Il Tigray intravede la pace dopo due anni di guerra con l’Etiopia
In mezzo a una crisi umanitaria devastante, il Fronte di Liberazione del Tigray e il governo di Addis Abeba, in Etiopia, firmano un accordo per fermare la guerra dopo oltre 700 giorni. Ma la situazione è ancora in bilico
Sembra essere arrivata, forse, alla conclusione la guerra che per due anni ha dilaniato l’Etiopia e ha visto contrapporsi le forze del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray e l’esercito di Addis Abeba supportato da quello di Asmara (Eritrea) https://www.osservatoriodiritti.it/2021/11/16/guerra-etiopia/ .
Il 2 novembre è stato siglato infatti un cessate il fuoco tra le parti, che ha messo fine a oltre 700 giorni di un conflitto che ha provocato più di 2 milioni di sfollati, un numero imprecisato di morti – che secondo l’analista Abduarhmayan Sayed possono essere quantificati tra i 700.000 e gli 800.000 – e che ha posto oltre 9 milioni di persone in una condizione di estremo bisogno di aiuti umanitari.
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Tigray: le cause delle guerra con l’Etiopia
Il Tigray è una delle 11 regioni amministrative dell’Etiopia, paese dove ogni regione è per lo più autonoma e dotata di proprie forze di polizia e milizie. Il Tigray People Liberation Front (Tplf) ha governato il paese per più di tre decenni, prima che Abiy Ahmed salisse al potere nel 2018.
Dopo essere diventato primo ministro, Abiy ha lavorato per smantellare il potere del Tplf, ostracizzando i tigrini dalle principali posizioni amministrative a livello nazionale e dando vita a una nuova forza politica, il Partito della Prosperità (Pp), dal quale il Tplf è stato esautorato.
Le provocazioni si sono susseguite in maniera estremamente rapida e il casus belli sono state le votazioni svoltesi in Tigray nonostante il rinvio imposto da Addis Abeba a causa del lockdown per il Covid. Da quel momento le accuse reciproche di illegalità dei voti e illegittimità del potere del primo ministro, lo scontro è divenuto militare e ha coinvolto la vicina Eritrea e diversi gruppi etnici del Paese, come gli Oromo e gli Amhara.
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Le notizie di guerra dal Tigray descrivono gli orrori del conflitto
Dopo che il premier Abiy Ahmed vinse il premio Nobel per la pace nel 2019 per aver contribuito a porre fine alla guerra ventennale con la vicina Eritrea, le aspettative di tutti gli analisti erano che il Corno d’Africa si sarebbe gradualmente avviato verso un nuovo futuro di pace a livello regionale e internazionale.
Mai previsioni furono più errate, tanto che la guerra che incominciò nel 2020 si caratterizzò per essere una delle più feroci e disumane combattute negli ultimi anni nel continente africano, come testimonia un rapporto diffuso da Amnesty International e Human Rights Watch il 6 aprile.
Il documento parla di crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Vengono portate prove di casi di pulizia etnica, stupri, torture, esecuzioni sommarie, casi di schiavitù sessuale, oltre a episodi di sequestro di derrate alimentari e impedimento dell’accesso degli aiuti umanitari.
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Pace tra Etiopia e Tigray: gli accordi firmati in Sudafrica
Il 2 novembre a Pretoria, in Sudafrica, grazie alla mediazione di una storica figura dell’Africa contemporanea, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, si è raggiunta un’intesa tra le parti in lotta per la cessazione degli scontri.
L’accordo prevede la fine delle ostilità, un disarmo totale e coordinato e gli 11 punti che lo strutturano hanno come capisaldi il rispetto della sovranità territoriale del Paese e dell’ordine costituzionale della nazione.
Il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato che si tratta di un primo passo importante verso la pacificazione del Paese. Alan Boswell, dell’International Crisis Group, ha espresso parole di giubilo per la firma dell’accordo, pur rimanendo cauto e spiegando che un conflitto come quello che si è consumato in Etiopia negli ultimi due anni non si esaurisce improvvisamente da un giorno con l’altro, ma che il cammino per la pace è lungo e pretende attenzione, pazienza e impegno a livello nazionale e internazionale.
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Tigray, la guerra dietro l’angolo: rischi di fallimento
In molti tra analisti, osservatori internazionali e giornalisti locali sostengono che l’accordo sia estremamente fragile e il rischio è che possa avere vita breve. Osservando in filigrana quanto siglato dalle due parti, si notano alcune mancanze. E una su tutte balza all’occhio: l’Eritrea, le cui forze si sono macchiate di atrocità nel conflitto, non è stata menzionata nell’accordo di pace e nessuno dei suoi rappresentanti era presente in Sudafrica.
E poi non viene specificato il futuro stato del Tigray occidentale, una regione pari a circa un quarto dell’intero Tigray che le autorità Ahmara hanno dichiarato di voler annettere.
Il testo è anche molto lacunoso per quel che concerne tutti i territori contesi e che sono stati occupati dai differenti gruppi in questi due anni,
Infine occorre ricordare che ad oggi a nessun camion di aiuti alimentari è stato consentito entrare in Tigray.
La fragilità dell’accordo trova conferma in una dichiarazione del governo del Tigray che, all’indomani dell’accordo, ha emesso un comunicato nel quale ha dichiarato: «L’accordo di pace non sarà attuato se danneggia gli interessi del popolo del Tigray». Parole che rivelano come il destino della pace in Etiopia si appeso a un filo estremamente sottile.