Land grabbing: significato dell’accaparramento delle terre ai tempi di guerra e crisi alimentari
Focsiv fa il punto sul land grabbing in Asia, Africa, America Latina e nel resto del mondo nel nuovo dossier "I padroni della terra 2022": ecco il significato di questa violazione dei diritti, le cause, le conseguenze, il ruolo delle banche di sviluppo, le violenze e i diritti ancora negati alle donne
Guerra, cambiamenti climatici e crisi alimentare spingono la corsa alla terra. Le preoccupazioni emergono dall’ultimo report sul land grabbing: “I padroni della terra. Rapporto sull’accaparramento della terra 2022” a cura di Andrea Stocchiero di Focsiv (Federazione Organismi Cristiani – Servizio Internazionale Volontario).
Il documento presentato oggi a Roma si propone di delineare e approfondire il fenomeno del land grabbing e le sue conseguenze su comunità e ambiente.
Russia-Ucraina, una guerra che affama
Nel documento si sottolineano le conseguenze sui sistemi alimentari globali del conflitto: aumento dei prezzi, dipendenza dalle importazioni di cereali, aumento dell’insicurezza alimentare.
La guerra tra Russia e Ucraina e la crisi alimentare potrebbero, secondo il report, spingere la domanda di terre da coltivare. Per riattivare le filiere di approvvigionamento, infatti, potrebbero essere rimosse le restrizioni agli investimenti in terra approvate in alcuni paesi.
Land grabbing tra Asia, America Latina e Africa
1.865 accordi transnazionali su investimenti fondiari agricoli, per una superficie totale di 33 milioni di ettari: questi dati sono stati rilevati dal database Land Matrix in riferimento al 2021.
Tra i paesi vittima di accaparramento, secondo gli ultimi aggiornamenti riportati ne “I padroni della terra” di Focsiv, troviamo al primo posto l’Indonesia, seguita da Ucraina, Russia, Brasile, Papua Nuova Guinea, Argentina, Filippine, Etiopia, Myanmar, Sud Sudan e Ghana.
Paesi accaparratori: dalla Cina agli Stati Uniti, da Cipro al Regno Unito
Nel tempo cambiano anche i paesi investitori. Sempre più presenti nelle classifiche sono gli stati che hanno normative fiscali favorevoli alle imprese, come Cipro, Isole Vergini britanniche e Hong Kong.
Oltre ai nuovi soggetti che si affacciano al business delle terre continuano ad avere un ruolo rilevante i paesi del Golfo, Singapore, Svizzera, ma anche Brasile e Malesia.
Nella classifica degli accaparratori, poi, non possono mancare Regno Unito, Olanda, Cina e Stati Uniti.
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Significato del land grabbing: un fenomeno speculativo
Sono 13 milioni, su 33, gli ettari accaparrati a fini speculativi. Terreni rimasti inutilizzati a causa di contrasti istituzionali, con le comunità locali o perché gli investimenti si sono rivelati fallimentari. Infatti, secondo il rapporto, solo il 15% degli investimenti si basa sul consenso libero, previo e informato delle comunità locali.
Nella maggior parte dei casi non sono previsti, o non vengono realizzati, interventi compensativi a favore della popolazione. Questi territori non sfruttati o abbandonati difficilmente tornano nelle mani di coloro a cui sono stati sottratti.
Tra le cause del land grabbing anche l’aiuto dato dalle banche di sviluppo
Uno dei focus principali de “I padroni della terra 2022” di Focsiv è quello relativo al ruolo delle banche pubbliche di sviluppo nel finanziamento degli investimenti di multinazionali, in particolare per la produzione di biocarburanti. Vengono presentati casi studio condotti dai membri della rete Cidse, le organizzazioni cattoliche per la giustizia sociale.
Si tratta di investimenti invisi e contrastati dalla popolazione locale in cui le banche pubbliche di sviluppo hanno prima finanziato le operazioni, per poi, in alcuni casi, ritirarsi, senza assumersi alcuna responsabilità rispetto alla violazione di diritti delle comunità locali.
I casi analizzati riguardano la Sierra Leone e la Repubblica Democratica del Congo.
Addax Bioenergy Sierra Leone è stata finanziata da sette banche di sviluppo europee e africane e prevedeva la produzione di bioetanolo a partire dalla canna da zucchero. Il prodotto era destinato all’esportazione in Europa e in parte doveva rifornire la rete nazionale. Dei 54.000 ettari previsti ne vennero utilizzati meno della metà. Dopo cambi di proprietà e l’abbandono del progetto da parte delle banche pubbliche di sviluppo, la terra rimane ancora inaccessibile alle comunità.
Vicenda simile è quella che interessa la Repubblica Democratica del Congo, con l’investimento fallimentare della società canadese Feronia. Dei più di 100.000 ettari, 25.000 sono dedicati alla produzione industriale della palma da olio. Tra il 2009 e il 2020, anno in cui la società ha dichiarato fallimento, la proprietà ha ricevuto 150 milioni di dollari in prestiti e investimenti da banche di sviluppo europee. Con il cambio di proprietà le banche hanno continuato a sostenere il progetto, nonostante le numerose denunce di violazione dei diritti umani riportate dai membri delle comunità e dalle ong locali e internazionali.
Dal rapporto emerge che, nonostante le banche pubbliche di sviluppo abbiano adottato standard internazionali per comportamenti responsabili e si siano dotate di meccanismi indipendenti di reclamo, nella realtà dei fatti, poi, hanno avallato un sistema economico che prevede la violazione dei diritti e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.
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Esempi di land grabbing: il caso della Colombia
6,5 milioni di ettari espropriati a contadini e popoli indigeni. Un capitolo è dedicato al caso della Colombia, dove il conflitto per il controllo della terra vede intrecciarsi interessi del governo, dei paramilitari, dei guerriglieri, dei narcotrafficanti e delle guardie private delle imprese estrattive.
Nel paese il 15,4% dei campi è stato abbandonato e oltre 4 milioni di contadini non hanno più un terreno da coltivare. Il processo di pace è, fino ad ora, riuscito a restituire solo il 7,6% degli ettari espropriati. A complicare la restituzione anche la difficoltà di identificare a chi appartenga la terra. Solo il 21% dei contadini privati dei campi, infatti, aveva un atto di proprietà registrato al momento della spoliazione, gli altri possedevano titoli informali.
La proprietà della terra nel paese risulta ancora molto diseguale: grandi latifondi da un lato, piccolissime proprietà dall’altro.
Come se non bastasse, le imprese condannate alla restituzione dei terreni spesso negano che siano avvenuti fatti violenti e dilatano volutamente i tempi del processo di restituzione, attraverso azioni legali, o ignorano le sentenze che ordinano la restituzione.
Conseguenze del land grabbing in America Latina: tra violenze e proteste
Pandemia e opere estrattive hanno portato ad un aumento delle violenze nei confronti dei difensori dei diritti umani nell’America centro-meridionale, l’America Latina. Nel 2020 Front Line Defenders, ong con sede in Irlanda, ha registrato 264 uccisioni di difensori dei diritti nella regione delle Americhe, il 40% delle quali legate a questioni relative alla terra, ai diritti delle popolazioni indigene e all’ambiente.
La pandemia, poi, non ha fermato i grandi progetti estrattivi e gli stati hanno spesso utilizzato le forze di polizia per difendere gli interessi delle imprese. In Bolivia, Colombia, Honduras e Perù le proteste sociali sono state represse duramente dalla polizia, con la conseguente criminalizzazione dei difensori.
In Perù, tra gennaio 2019 e agosto 2020 le proteste hanno portato al ferimento di 242 persone e alla morte di 8 manifestanti. In Bolivia, tra ottobre e novembre 2019, 35 persone sono morte e 833 sono rimaste ferite dalla repressione di militari e polizia.
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Cos’è il land grabbing per le donne: diritti sulla terra negati
Un capitolo del rapporto è dedicato alle donne, marginalizzate dalle politiche patriarcali. Le donne, infatti, subiscono discriminazioni di carattere economico, politico e giuridico.
Spesso il diritto consuetudinario, vigente in molti paesi, esclude la donna dall’accesso alla terra, se non attraverso il marito. Vengono estromesse dalle decisioni relative all’uso dei campi. Alle donne, invece, dovrebbero essere garantiti diritti individuali alla terra anche all’interno delle forme collettive di gestione della risorsa. Alla base della discriminazione c’è anche l’iniqua ripartizione del lavoro di cura che pesa, quasi esclusivamente, sulle donne.
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