Violenza sulle donne in Italia e nel mondo: storie di lotta in difesa dei diritti

La Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre nel 2022 è dedicata all'Attivismo di chi lotta per porre fine a questa grave violazione. Ecco gli ultimi dati a disposizione in Italia e tre storie dal mondo

Come ogni 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è tempo di bilanci. E i bilanci, di solito, si fanno con i numeri. Ma sulla violenza sulle donne, purtroppo, c’è n’è carenza. Gli ultimi dati Istat relativi al fenomeno nel suo complesso, infatti, risalgono ormai a otto anni fa.

La prima “Indagine sulla sicurezza delle donne” è stata condotta dall’istituto nazionale di statistica nel 2006, la seconda nel 2014. La terza, al momento, è ancora in fase di progettazione.

A riprova di quanto invece i dati siano fondamentali per elaborare politiche di prevenzione e contrasto, durante la scorsa legislatura è stata approvata dal parlamento italiano la legge 5 maggio 2022, n. 53 sulle “Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere“.

Violenza sulle donne in Italia: cosa dicono i dati

Ad oggi i dati più recenti a disposizione sono quelli sugli omicidi volontari, con particolare attenzione ai casi riconducibili alla violenza di genere, diffusi settimanalmente dalla Direzione centrale della polizia criminale.

Nell’ultimo bollettino, relativo al periodo 1° gennaio-20 novembre 2022, si legge che dei 273 omicidi commessi, 104 hanno avuto come vittime delle donne. Di queste, 88 sono state uccise in ambito familiare o affettivo, mentre 52 – la metà – hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner.

Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il numero delle vittime di genere femminile si è ridotto: da 109 sono scese a 104 (-5%). Le diminuzioni riguardano anche le donne uccise in ambito familiare o affettivo, passate da 94 a 88 (-6%), e quello degli omicidi commessi dal partner o dall’ex partner con vittime donne, da 62 sono a 52 (-16%).

Si parla di flessioni in alcuni casi millimetriche, ma che potrebbero lasciare spazio a uno spiraglio di ottimismo, se non fosse che questi numeri sono parziali e incompleti poiché si riferiscono solo ed esclusivamente agli omicidi volontari e quindi prevalentemente ai femminicidi.

Giornata contro la violenza sulle donne: il significato delle parole

La violenza sulle donne è invece un fenomeno più complesso che comprende «ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà», come recita l’art. 1 della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne delle Nazioni Unite, approvata nel 1993.

Il termine femminicidio si riferisce invece in maniera più specifica alle «donne uccise in quanto donne, o perché non sono le donne che la società vorrebbe che fossero», secondo la definizione della convenzione di Istanbul.

Lotta alla violenza sulle donne nel mondo: la Convenzione di Istanbul

La Convenzione rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per proteggere le donne da qualsiasi forma di violenza e perseguire i trasgressori e introduce il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.

Un pilastro fondamentale che però fatica ancora oggi a essere riconosciuto come tale, anche da alcuni stati membri dell’Unione europea che non l’hanno ancora ratificata: Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania e Slovacchia.

Fuori dell’Ue, paesi come Regno Unito, Moldova e Ucraina, pur nel pieno di una guerra sanguinosa, l’hanno ratificata nel 2022. La Turchia – ironia della sorte (Istanbul si trova in Turchia) – è l’unico paese che si è ritirato dalla Convenzione.

«Le motivazioni addotte dalle autorità turche per giustificare il ritiro, ossia che la Convenzione è una minaccia ai “valori della famiglia” e “normalizza l’omosessualità”, sono state fatte proprie da vari governi, tra cui quelli di Polonia e Ungheria», ha denunciato Amnesty International.

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Proteste davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti – Foto: Ted Eytan (via Wikimedia Commons)

Il tema del diritto all’aborto negli Stati Uniti

Le Nazioni Unite hanno scelto quest’anno di dedicare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne all’Attivismo per porre fine alla violenza contro donne e ragazze. La lotta contro l’erosione dei diritti delle donne e la violenza nei loro confronti dipende infatti molto dal protagonismo della componente femminile della società, come dimostrano alcuni fatti avvenuti negli ultimi mesi in varie parti del Pianeta.

Quello forse più eclatante è stata la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire a giugno 2022 la storica sentenza Roe v. Wade, demandando a ciascuno Stato la competenza di decidere come regolamentare l’interruzione di gravidanza e ponendo fine di fatto alla tutela del diritto all’aborto a livello federale.

Una scelta controversa, che ha scatenato numerose proteste in tutto il paese e che ha pesato anche sulle elezioni di metà mandato dell’8 novembre 2022: l’onda rossa repubblicana che alcuni prevedevano non c’è stata.

A ispirare le proteste negli Usa è stata invece un’altra onda, quella verde (Marea Verde o Green Wave) diffusasi negli scorsi anni in America Latina che, attraverso lunghe battaglie, in alcuni casi durate decenni, ha portato alla legalizzazione dell’interruzione di gravidanza prima in Argentina, poi in Messico e per finire in Colombia, stati in cui abortire era considerato un reato.

Un esempio da seguire, secondo quanto scritto da un articolo dell’Harvard Gazette, “La lezione dall’America Latina al movimento statunitense per il diritto all’aborto (Lesson from Latin America for U.S. abortion rights movement).

«L’accesso all’aborto è un diritto umano. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani, ogni persona ha diritto alla vita, diritto alla salute e diritto a essere libero dalla violenza, dalla discriminazione e dalla tortura o da altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti. Costringere qualcuno a portare avanti una gravidanza contro la sua volontà, per qualsiasi motivo, è una violazione di tali diritti. L’aborto deve essere legale, sicuro e accessibile a tutte le persone», ha commentato Amnesty rispetto alla situazione negli Usa.

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Proteste per la legalizzazione dell’aborto in Argentina – Foto: Lara Va (via Wikimedia Commons)

Il movimento per i diritti delle donne in America Latina nel 2022

La violenza estrema contro le donne è il femminicidio. In America Latina e nei Caraibi ci sono 14 dei 25 paesi con il maggior numero di femminicidi al mondo. I dati più recenti dell’Osservatorio sull’uguaglianza di genere della Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (Cepal), relativi al 2020, riportano almeno 4.091 casi di femminicidio in 26 paesi, 17 dell’America Latina e 9 dei Caraibi.

La pervasività di questa violenza nella società latinoamericana ha prodotto un effetto uguale per potenza ma contrario: uno dei movimenti femministi più solidi ed efficaci di sempre. Negli ultimi anni, migliaia di donne in tutta l’America Latina sono scese in piazza per protestare contro la disuguaglianza di genere e per rivendicare i propri diritti.

Quello femminista «è il movimento sociale e politico più dinamico nella regione in questo momento», ha affermato in un’intervista alla Deutsche Welle Verónica Gago, dottoressa in Scienze Sociali all’Università di Buenos Aires e una delle fondatrici di Non una di meno (Ni Una Menos) in Argentina.

Tuttavia le sfide pendenti non sono poche: tra le principali, la lotta alla violenza sulle donne in tutte le sue manifestazioni, il riconoscimento del diritto all’aborto negato ancora in molti paesi e il tema della cura, che è emerso con evidenza durante la pandemia e che continua ad essere uno dei grandi dimenticati.

Il vento di cambiamento nella società latinoamericana è stato sostenuto anche da un avvicendamento ai vertici del potere di una classe politica in linea con la visione del movimento femminista. «Il femminismo ha trasformato tutto negli ultimi anni», ha sottolineato il presidente dell’Argentina, Alberto Fernández, nel suo intervento di apertura della XV Conferenza regionale sulle donne in America Latina e nei Caraibi, che si è svolta dal 7 all’11 novembre 2022 a Buenos Aires.

«Abbiamo ottenuto tutto ciò che volevamo? No, assolutamente no», ha detto, riconoscendo le sfide relative al divario retributivo, alle condizioni di lavoro per le lavoratrici domestiche e ai diritti per le donne che svolgono lavori di cura non retribuiti.

«Alcuni lo chiamano patriarcato, altri machismo. Tutto quello che so è che il tempo della disuguaglianza tra uomini e donne è finito. E sebbene siano stati compiuti molti progressi, c’è ancora molta strada da fare e siamo ancora lontani dal raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati», ha concluso il presidente Fernández.

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Studenti dell’università Amir Kabir protestano contro l’hijab e la Repubblica islamica – Foto: Darafsh (via Wikimedia Commons)

Violenza contro chi manifesta: le donne protestano in Iran

In Iran c’è un’altra onda che sta rivendicando un diritto inalienabile, quello della libertà d’espressione delle donne, e che rischia di far saltare il regime iraniano saldamente al potere dal 1979. A far scattare le proteste, che durano ormai da due mesi, la morte della studentessa 22enne, Mahsa Amini, mentre era sotto custodia della polizia morale di Teheran (leggi anche Proteste in Iran, Babak Monazzami: «La mia battaglia per un Paese libero e forte»).

Secondo le ricostruzioni, la ragazza sarebbe stata arrestata lo scorso 13 settembre perché non indossava correttamente il velo. Portata in una caserma della Gasht-e Ershad, cioè la polizia “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”, ne è uscita incosciente ed è morta dopo tre giorni di coma in ospedale.

Anche se le proteste trascendono i confini sociali, riunendo strati della società iraniana molto più ampi di quelli che si erano visti negli ultimi anni, le protagoniste delle manifestazioni, che si stanno espandendo a macchia d’olio in tutto il paese, sono state sin da subito le donne.

Al grido di «donna, vita, libertà», nelle piazze di diverse città si sono rese protagoniste di gesti eclatanti per il contesto iraniano: dal taglio dei capelli in pubblico alla rimozione del velo, in alcuni casi gettato anche alle fiamme.

Se in passato le donne protestavano perché non volevano indossare il velo «senza però mettere in discussione il regime islamico», spiega la sociologa Azadeh Kian, interpellata dall’Istituto per gli studi di politica Internazionale, «oggi, invece, l’azione collettiva di togliersi il velo è “solo” la punta dell’iceberg: quello contro cui si protesta è l’intero sistema di oppressione contro le donne messo in piedi dal regime iraniano, di cui il velo rappresenta un simbolo sia religioso che politico» (leggi anche Iran: la lunga lotta delle donne contro il velo obbligatorio).

Lo scorso 22 novembre il capo dell’Onu per i diritti umani, Volker Türk, tramite il suo portavoce Jeremy Laurence, ha denunciato la gravità del momento: «Il crescente numero di morti causati dalle proteste in Iran, tra cui quelli di due bambini questo fine settimana, e l’inasprimento della risposta delle forze di sicurezza sottolineano la situazione critica del Paese».

Dall’inizio delle proteste a livello nazionale, il 16 settembre 2022, oltre 300 persone sono state uccise, tra cui più di 40 bambini. Manifestanti sono stati uccisi in 25 delle 31 province iraniane. Oltre 40 persone sono state ammazzate in città principalmente curde la scorsa settimana, ha aggiunto il portavoce Onu.

L’Organizzazione ha inoltre riferito che «migliaia di persone» sono state arrestate in tutto il Paese per aver aderito a proteste pacifiche ed almeno sei persone collegate alle proteste sono state condannate a morte con l’accusa di moharebeh( guerra contro Dio) o efsad-e fel-arz (corruzione sulla terra).

«Chiediamo alle autorità di rilasciare tutte le persone detenute in relazione all’esercizio dei loro diritti, compreso il diritto di riunione pacifica, e di ritirare le accuse contro di loro», ha detto Laurence.

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