Diritti violati dei bambini: nel mondo sette milioni privati della libertà
Nel mondo sono oltre sette milioni i bambini privati della loro libertà. Molti vivono in centri di detenzione per migranti, in carceri o in "istituti di accoglienza", come gli orfanotrofi. E nella maggior parte dei casi sono esposti a maggiori rischi di abuso, violenza, discriminazione. Ne parliamo con Manfred Nowak, coordinatore del primo studio dell'Onu su questo tema
Nel mondo sono oltre sette milioni i bambini privati della loro libertà. Molti di questi vivono in centri di detenzione per migranti, in carcere o in “istituti di accoglienza”, come gli orfanotrofi. E nella maggior parte dei casi sono esposti a maggiori rischi di abuso, violenza, discriminazione sociale e negazione dei loro diritti civili, politici, economici, sociali e culturali.
Quello della privazione della libertà dei minori è un tema fondamentale perché impatta sullo sviluppo personale degli adulti di domani. Eppure fino a qualche anno fa non era mai stato affrontato in maniera organica e trasversale. La svolta c’è stata nel 2014, quando le Nazioni Unite hanno deciso di commissionare uno studio globale.
Dopo cinque anni, nel 2019, è stato pubblicato un rapporto completo, frutto del lavoro condotto da un ampio team di esperti provenienti da tutto il mondo e da 274 bambini intervistati. Il tutto sotto il coordinamento di Manfred Nowak, segretario generale di Global Campus of Human Rights, centro interdisciplinare per la promozione dei diritti umani e della democrazia, con sede a Venezia.
I risultati del lavoro riguardano in particolare sei aree tematiche in cui i minori vivono privati della libertà: giustizia minorile, detenzione presso i loro tutori primari, per motivi migratori, nelle istituzioni, nel contesto di conflitti armati o per motivi di sicurezza nazionale. A Nowak, Osservato Diritti ha chiesto di ricostruire il contesto in cui si inserisce questo studio e di raccontarne genesi ed esiti.
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Cosa significa “privazione della libertà” per un bambino?
Già per un adulto non è facile stare dietro le sbarre, figuriamoci per un bambino, ovvero per un essere umano in piena fase di sviluppo della personalità. I bambini hanno bisogno di muoversi, di correre! Se tu lo chiudi in una cella gli stai distruggendo non solo il presente, ma anche il futuro. Questo è uno dei motivi per cui la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia afferma chiaramente che «la privazione della libertà per i minori deve essere utilizzata solo come misura di ultima istanza e per il periodo di tempo più breve e appropriato».
Il vero problema è che non c’è abbastanza consapevolezza pubblica su quanto la situazione sia grave. Lo Studio Globale ha rilevato che nel mondo, ogni anno, sono circa 7,2 milioni i bambini privati della loro libertà, in tutte e sei le aree tematiche analizzate. Di questi, 300 mila vengono rinchiusi nei centri per migranti. E ciò accade principalmente in Europa, negli Stati Uniti, in Australia.
Per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia le cose non vanno meglio. Se un bambino ha commesso un reato, in teoria non dovrebbe essere messo in prigione, ma essere preso in carico dai servizi sociali.
La detenzione è “più economica” rispetto alla creazione di un welfare a sostegno dei minori?
In molti usano questa argomentazione, ma non la ritengo valida. La verità è che allo Stato costa molto di più il sistema detentivo. Secondo il nostro studio, infatti, la cosa migliore sarebbe garantire assistenza ai parenti. Se lo Stato mettesse a disposizione la stessa quantità di denaro che usa per alimentare il sistema detentivo, per assistere e sostenere le famiglie, forse i genitori si potrebbero occupare di più dei figli, i figli a loro volta beneficerebbero di queste attenzioni e così anche la società e le istituzioni. Questo è il modello virtuoso che mi immagino.
Quindi non è un problema di mancanza di risorse, ma di come vengono redistribuite?
Io sono stato per sei anni relatore speciale delle Nazioni Unite per la tortura e sono stato in missione in 18 paesi in tutto il mondo. Durante questi viaggi mi è capitato spesso di visitare luoghi di detenzione e anche molte istituti speciali per minorenni. Quello di cui mi sono reso conto è che a finire dietro le sbarre, spesso, sono i più poveri.
Mi è capitato più volte in queste occasioni di parlare anche con molti “ragazzi di strada” e di constatare che di loro, a livello umano, non si è mai fatto carico nessuno. Nella maggior parte dei casi questi ragazzi commettono piccoli reati per sopravvivere e così finiscono in carcere o in altri luoghi di detenzione. Questo è quanto succede ai segmenti più emarginati della società. Chi ha i soldi, invece, spesso riesce a cavarsela, corrompendo la polizia o pagando un avvocato. In questo senso possiamo dire che è anche un problema di redistribuzione di risorse.
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La burocrazia contribuisce ad alimentare questo sistema di diritti violati dei bambini, basato sulla privazione della libertà?
Io non parlerei tanto di burocrazia, quanto di mancanza di consapevolezza. La consapevolezza che i bambini hanno bisogno della libertà per sviluppare la propria personalità e che quindi la privazione della libertà per un minore deve essere l’eccezione e non la regola. In molti casi c’è più di una soluzione alternativa.
I grandi istituti, come gli orfanotrofi per esempio, non sono luoghi adatti per lo sviluppo e la crescita di un bambino. L’ideale dovrebbe essere una soluzione che si basi un modello familiare, penso alle adozioni, alle famiglie affidatarie o alle case famiglia. Questo perché i bambini, oltre alla libertà per crescere, hanno bisogno di amore e di una figura genitoriale di riferimento.
Detto ciò, in diversi stati c’è anche il problema della burocratizzazione della giustizia amministrativa, come per esempio le pratiche di adozione. Il che non agevola il cambio di modello di cui ho appena parlato. È anche vero che in altrettanti stati andrebbe rafforzato il welfare a sostegno dei minori, che a causa delle politiche neoliberali o è stato privatizzato o ha subito anch’esso pesanti tagli.
Tra le raccomandazioni dello studio, quale andrebbe implementata con più urgenza?
C’è stata una lunga discussione tra i componenti del gruppo di studio e alla fine ci siamo trovati tutti d’accordo nel sostenere che la detenzione dei minori migranti, siano essi non accompagnati o con le loro famiglie, debba essere categoricamente proibita.
Lo Stato con il più alto numero di minori migranti detenuti sono gli Stati Uniti. In Europa, invece, questa forma di coercizione è stata abolita solo formalmente (con una risoluzione non legislativa approvata dal Parlamento europeo per alzata di mano, ndr).
L’altra raccomandazione, non meno importante, è che vengano aboliti i grandi istituti, come gli orfanotrofi, perché sono spacciati come luoghi di accoglienza, ma in realtà lì dentro i ragazzi non sono veramente liberi.
Durante la ricerca vi siete imbattuti in casi particolarmente virtuosi e o viziosi?
Degli esempi positivi arrivano da alcuni paesi dell’Europa centrale e dell’Est che hanno iniziato a dismettere il sistema degli orfanotrofi ereditato dall’Unione Sovietica. In particolare la Bulgaria e la Georgia hanno investito molte risorse in questo processo di smantellamento. Un esempio negativo è invece, come ho già accennato prima, quello degli Stati Uniti, che ha un sistema di accoglienza dei minori migranti molto repressivo e non solo a causa e per volere di Donald Trump, anche se con lui si è assistito a un netto peggioramente.
Ma gli Stati Uniti segnano un altro primato negativo per quanto riguarda la giustizia criminale. È qui infatti che c’è il numero più alto di minori detenuti, 60 su 100.000, mentre la media in Europa è di 5 su 100.000. In altre parole, gli Usa hanno il tasso di incarcerazione di minorenni più alto al mondo.
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Come avete fatto a raccogliere tutti questi dati relativi a queste violazioni dei diritti dei bambini nel mondo?
Dal punto di vista metodologico, nel febbraio 2018, al fine di raccogliere dati qualitativi e quantitativi per informare lo studio, è stato distribuito un questionario dettagliato a governi, agenzie delle Nazioni Unite, istituzioni nazionali per i diritti umani, meccanismi nazionali di prevenzione e organizzazioni non governative.
In totale sono state ricevute 118 risposte, di cui 67 dagli Stati. Sono state raccolte informazioni da ogni regione del mondo: 41 risposte dall’Europa; 27 dall’Africa; 20 dall’Asia, 19 dal Nord e Sud America; 11 dall’Oceania. Il processo ha anche accresciuto la consapevolezza dell’importanza e della mancanza di dati disponibili sulla situazione dei minori privati della libertà. Per questo un’altra importante raccomandazione è che gli stati continuino questo lavoro di raccolta dei dati che noi abbiamo iniziato per definire degli obiettivi e verificare ogni anno che ci siano dei miglioramenti.
È vero che per realizzare lo studio non c’erano fondi a disposizione?
Sì, è vero. Quando ho accettato l’incarico nel 2016 ero consapevole che non ci fosse un budget, ma mai mi sarei immaginato che sarebbe stato così difficile trovare degli stati disposti a investire dei fondi per uno studio sulla privazione della libertà dei minori. La fase di attuazione dello studio è stata gravemente ritardata a causa della mancanza di finanziamenti, che doveva fare affidamento su “contributi volontari”.
In risposta ai miei personali sforzi di raccolta fondi, sono stati ricevuti contributi finanziari da Austria, Germania, Liechtenstein, Malta, Svizzera, Qatar, Unione europea, Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), Right Livelihood Award Foundation e un’altra fondazione privata. Sono estremamente grato agli “amici dello studio” poiché, senza il loro contributo finanziario, sarebbe stato impossibile condurre un progetto di ricerca così ampio.
Un contributo non banale è stato dato anche da The Global Campus of Human Rights. Nella sede veneziana abbiamo infatti potuto organizzare alcuni incontri con diversi esperti e studenti da tutto il mondo, che ci hanno aiutato a costruire il questionario. E sarà proprio a Venezia che il 15 e il 16 luglio avremo il piacere di presentare lo Studio Globale, in occasione della seconda conferenza Global State of Human Rights organizzata per discutere lo stato dei diritti umani nel mondo, con un focus particolare, quest’anno, appunto sui diritti dei bambini.