Salute mentale in carcere: situazione critica in Lombardia
Un aumento delle patologie psichiatriche e la carenza di personale specializzato sono i campanelli d’allarme della situazione sulla salute mentale in carcere in Lombardia. A renderlo noto è la prima relazione conoscitiva della commissione speciale sulle carceri in regione
«Il tasso di detenuti con disturbi mentali è di molto superiore alla popolazione libera, dobbiamo occuparcene e dare risposte concrete, politiche». A denunciarlo è Paola Bocci, neo presidente della commissione carceri di Regione Lombardia e consigliera regionale del Pd. A palazzo Pirelli è stato presentato il dossier redatto in un anno e mezzo che indica come la salute mentale delle persone detenute sia a rischio.
Patologie psichiatriche in aumento dietro le sbarre
I 19 istituti penitenziari lombardi ospitano il maggior numero di detenuti in Italia, circa 8.500. I dati raccolti dalla commissione dal 2019 evidenziano un aumento delle patologie psichiatriche del 17% in un periodo antecedente la pandemia.
«Le patologie psichiche sono fra le maggiori cause di malattie nelle carceri italiane, rappresentando circa il 41% di tutti i disturbi che affliggono i detenuti», insiste la consigliera.
Queste percentuali erano già in aumento dal 2019 (dati dell’osservatorio Antigone, che ha collaborato alla stesura del report), ma il Covid-19 ha peggiorato le cose. La sospensione di attività all’esterno, del contatto con i familiari e la paura della malattia hanno incrementato i disturbi, che sono diventati patologici negli ultimi due anni.
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Salute mentale in carcere: la vita in “cattività” è patogenica
Alla presentazione del documento ha partecipato anche il Garante nazionale per le persone private di libertà, Mauro Palma:
«Sottolineo come la sofferenza psichica e i luoghi di privazione della libertà – ha detto – siano tra loro strettamente interdipendenti. La vita in cattività è “patogenica”, produce malattie perché non è costruita intorno alla naturalezza della vita».
Il Garante ha affrontato anche uno dei quattro temi della relazione, la condizione mentale delle donne detenute. «Ci sono solo 7 istituti su 19 lombardi che hanno una sezione femminile e in quello più grande, San Vittore, i bagni sono ancora alla turca. Bisogna dare alle detenute spazi consoni e rispettosi».
Salute mentale e assistenza psichiatrica in carcere: le criticità
«Bisogna prendersi cura di tutti i fattori di rischio esterni che vengono portati dentro le carceri. Se una persona accede già con alcune patologie è nostro dovere accorgercene e aprire un percorso adatto», sostiene Roberto Ranieri, responsabile dell’Unità operativa Sanità Penitenziaria della Regione.
Ranieri, infettivologo che da oltre 30 anni segue i detenuti lombardi, evidenzia come sia carente la conoscenza di chi entra in carcere, il trascorso personale che spesso porta a delinquere. «Dobbiamo curare le patologie psichiatriche quando sappiamo bene come sta il paziente, senza abusare di farmaci generici. Serve un prontuario farmacologico adatto e una cartella clinica obiettiva che spesso non arriva in tempo o non arriva proprio».
Per curare un paziente detenuto che spesso viene trasferito manca ancora un modo di aggiornare i medici. «Abbiamo finalmente creato una cartella informatizzata ma funziona solo in Lombardia ed Emilia Romagna e se il detenuto arriva da fuori regione non sappiamo come stia e cos’abbia».
Per la tutela della salute mentale in carcere serve personale qualificato
«Il nostro obiettivo è la cura, anche se il detenuto non la vuole. Ma ci servono figure specializzate, il nostro personale di polizia deve essere formato, non sono medici». A dirlo è Francesca Valenzi, dirigente del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria.
I poliziotti sono i primi ad accorrere nel caso di atti di violenza, ma spesso non sono preparati per capire i segnali precedenti. «Dobbiamo ottenere più personale specializzato come psicologi ed educatori. Ad oggi c’è uno psichiatra per 100 detenuti che ha 6 ore settimanali di colloqui. 12 ore settimanali invece per gli psicologi, sempre su 100 detenuti, che per il resto del tempo sono a contatto solo con i poliziotti», dice Vincenzi.
La dirigente spiega come i reparti di articolazione per la salute mentale, settori destinati ai detenuti a cui sono state diagnosticate patologie psichiatriche, sono troppo pochi. «Ci sono 4 posti nel carcere di Monza e poi una sola a Pavia, in tutto il territorio lombardo».
Il rischio è un nuovo taglio all’amministrazione penitenziaria nella nuova legge di bilancio, ancora in fase di discussione, che però porterebbe ad ulteriore stress per chi lavora negli istituti.
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Salute mentale e carcere: Rems e protocolli d’intesa in sospeso
Oltre ai settori destinati ai detenuti psichiatrici, in Lombardia esiste una sola Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), quella di Castiglione delle Stiviere. «Quelle residenze devono essere l’extrema ratio, c’è un protocollo dal 2019 scritto tra l’area sanitaria della Salute Mentale regionale e la magistratura che è del tutto disatteso. Lì abbiamo scritto che chi ha compiuto un reato, ma è diagnosticato con patologie psichiatriche, deve essere seguito nei centri sanitari territoriali, senza passare un giorno in carcere. Invece spesso il giudice indica la Rems per pressioni esterne», denuncia Giovanna di Rosa, presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano. Secondo la presidente bisogna fare una nuova scelta culturale per costruire una reale alternativa per chi commette reato ma è malato psichiatrico.
Il problema della salute mentale in carcere: record di suicidi
Il punto su cui tutti i relatori si fermano è l’alto tasso di suicidi nel 2022. 16 dei 79 suicidi di quest’anno sono accaduti in Lombardia, di cui 13 under 36.
«Il disagio psichiatrico, che talvolta è rappresentato solo da disturbi comportamentali legati anche all’abuso di sostanze, porta però in alcuni casi a sintomi psicotici, fino al tentato suicidio e al suicidio stesso. Questa tragedia deve avere risposte immediate, da noi politici in primis», sostiene la presidente Bocci.
Mauro Palma sottolinea come un terzo dei suicidi si verifichi nei primi dieci giorni dall’accesso in carcere e un altro terzo da persone senza fissa dimora.
«Il carcere massifica, è una distorsione della società che le persone fragili come i senza dimora non tollerano. A loro deve essere data la certezza di una cura psicologica per arrivare al benessere della salute».