso.
La delegazione della commissione ha il compito di continuare le interviste esplorative per raccogliere informazioni su quanto accaduto finora.