Proteste in Iran, Babak Monazzami: «La mia battaglia per un Paese libero e forte»
Le proteste per le donne in Iran scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini. La repressione che colpisce tutti, a partire dalle minoranze. Babak Monazzami, dissidente politico dal 2005, ci racconta qual è la situazione oggi nel suo Paese. «Sono stato picchiato e incarcerato per il mio aspetto e il mio modo di vestire»
«Ho ricevuto e continuo a ricevere minacce. Ma vado avanti nella mia battaglia per l’Iran e le iraniane. Sono stato testimone degli atti di violenza che la donna iraniana subisce ogni giorno. Chi sceglie la strada della violenza contro le donne, che sia un uomo o un governo, dimostra di essere un debole. Io non mi fermo, so di essere dalla parte giusta e non ho paura».
Non si nasconde, ha determinazione e le idee chiare, Babak Monazzami, dissidente politico iraniano costretto nel 2005 a lasciare il suo Paese e ad approdare in Europa, prima in Italia ora in Germania.
Le proteste che minano il regime degli ayatollah
Non teme di levare la sua voce contro il regime in Iran, soprattutto adesso che il Paese è attraversato da un fiume in piena ormai inarrestabile di manifestazioni di protesta contro il regime autoritario e ultraconservatore degli ayatollah. Manifestazioni che continuano a essere represse con l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine.
Il 26 ottobre la polizia ha aperto il fuoco contro i manifestanti radunati a Saqqez, nel Kurdistan iraniano, per commemorare Mahsa Amini a 40 giorni dalla sua morte, dopo essere stata fermata perché non indossava correttamente il velo. Monazzami ha deciso di manifestare davanti al Parlamento tedesco, a Berlino, con cartelli realizzati da lui, a sostegno dei diritti delle donne iraniane e della libertà nel suo Paese.
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Iran, la persecuzione colpisce le minoranze
Originario di Khorramabad, nella provincia occidentale del Lorestan, Monazzami si è laureato in Medicina naturale. Da ragazzo ha giocato a calcio in una delle principali squadre iraniane di serie A. Artista, fotografo, videomaker, modello, in Italia e in Germania ha partecipato ad alcuni programmi tv, oggi ha la cittadinanza tedesca e sta realizzando un documentario autobiografico.
Colto, appassionato della storia e della cultura dell’Iran, Monazzami è seguace della religione del Mitraismo, un antichissimo culto del mondo indo-persiano. Una minoranza religiosa, come tale bersaglio di persecuzioni e discriminazione da parte delle autorità della Repubblica islamica sciita (gli sciiti rappresentano la maggioranza della popolazione in Iran), esattamente come tutte le altre minoranze, cristiani, ebrei, zoroastriani, musulmani sunniti, comunità sufi, comunità baha’i.
Le manifestazioni di protesta in Iran hanno il volto delle donne. Eppure, il malcontento della popolazione, che dura da anni, riguarda tutti, uomini e donne.
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Babak Monazzami, la repressione in Iran non si rivolge solo contro le donne…
«L’autoritarismo si rivolge contro tutti, uomini e donne, e comincia fin da quando si è ragazzini. Porto un esempio personale: avevo 9 o 10 anni, ero andato a giocare a badminton con mio cugino con la squadra della nostra città. La sera prima della partita mio cugino si era messo a giocare a carte con un compagno di squadra. A un certo punto la persona che ci accompagnava come responsabile ha preso brutalmente a schiaffi mio cugino perché giocare a carte in Iran è proibito. Eppure noi eravamo bambini e anche l’islam prescrive che una persona comincia a compiere un peccato dall’età di 15 anni, per i maschi, e dai 9 anni, per le ragazze. Prima di quell’età non c’è peccato. Un mio amico è stato ucciso la notte di Capodanno perché mentre era in macchina ascoltava la musica occidentale. Lo Stato iraniano è pericoloso: un giorno esci di casa e possono fermarti, picchiarti, arrestarti per qualunque motivo senza che tu te ne renda conto».
Anche lei hai vissuto carcere e tortura. Perché è stato preso di mira?
«In Iran diventi un bersaglio delle autorità anche se, ad esempio, sei un uomo fisicamente attraente, come è successo a me: dicono che con il tuo aspetto puoi provocare le donne, diventare per loro una tentazione e indurle a peccare. Da quando avevo 14-15 anni, a causa del mio aspetto e del mio modo di vestire o di portare i capelli, più volte sono stato fermato e picchiato dagli agenti dei servizi segreti e dai basiji, paramilitari volontari che girano in borghese».
Come per le donne, che devono indossare il velo islamico ed essere coperte, anche per gli uomini c’è un codice di abbigliamento?
«Tutti gli uomini dovrebbero vestirsi come i basiji, ovvero con la maglia o camicia tutta chiusa fino al collo, le maniche lunghe, la barba lunga, la macchia sulla fronte prodotta da una bruciatura per dimostrare di essere fedeli musulmani (il segno sulla fronte è tipico di chi prega costantemente appoggiando più volte la fronte per terra), devi indossare abiti molto larghi che nascondono completamente le forme. Se hai un corpo palestrato ti creano problemi, come è successo a mio fratello».
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Da ragazzo è stato un giocatore di calcio ad alti livelli. Ma poi ha avuto problemi…
«Quando mi hanno presentato all’allenatore della nazionale iraniana, a Teheran, mi sono cambiato e sono andato in campo. Avevo circa 16 anni, la mia barba era un po’ cresciuta come una linea verticale tra bocca e mento, avevo fatto allungare i capelli e li dividevo al centro. Ero un ragazzino e cercavo un mio stile, tutto qua. Ma l’allenatore mi ha guardato e mi ha rimproverato dicendomi: “Noi non vogliamo giocatori con questo aspetto”. E mi ha mandato subito via senza nemmeno mettermi alla prova».
La situazione oggi in Iran: cosa pensa della richiesta inviata alla Fifa di escludere la nazionale del suo Paese dal Mondiale di calcio in Qatar?
«Io posso testimoniare che in Iran ci sono stati e ci sono giocatori bravissimi e pieni di talento che avrebbero potuto giocare senza dubbio in serie A e in nazionale e sono stati esclusi o per ragioni religiose o per altre motivazioni: io ad esempio sono stato mandato via per un motivo puramente estetico. La nazionale di calcio rappresenta la nazionale del regime, non dell’Iran come Paese e del popolo iraniano. Addirittura la discriminazione in campo sportivo ha colpito atleti semplicemente perché erano biondi. Chi è biondo in Iran ha spesso dei problemi, perché viene considerato non iraniano».
Le relazioni fra Iran e Occidente sono più complicate dopo l’appoggio di Teheran a Mosca nella guerra in Ucraina. Pensa che le proteste produrranno un reale cambiamento?
«L’Iran odierno purtroppo non sta giocando il suo ruolo storico di mediatore e ubbidisce a Mosca. Credo sia fondamentale che l’Occidente non ci venda a poco prezzo. Se l’Occidente ci abbandona, la rivolta fallirà e per gli iraniani sarà un bagno di sangue e un mare di esecuzioni capitali. Ma stavolta sento che il mondo occidentale ci sta sostenendo sul serio. Noi persiani abbiamo sempre avuto una grande pazienza nella nostra storia. Abbiamo una lunga tradizione di tolleranza, la pace fa parte della nostra identità. Essere persiano significa difendere i diritti umani e i diritti delle altre nazioni. Nel nostro passato le donne non sono mai state schiave. Nel mio Paese c’è sempre stato uno straordinario fermento culturale: un Iran di nuovo libero e forte sarebbe un’esplosione di arte e cultura di cui tutto il mondo potrebbe beneficiare. Sarebbe fondamentale per ricercare soluzioni alle controversie tra Paesi, per trovare un nuovo equilibro regionale in Medio Oriente, per migliorare i rapporti tra Est e Ovest, per avere un mondo più in pace».