Corte penale internazionale: cos’è e quali sono i suoi compiti
Vent'anni fa cominciava a funzionare la Corte penale internazionale dell'Aja. Ecco cos'è, quali sono i suoi compiti, il ruolo nella guerra tra Ucraina e Russia, i casi, la storia e le possibili sentenze dell'unica istituzione ricosciuta per esercitare la propria giurisdizione verso persone fisiche che hanno commesso i più gravi crimini internazionali
di Michele Scolari
Le origini della Corte penale internazionale sono riconducibili ai diversi Tribunali internazionali penali che, a partire dalle esperienze di Norimberga e Tokyo fino alle realtà a noi più vicine della ex Jugoslavia e del Ruanda, hanno seguito alcuni dei conflitti più sanguinosi della storia recente.
Nonostante trovi le sue radici in queste corti create ad hoc e volute dalla comunità internazionale, però, non è un’istituzione formalmente subordinata alle Nazioni Unite, nei confronti di cui mantiene un’autonomia quasi assoluta.
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È la consapevolezza della necessità di una Corte permanente, non istituita successivamente al verificarsi dei reati che le competono e senza il carattere dell’eccezionalità, che ha portato nel 1998 alla firma del trattato istitutivo, lo Statuto di Roma.
L’entrata in vigore però è avvenuta solo a partire dal 6 luglio 2002, a seguito del raggiungimento delle 60 ratifiche minime previste. Gli Stati Parte, ad oggi, sono 123 e tra questi mancano tre delle più grandi potenze militari ed economiche del mondo: Stati Uniti, Russia e Cina.
Corte penale internazionale dell’Aja: la struttura
Secondo il trattato istitutivo, la Corte penale internazionale (Cpi) si compone di quattro organi principali: la Presidenza, con mansioni di rappresentanza; l’Ufficio del Procuratore, che si occupa di dirigere le indagini in modo indipendente; la Cancelleria, a cui sono assegnate funzioni burocratiche e di amministrazione; le Camere, che svolgono l’attività giudiziaria propriamente intesa.
Queste si dividono a loro volta in tre: la Sezione Preliminare, che autorizza le indagini; la Sezione del Dibattimento, che gestisce la fase del processo in primo grado; la Sezione d’Appello, che si occupa dei ricorsi e di rendere eventualmente definitive le sentenze.
Menzione speciale, inoltre, deve esser fatta all’Assemblea degli Stati Parte, che ha il compito di monitorare l’attività della Corte ma, soprattutto, di eleggerne i giudici ed il procuratore. Questo organo ha anche istituito nel 2004 un Fondo Fiduciario per supportare le vittime dei crimini di competenza della Corte.
Di forte interesse è anche la presenza di un centro di detenzione con sede a L’Aja (dove è anche situata la Corte), utilizzato però per i soli individui in attesa di processo. Infatti, è solo dopo l’emanazione della sentenza che i condannati sono chiamati ad eseguire la pena detentiva all’interno delle carceri di uno Stato membro che abbia precedentemente espresso il suo consenso.
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Competenza e giurisdizione: cosa prevede lo Statuto della Corte penale internazionale
La competenza della Cpi è limitata solamente ai crimini più efferati e considerati motivo di allarme per l’intera comunità internazionale, quali: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e, a partire dal 2018, crimine di aggressione. Questi reati devono però essere caratterizzati da una gravità tale da giustificare un esame della Corte.
La giurisdizione può essere esercitata unicamente in modo complementare agli Stati e, in particolare, qualora questi difettino della capacità o della volontà di avvalersene. Ciò rende la Corte sia un mezzo per combattere l’immobilità degli Stati di fronte ai crimini internazionali, sia un meccanismo per spronarli ad agire tempestivamente nell’esercizio delle loro funzioni penali.
Tale prerogativa può essere utilizzata nei casi in cui i crimini siano stati commessi all’interno del territorio di uno Stato membro o da un suo cittadino. Quest’ultima possibilità permette così di perseguire anche reati commessi all’interno di Stati che non abbiano formalmente aderito allo Statuto di Roma.
Gli Stati non Parte hanno anche la facoltà – attraverso una apposita dichiarazione depositabile in Cancelleria – di accettare la giurisdizione della Corte. È, ad esempio, il caso dell’Ucraina, che – successivamente all’occupazione della Crimea del 2014 – ha seguito questa procedura, permettendo così che i reati commessi successivamente a questa data possano essere oggetto di valutazione.
Infine, data le peculiarità dei crimini di cui si occupa, può esercitare la propria giurisdizione indipendentemente da immunità di sorta.
Condizioni di procedibilità: i casi di Ucraina-Russia, RD Congo, Siria, Sudan e Libia
Lo Statuto di Roma prevede tre differenti modalità con cui si può procedere: la prima attraverso la segnalazione di uno Stato Parte al procuratore riguardo crimini compiuti nel proprio territorio, ovvero in quello di un altro Stato membro. Questa è indubbiamente la procedura di gran lunga preferita e che ha dato seguito al maggior numero di indagini. Tra queste, si ricorda l’investigazione che ha portato alla primissima sentenza di condanna della Corte – pronunciata nei confronti del signore della guerra congolese Thomas Lubanga Dyilo per crimini di guerra – proprio successivamente all’auto-deferimento da parte della Repubblica Democratica del Congo.
Per quanto riguarda invece la richiesta di procedere da parte degli Stati, l’esempio è la più recente apertura delle indagini da parte di Karim Khan – attuale procuratore – a seguito della segnalazione di 41 Stati di verificare la commissione in Ucraina di crimini di guerra e contro l’umanità successivamente all’invasione di febbraio da parte dell’esercito russo.
La seconda modalità prevede l’attivazione a seguito di un’indicazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Tale possibilità è, in teoria, quella più “avanguardista”, poiché permette di estendere la competenza della Corte anche a Stati formalmente non parte della Cpi. Ciò avviene attraverso una risoluzione che, per propria natura, è soggetta al voto favorevole di quei cinque Stati che, godendo del diritto-potere di veto, possono bloccarne l’approvazione, come accaduto nel 2014 con il caso della Siria. L’utilizzo di questa prerogativa ha però permesso di sottoporre a scrutinio dei giudici internazionali i fatti avvenuti durante il conflitto in Darfur (Sudan) e quelli in Libia, entrambi Stati non membri, rispettivamente nel 2005 e nel 2011.
L’ultima condizione, invece, si verifica a seguito dello svolgimento di un’indagine proprio motu del procuratore i cui elementi conclusivi siano valutati in modo positivo dalla Camera Preliminare che ne autorizza successivamente l’azione. Questo è avvenuto quando è stata aperta l’indagine sui crimini commessi durante la guerra in Afghanistan che ha portato gli Stati Uniti di Trump a imporre sanzioni economiche (e non solo) al personale della Cpi poiché tale investigazione è stata considerata come una minaccia alla sicurezza nazionale.
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Criticità, prospettive e il ruolo delle sentenze nella lotta ai crimini internazionali
La giustizia penale internazionale è la più giovane delle discipline del diritto internazionale e per questo presenta ancora numerose problematicità.
La difficoltà più grande è la chiara avversità di alcuni Stati che sono restii ad accettare competenza e giurisdizione di un simile organismo e, soprattutto, il suo potere di perseguire individui all’interno del loro territorio. Questa forte diffidenza politica si basa anche sull’idea che la Corte abbia svolto un numero esiguo di indagini ed emanato ancora meno sentenze di condanna, utilizzando però considerevoli quantità di risorse.
All’insieme di inefficienza e di un rapporto costi-condanne molto elevato, si deve aggiungere anche il focus – da alcuni considerato eccessivo – nei confronti degli Stati dell’Africa che ha portato nel 2016 il Burundi ad abbandonare lo Statuto di Roma. Anche le Filippine del presidente Duterte hanno seguito lo stesso sentiero lasciando la Corte, a seguito dell’apertura di indagini nei confronti del capo di Stato.
Nonostante questi elementi di criticità, la Cpi continua a svolgere un’attività assolutamente essenziale ed è ormai chiaro che ha avuto un ruolo nella lotta ai crimini internazionali. È proprio il fatto che alcuni Stati non vogliano saperne di una Corte con tali poteri in ambito penale, storicamente roccaforte della sovranità statale, che dimostra la sua centralità e la sua importanza, non solo nella tutela degli individui dalle più gravi violazioni dei diritti umani, ma anche e soprattutto nella sua funzione di incentivo agli Stati stessi affinché esercitino le loro prerogative.
Per concludere, si ricordano le parole di Kofi Annan, ex Segretario generale delle Nazioni Unite, che definì la battaglia della Corte come «causa di tutta l’umanità» in quanto stella polare della lotta globale all’impunità di coloro che commettono i crimini internazionali e che spesso riescono a sfuggire alla giustizia.