Le comunità terapeutiche della Sardegna rischiano di chiudere tra sei mesi
La retta giornaliera stabilita dalla Regione Sardegna è ferma al 2012 e non copre neppure il costo del personale. Eppure le comunità terapeutiche garantiscono i livelli essenziali di assistenza per le persone con dipendenze. Ecco cosa ci ha detto Giovanna Grillo, coordinatrice del Centro enti accreditati dell'isola
Rischiano di chiudere una volta per tutte e di lasciare tante persone con gravi dipendenze senza assistenza sul territorio, costringendole a curarsi fuori dall’isola. Parliamo delle comunità terapeutiche accreditate della Sardegna che all’inizio del 2022 erano dieci e che sono rimaste in otto. Due hanno già chiuso e per le altre, dislocate su tutto il territorio sardo, la situazione non è più rosea.
Nonostante le numerose richieste presentate alle istituzioni e un nuovo appello lanciato il mese scorso tramite il quotidiano l’Unione Sarda, la situazione non è cambiata e nel 2023 potrebbe ancora peggiorare.
Osservatorio Diritti ne ha parlato con Giovanna Grillo, coordinatrice del Coordinamento enti accreditati Sardegna (Ceas), rappresentante della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), oltre che direttrice di Casa Emmaus, con sede a Iglesias.
Il Ceas, costituito nel 1993, è formato dalle otto comunità attualmente a rischio chiusura: Associazione Mondo X- Sardegna, Associazione l’Aquilone, Comunità la Crucca, la già citata Casa Emmaus, l’Associazione Madonna del Rosario, Associazione Arcobaleno, Centro di accoglienza Don Vito Sguotti, Dianova cooperativa sociale.
Comunità terapeutiche della Sardegna: rette ferme al 2012
«Le comunità esistenti sul territorio che seguono gli accreditamenti da parte della Regione hanno diverse tipologie di servizi per le persone con dipendenza: abbiamo due centri di pronta accoglienza in tutta l’isola, ci sono poi comunità terapeutiche, pedagogiche e una mamma tossicodipendente-bambino, mentre hanno chiuso le strutture per minori tossicodipendenti, con non pochi disagi. A oggi, di queste ultime, ne sono rimaste sei in tutta Italia», spiega Grillo.
«Quanto alla nostra situazione, tutti gli appelli finora sono rimasti inascoltati. Di recente abbiamo saputo che durante l’ultimo consiglio regionale, tenutosi il 30 novembre, è stato ha votato un emendamento che prevede un aumento contributivo che riguarda però il 2013. Si tratta del 21% in più della retta attuale, che adesso è pari a 68 euro giornaliere, ma per noi è inconsistente: ci servirebbe che fosse almeno del 30%, oltre che continuativo. Le nostre rette infatti sono rimaste ferme al 2012».
Per coprire tutti i costi relativi alla gestione delle comunità terapeutiche, così come le ore del personale obbligatorio, che ogni comunità deve impiegare (è uno dei criteri per essere accreditati), infatti, «è necessario un maggiore impiego di risorse. L’accreditamento, secondo la legge 502/92, prevede che ogni regione stabilisca dei requisiti sia relativi alle ore del personale sia alla tipologia di struttura. Pertanto se noi abbassiamo le ore del personale perdiamo l’accreditamento. Negli ultimi sei anni abbiamo inviato alla Regione delle perizie giurate di consulenti del lavoro e commercialisti che confermano che la retta attuale non copre neanche i costi del personale. Se vogliamo mantenere l’accreditamento dobbiamo continuare a mantenere questi requisiti, di contro la Regione non ci sta venendo incontro».
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Le comunità in Sardegna garantiscono l’assistenza essenziale per chi ha dipendenze
Le comunità, in più, pagano anche lo scotto della pandemia visto che, per proteggersi dalla propagazione del Covid e proteggere gli stessi ospiti della comunità, hanno dovuto comprare di tasca loro i cosiddetti Dpi, i dispositivi di protezione individuale come mascherine, tamponi e camici. «E a differenza di com’è avvenuto in altre regioni, tra cui il Veneto e la Lombardia, non abbiamo ricevuto neanche un euro».
La situazione, secondo Grillo, è in una fase di stallo anche a causa del «rimpasto degli assessori, in particolare quello alla salute, che c’è stato di recente in Regione. Abbiamo chiesto un incontro urgente, ma nessuno finora ci ha fissato un appuntamento».
L’appello delle comunità non può restare inascoltato, anche perché «le nostre strutture sono le uniche che garantiscono i Lea, non ci sono strutture residenziali del servizio pubblico, pertanto si tratta dell’unica presenza sul territorio».
La sigla “Lea” sta per Livelli essenziali di assistenza, ossia quelle prestazioni e servizi che il Servizio sanitario regionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini in Italia, gratuitamente o dietro pagamento di un ticket. Senza di essi, chi ha gravi problemi di dipendenze, come in questo caso, è costretto a rivolgersi a comunità private, spesso parecchio costose. E, come precisa Grillo:
«Chi ha problemi di dipendenza normalmente non ha la possibilità di accedere a strutture private».
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Tra Serd e Commissione possono passare sei prima di arrivare in comunità
La Sardegna, inoltre, ha delle particolarità per quel che riguarda la gestione delle dipendenze.
La parola ancora a Grillo: «Per i pazienti tossicodipendenti – che non sono liberi di curarsi ovunque, come previsto dalla Legge 309/90 e come invece avviene per i pazienti oncologici (solo per fare un esempio) – è previsto che l’unico ente autorizzato a certificare la dipendenza sia il Serd (Servizi per le dipendenze patologiche). Spetta poi a questo ente la decisione di inviare o meno la persona in una struttura terapeutica. E questo è già un primo collo di bottiglia. Il problema è che per la Sardegna c’è un altro organismo, una Commissione, che ha dentro le stesse professionalità del Serd e deve fare un’ulteriore valutazione. Ciò comporta che ci sono pazienti che aspettano anche sei mesi prima di entrare in comunità».
Le tempistiche che si dilatano possono avere delle gravi conseguenze:
«Una persona in quello stato può nel frattempo morire, commettere atti di lesione per sé e gli altri e tanto altro ancora».
Ma i problemi non finiscono qui per le comunità terapeutiche. «La Regione ha tirato fuori una norma che ci chiede di lasciare liberi dei posti letto convenzionati per le Asl. Queste non sono costrette a inserire i pazienti, ma noi siamo costretti a tenerli vuoti su loro richiesta. Si tratta di posti per cui non veniamo pagati e che restano in sospeso perché non possiamo destinarli ad altre persone».
Al momento in tutta la Sardegna, come specifica la coordinatrice del Ceas, «ci sono 350 pazienti, per un totale di 8 comunità terapeutiche. Il 30% viene dal carcere: si tratta di tossicodipendenti che possono beneficiare delle misure previste dalla già citata legge 309/90 e per lo Stato è anche un notevole risparmio. Un detenuto infatti costa 550 euro al giorno, mentre nelle nostre strutture la retta è meno di 70 euro giornaliere. Le nostre comunità sono tutte a rischio chiusura, c’è poi chi è più indebitato o meno, ma in queste condizioni, se non cambia qualcosa, possiamo resistere ancora al massimo 6-8 mesi».