Colpo di Stato in Burkina Faso: la strategia economica dietro l’avanzata dei terroristi

A pochi giorni dall’ultimo attentato, a Ouagadougou un colpo di Stato provoca un cambio al vertice della giunta militare che guida il Burkina Faso da gennaio. Nel frattempo, i gruppi armati guadagnano terreno facilitando contrabbando e sfruttamento delle miniere d’oro. Per finanziarsi e ottenere consensi

Il Burkina Faso è reduce dal secondo colpo di stato in meno di un anno. Il nuovo uomo forte di Ouagadougou, il capitano Ibrahim Traoré, ha preso il potere venerdì 30 settembre, pochi giorni dopo l’ennesimo sanguinoso atto di terrorismo.

Il 26 settembre un convoglio di viveri con la scorta militare diretto a Djibo, nel nord del paese,  è caduto in un’imboscata: 11 soldati sono morti, 28 sono rimasti feriti, decine di civili dispersi, decine di camion incendiati e Dijbo, da mesi isolata a causa dei ripetuti attacchi lungo la strada che la collega alla capitale, ridotta alla fame.

La progressione nell’attività dei gruppi armati è impressionante. Nel 2018 nel paese si sono registrati 253 attacchi, che sono diventati 643 nel 2019 e oltre 1.300 nel 2021. Secondo l’Acled, che raccoglie e analizza dati sulle crisi nel mondo, nei primi sei mesi del 2022 la violenza si è intensificata ancora di più.

Dietro molti degli attacchi che hanno costretto oltre 1 milione 500 mila persone a fuggire dalle loro case, c’è il Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin’s (Jnim), un gruppo armato nato in Mali nel 2017 dall’unione di Al Qaeda nel Maghreb islamico e altre formazioni locali, che si contende il controllo del territorio con lo Stato Islamico nel Grande Sahara (Isig).

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Foto: via Pixabay

Colpo di Stato in Burkina Faso: i terroristi fanno leva sul risentimento verso le autorità

L’avanzata dello Jnim si basa in buona parte sulla capacità del gruppo di sfruttare le attività economiche illecite non soltanto per finanziarsi, ma per ottenere il consenso delle comunità locali, sostiene un rapporto della Global Initiative against transnational organized crime, organizzazione che studia il crimine organizzato.

Quando gli affiliati allo Jnim arrivano in una nuova località in cambio di aiuto propongono ai giovani «un fucile, una moto o una bicicletta e un po’ di soldi, un’offerta allettante per chi spesso non ha altre opportunità di guadagno» osserva il rapporto.

Facendo leva sui bisogni e i risentimenti della popolazione in aree in cui spesso mancano perfino i servizi di base, i gruppi armati tentano di stabilire la loro autorità offrendo un’alternativa a quella dello Stato.

«Usano la tattica del bastone e della carota, da un lato permettono alle persone di condurre attività illegali, come il contrabbando di carburante o altri merci attraverso le frontiere, senza rischi di essere bloccati, dall’altro mostrano chiaramente cosa può accadere a chi non accetta la loro presenza», dice a Osservatorio Diritti Eleanor Beevor, autrice del rapporto.

Gli attacchi e i rapimenti di locali sembrano infatti avere come obiettivo soprattutto militari, rappresentanti dello Stato (sindaci, ecc.), leader religiosi e tradizionali e, in particolare, i membri dei Volontari per la difesa della patria, la milizia civica costituita dal governo nel 2020 per affiancare l’esercito. Tuttavia le comunità restie a concedere il loro sostegno pagano un prezzo alto: «Il Jnim sembra anche propenso a fomentare le divisioni già esistenti tra le diverse comunità e trarre vantaggi dagli scontri», precisa Beevor.

Miniere d’oro e terrorismo in Burkina Faso

Una delle attività più redditizie per il gruppo terroristico è il controllo sulla sicurezza delle miniere d’oro artigianali. Negli anni i proprietari dei terreni, o i concessionari, operavano attraverso autorizzazioni statali e sotto la protezione di gang o associazioni tradizionali di cacciatori, come i Dozo, in accordo con le autorità di polizia locali.

Molte persone sono state cacciate dalla loro terra e nei fatti molti sono stati esclusi da qualunque forma di partecipazione nella corsa all’oro. Il Jnim ha cambiato le regole, permettendo a tutti di scavare in cambio di un contributo che pare essere meno oneroso di quello richiesto in precedenza.

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Miniera d’oro a Tamiougou, Burkina Faso – Foto: Ollivier Girard/CIFOR (via Flickr)

Golpe in Burkina: il ruolo del contrabbando

Il gruppo si è anche posto come facilitatore delle attività di contrabbando di carburante, sigarette e altre merci alle frontiere meridionali del Paese, che spesso sono percepite più come una forma di sopravvivenza che come un’attività illecita da parte delle popolazioni locali. Secondo il rapporto, il Jnim ha forgiato rapporti di mutua assistenza, soprattutto con i piccoli contrabbandieri, che agiscono, ad esempio, attraverso le aree naturali protette ai confini con il Benin. In cambio di informazioni, carburante o parti di ricambio, i terroristi attaccano i posti di polizia o i militari, che abbandonano l’area lasciando campo libero ai contrabbandieri.

«Il Jnim pare molto attento a non associarsi apertamente alle gang, che assaltano i locali o rubano il bestiame, e sono percepiti dalle popolazioni come criminali», aggiunge Beevor. «Sono pronti a beneficiare delle loro attività, ma soltanto se non danneggiano le comunità delle quali si sono già guadagnati il sostegno».

Cosa accadrà nelle aree dove il Jnim ha il controllo? «Quanto è successo in Mali negli anni scorsi fa pensare che il Jnim potrebbe adottare un applicazione più rigida dei principi islamici e limitare la libertà delle persone, anche se alla fine molto dipende dai comandanti locali che godono di un certo grado di autonomia», aggiunge Beevor.

La risposta non può essere solo militare

La strategia dei gruppi armati che mescola metodi mafiosi, flessibilità e diversificazione è spesso considerata soltanto un efficace metodo di finanziamento, ma questa percezione è fuorviante, avverte il rapporto. Per questo pensare di colpire le attività illecite, come il contrabbando, per tagliare risorse ai terroristi, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio e finire per alienare ancora di più le popolazioni che non hanno altre possibilità di guadagnarsi da vivere.

«L’unica, lunga, via d’uscita è ristabilire la presenza dello Stato e non solo attraverso l’impiego delle armi», conclude Beevor.

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