Lavorare nell’editoria: qualifica elevata, stipendio basso e pochissimi diritti

I libri si fanno sempre più fuori dalle redazioni: un sistema che consente alle case editrici di ridurre i costi fissi, ma che influenza il lavoro e la qualità dei libri

Sottopagati, ma con qualifiche elevate. Isolati, in concorrenza tra loro e con poche tutele. Sono i freelance che lavorano nell’editoria libraria, settore in cui il ricorso a collaboratori esterni è molto elevato, tanto che i libri nascono sempre più spesso fuori dalle redazioni.

Un sistema che consente alle case editrici di ridurre i costi fissi, ma che ha effetti sul lavoro interno ed esterno, nonché sulla qualità dei libri stessi (fonti: “Dietro le quinte. Indagine sul lavoro autonomo nell’audiovisivo e nell’editoria libraria – Fondazione Brodolini 2022”, scarica qui il Pdf; Sondaggio aperto di Redacta dal 2019, scarica qui il Pdf).

Le condizioni dei lavoratori esternalizzati dell’editoria sono al centro dell’indagine che, da alcuni anni, viene portata avanti da Redacta, il gruppo che all’interno dell’associazione di freelance Acta si occupa nello specifico di questo settore.

Che cosa è emerso da quel sondaggio? Che più dell’80% di chi ha partecipato si dichiara freelance e più della metà ha redditi inferiori ai 15 mila euro lordi, pur lavorando tra le 25 e le 55 ore alla settimana, che i tempi di lavoro si sono intensificati e flessibilizzati e che c’è una grande confusione tra tempi di vita e di lavoro per gli esternalizzati.

«Molti parlano di mancanza di contratti, di mancata applicazione dello statuto del lavoro autonomo sui tempi di pagamento ovvero a 30 giorni e a 60 solo in presenza di un accordo scritto tra le parti. Chi è alle prime armi non sa quanto farsi pagare e il turnover forsennato degli stage gratuiti riduce ulteriormente i compensi, già bassi», spiegano Silvia Gola e Mattia Cavani di Redacta.

E poi c’è la questione della qualità dei libri. «Non vogliamo generalizzare, la situazione varia da editore a editore, ma chi ha un minimo di onestà intellettuale se ne accorge. E anche i lettori si rendono conto che alcuni libri hanno problemi», aggiungono.

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Foto: Castellbo (via Wikipedia Commons)

Lavorare nell’editoria: gli effetti della digitalizzazione

L’editoria è un settore con aziende molto diverse: ci sono gruppi enormi integrati verticalmente in cui gli interni, sempre più spesso, coordinano il lavoro dei collaboratori esterni, e case editrici più piccole in cui gli interni si occupano di tutto, dalla segreteria all’ufficio stampa.

Certo è che la digitalizzazione in editoria ha influito sull’organizzazione del lavoro, sui profili professionali e sui modelli economici delle aziende.

«Chi ha 10 o 15 anni di esperienza parla di una crescente despecializzazione. Grazie alla tecnologia ci si trova a fare più cose contemporaneamente, cose che prima erano fatte da figure diverse. Nell’editoria non specializzata i grafici e gli impaginatori sono quasi scomparsi e il loro lavoro è fatto dai redattori a cui sono richieste competenze multitasking», spiega Cavani.

Le aziende cercano professionalità nuove come i social media manager, i comunicatori e gli addetti al marketing digitale ed esternalizzano sempre di più anche il lavoro redazionale sui testi (editing, traduzione, revisione, correzione di bozze, impaginazione) a singoli professionisti o service.

La conseguenza è che le redazioni sono svuotate e molti lamentano una perdita di capitale umano e di quell’atmosfera che si crea in un gruppo di lavoro che lavora insieme da anni.

Il motivo è economico. «Il fatto che i libri si facciano sempre più fuori dalle case editrici non sarebbe un problema se quel lavoro fosse ben remunerato, ma non è così. Si punta all’esternalizzazione per abbattere i costi fissi e avere lavoratori non protetti da un contratto collettivo. La contrattazione è pura forza tra le parti che avvantaggia le imprese sia con i singoli professionisti sia con i service che si sfidano al ribasso per accaparrarsi forniture più ampie e pacchetti editoriali», dice Cavani.

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Foto: via Pixabay

Stage, stipendio basso e nessuna stabilità: la trappola della passione per l’editoria

Chi entra nel mercato del lavoro editoriale spesso non ha una conoscenza approfondita dei contratti, dei propri diritti e di quali sono i compensi adeguati. Fino a che Redacta non ha pubblicato sul suo sito i calcoli per una remunerazione dignitosa, infatti, non c’erano parametri di riferimento.

Altro problema è che le scuole di editoria e i master non formano a sufficienza chi li frequenta su contratti, diritti e fiscalità. E poi c’è anche la cosiddetta trappola della passione, che riguarda tutti i lavori creativi o cognitivi.

«Noi di Redacta siamo stati alla Statale di Milano e alla Sapienza di Roma per informare chi frequenta i corsi di editoria sul contesto editoriale e su cosa troveranno una volta usciti da lì. Ma in genere corsi e master non danno molti strumenti per potersi barcamenare nella quotidianità», sostiene Gola.

Questi percorsi di formazione si concludono poi con stage in case editrici, «che spesso vengono venduti come la grande occasione per poter entrare in editoria, ma nella realtà sono lavori non pagati e che raramente portano a un impiego stabile. Il turnover degli stage è enorme e capita che al termine dei tre mesi uno stagista si trovi a dover formare quelli nuovi che prenderanno il suo posto», aggiunge Cavani.

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Foto: via Pixabay

I lavoratori dell’editoria si ritrovano a Milano, Bologna, Torino. E presto a Roma e Napoli

Una delle problematiche del settore è la difficoltà di avere una rappresentanza comune. «La mancanza di un luogo di lavoro condiviso sicuramente incide sulla possibilità di incontrarsi e convergere su problematiche comuni. E poi c’è la retorica tossica del lavoro fatto per passione e vocazione che indebolisce la capacità di rivendicazioni», dice Gola.

Il lavoro di Redacta è quello di creare fiducia e solidarietà tra lavoratori e lavoratrici attraverso un approccio mutualistico di aiuto reciproco e condivisione gratuita delle informazioni. «Il tema su cui ci siamo messi insieme è proprio quello dei compensi perché crediamo di non essere pagati abbastanza per il lavoro che facciamo».

Da quando è nato il gruppo sono state organizzate riunioni tra lavoratori del settore a Milano, Bologna, Torino e si stanno provando a organizzare gruppi locali anche a Roma e Napoli. «Sono momenti in cui un lavoratore che sta sempre in casa da solo può empatizzare con altre persone, guardare il proprio lavoro in modo diverso, immaginare soluzioni collettive ai problemi, scambiare informazioni».

Tra gli obiettivi di Redacta c’è anche quello di riordinare e chiarire gli aspetti fiscali con un approccio trasversale a diritti e tutele. «Questi problemi non riguardano solo l’editoria, ma tutti i lavoratori autonomi. Chi scrive le leggi però spesso ragiona per settori e così succede che i lavoratori dello spettacolo hanno un ammortizzatore sociale dedicato, la gestione separata ne ha un altro, c’è chi non ha la malattia, chi non può accedere alla maternità e così via. Noi puntiamo alla trasversalità dei diritti anche perché chi fa un lavoro intellettuale o cognitivo spesso è slash worker, un po’ dipendente, un po’ co.co.co e un po’ autonomo e la trasversalità è l’unico modo per tutelare chi ha questo patchwork di inquadramenti», afferma Cavani.

Una prospettiva concreta potrebbe essere data dalla direttiva europea sulla contrattazione collettiva (scarica il Pdf) e da quella sul diritto d’autore (direttiva UE 2019/790, qui) recepita anche in Italia con il Decreto legislativo 177 dell’8 novembre 2021 (vai al testo): «Quest’ultima parla di retribuzione equa degli autori e cosa significa “equo” credo sia importante che lo stabiliamo collettivamente».

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