Monza, cinque agenti di polizia penitenziaria a processo con l’accusa di aver picchiato un detenuto
Cinque agenti di polizia penitenziaria sono accusati di aver picchiato un detenuto in sciopero della fame nel carcere di Monza e di aver poi cercato di insabbiare l'accaduto. L’associazione Antigone si è costituita parte civile, mentre il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà è stato ammesso come "persona offesa". Martedì 20 dicembre è stata celebrata la seconda udienza
Nell’aula al secondo piano del tribunale di Monza martedì 20 dicembre si è tenuta la seconda udienza del processo che vede imputati quattro agenti di polizia penitenziaria e un’ispettrice. Sono accusati, a vario titolo, di lesioni aggravate, falso, calunnia, violenza privata, abuso d’ufficio e omessa denuncia contro un detenuto in sciopero della fame.
I cinque imputati sono Antonio Antonino, Giovanni Faiello, Mario Memoli, Antonio Cozzi e Marianna Stendardo.
L’associazione Antigone Onlus, insieme alla vittima del presunto pestaggio, si è costituita parte civile, mentre il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà è stato ammesso come “persona offesa”.
L’aggressione nell’istituto di via San Quirico è stata ripresa da una telecamera di sorveglianza posta nel corridoio dove sostava il detenuto in attesa di essere riportato in cella dall’infermeria. Il video è l’unica prova contro gli agenti.
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La denuncia del detenuto verso gli agenti di Monza e l’esposto di Antigone
Il 3 agosto 2019 il detenuto era stato visitato in seguito alla sua scelta di scioperare con il digiuno. La protesta era iniziata una settimana prima per ottenere un trasferimento.
«Il mio assistito non si sentiva al sicuro in quel carcere, aveva subito minacce. Ma il trasferimento gli era stato negato e aveva deciso di scioperare», dice l’avvocata Carlotta Cherchi, che insieme a Tomaso Pisapia difende il detenuto.
L’esposto era stato “chiesto” dal fratello dell’aggredito, che aveva notato lividi e contusioni durante una visita in carcere pochi giorni dopo l’aggressione. Il congiunto aveva chiamato l’associazione Antigone Lombardia, che subito era stata sostenuta dal Garante nazionale dei diritti delle private della libertà personale. «Mauro Palma si è mosso subito, in Italia è rarissimo che un detenuto abbia il coraggio di denunciare questo tipo di aggressioni e bisogna agire», dice Simona Filippi, avvocata di Antigone.
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La contro denuncia della polizia penitenziaria di Monza
Nell’esposto, depositato una volta trasferito presso un carcere emiliano, erano stati elencati i colpi ricevuti, la reclusione in una cella bianca (destinata all’isolamento) per diverse ore dopo l’aggressione, passate con addosso solo le mutande, e la visita del medico solo nella tarda serata.
Come risposta a questo esposto era stata presentata alla procura di Monza una denuncia firmata da un’ispettrice del carcere che ricostruiva in maniera opposta i fatti. La denuncia parlava di aggressione da parte del detenuto verso un agente, atti di autolesionismo nel momento della costrizione in una cella di transito in attesa della visita medica e di lesioni sul detenuto solo per motivi di contenimento da parte degli agenti. La denuncia ha portato ad un’indagine archiviata qualche mese dopo.
La prima udienza del processo contro i cinque agenti
A novembre 2021 si è tenuta la prima udienza al tribunale di Monza, dove avevano testimoniato il comandante capo Felice De Chiara e il presidente nazionale di Antigone, Patrizio Gonnella.
Il comandante ha potuto ricostruire i fatti solo parzialmente, data la sua assenza per ferie nel giorno dell’aggressione. Gonnella, invece, ha spiegato i motivi dell’esposto, sottolineando come siano oltre 200 gli agenti di polizia penitenziaria indagati per aggressioni a detenuti in tutta Italia.
L’associazione aveva chiesto di includere il reato di tortura tra i capi di imputazione, ma il giudice lo ha escluso.
Aula piena di poliziotti: la seconda udienza del processo agli agenti del carcere di Monza
L’aula C della sezione penale del tribunale di Monza ha una capienza di 50 posti. Con i cinque imputati, attualmente ancora in servizio presso lo stesso carcere, martedì 20 dicembre erano presenti i loro avvocati, che hanno confermato una linea difensiva basata sulla violenta aggressione da parte del detenuto verso un agente.
«Il video dura pochi secondi e non si vede quasi nulla. Il detenuto ha aggredito un poliziotto, si è ferito da solo mentre era in cella e lo proveremo», commentano fuori dal tribunale.
Gli altri posti dell’aula, oltre ai pubblici ministeri Stefania Di Tullio e Michela Versini e le avvocate delle parti civili, erano occupati da una ventina di poliziotti del carcere, presenti come uditori.
In piedi, con indosso la giacca per quasi due ore, hanno seguito la sola testimonianza dell’ispettrice Barbara Mazza, che redasse la denuncia del 2019. Mazza ha testimoniato di aver solo scritto il testo, perché estranea ai fatti. Prossima udienza, con la presenza del detenuto come teste, il 2 maggio 2023.
Non si comprende bene come la privacy sia a senso unico. Più volte leggo articoli di stampa in cui quando sono indagati le forze dell’ordine, si leggono nomi e cognomi in grassetto, quando l’informazione di eventuali reati riguardi delinquenti abituali od altre persone, non si mettono nemmeno le iniziali.
Credo che in questo nostro paese, si siano invertiti i ruoli, si tutelano i delinquenti di fronte all’opinione pubblica, e si mettono alla gogna gli addetti delle forze dell’ordine.
Fermo restando che colui che commetti reati va perseguito secondo le norme di legge.
Nessun senso unico, non si preoccupi: il processo era a porte aperte e le accuse sono pubbliche, quindi non si capisce perché alcuni imputati dovrebbero rimanere nell’anonimato, pur essendo notizia di chiaro interesse pubblico, mentre altri dovrebbe essere rivelati. Il peso e la misura, qui da noi, restano sempre gli stessi: quando una notizia è d’interesse pubblico va data, in caso contrario no. I nomi degli imputati in questo processo sono senz’altro di interesse pubblico.