Italcementi rischia un processo per disastro ambientale in Sardegna: la lotta di Omar Cabua
L'8 luglio il tribunale di Cagliari deciderà se cinque imputati e la Italcementi dovranno affrontare un processo per il reato di "disastro ambientale" per eventi che hanno come teatro il paese di Samatzai. Nel frattempo, dalla Sardegna, Omar Cabua racconta la sua battaglia contro la devastazione ambientale della sua terra
Ha subìto svariati atti intimidatori, due aggressioni fisiche. Gli hanno lanciato una molotov in piena notte contro casa. E per strada gli hanno pure indirizzato direttamente un poco simpatico messaggio, con tanto di nome e cognome: «Se licenziano, sei morto».
Ha 45 anni, si chiama Omar Cabua, nato e cresciuto in Sardegna, in un paesino di appena 1.600 anime in provincia di Cagliari, Samatzai. Per lui ora ogni rumore è un incubo, non c’è più tranquillità.
«Ho deciso di denunciare lo stato delle cose qui a Samatzai – dice Omar a Osservatorio Diritti -perché non tollero che per un pugno di posti di lavoro abbiano devastato il territorio. Per fortuna la giustizia sta facendo il suo corso e qualcuno si è accorto del disastro ambientale che è stato fatto in questi ultimi 50 anni. Hanno svenduto il territorio e a noi restano solo macerie, malattie, inquinamento e devastazione».
Ma la sua solitaria azione potrebbe portare a un nuovo, importante, processo in Sardegna per il reato di disastro ambientale.
Per il momento è tecnicamente una “persona informata sui fatti”, il super testimone di una complessa indagine giudiziaria della procura di Cagliari durata 2 anni. Ma ora è pronto a dare battaglia e a costituirsi parte civile come parte offesa.
Italcementi sotto accusa in Sardegna
Dopo due udienze già andate a vuoto il 22 febbraio e il 31 maggio 2022, il prossimo 8 luglio al tribunale di Cagliari dovrebbe esserci finalmente l’udienza decisiva per valutare la richiesta del pm Giangiacomo Pilia di rinvio a giudizio a carico di cinque imputati (uno dei quali ha subito anche un provvedimento di custodia cautelare ai domiciliari).
Con loro, per quel che riguarda la responsabilità amministrativa, c’è anche la società protagonista del caso, uno dei colossi italiani del cemento, la Italcementi. Ma sarà una corsa contro il tempo per evitare la prescrizione.
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Disastro ambientale: il reato e i precedenti illustri
Il reato di disastro ambientale in Italia è di recente introduzione (legge del 2015) e i processi già svolti per il suo accertamento, alcuni ancora in corso, portano tra i nomi più famosi quelli dell’ex Ilva di Taranto, della Thyssenkrupp/Eternit di Torino o del Petrolgate/Eni di Potenza (Val d’Agri).
Il delitto di disastro ambientale, considerato molto grave, è disciplinato dall’art. 452-quater del codice penale e prevede che «fuori dai casi previsti dall’articolo 434» – Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi – «chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni».
Fino al 2015 non esisteva una vera e propria figura autonoma di reato, configurandosi il disastro ambientale quale grande evento, comprensivo sia degli evidenti eventi disastrosi (immediatamente percepibili), sia degli eventi non immediatamente percepibili come tali, che mostrano i propri effetti in un lasso di tempo più dilatato e distante rispetto all’evento-causa.
La differenza tra disastro ambientale e disastro innominato è enorme: nel primo caso il bene giuridico tutelato è il bene ambiente, nel secondo caso è la pubblica incolumità.
Da qui si può capire l’importanza della prossima decisione del tribunale sardo e dell’azione di Omar Cabua.
«Dal 2011 – spiega l’attivista di Samatzai – seguo il caso da solo o quasi contro tutti».
Italcementi, discariche abusive, rifiuti industriali: due anni di indagini
Le indagini della procura di Cagliari sono cominciate nel gennaio del 2018. Al centro dell’attenzione del nucleo operativo ecologico e dei carabinieri di Nuraminis, su delega del pubblico ministero Giancomo Pilia, c’è un vero e proprio colosso: lo stabilimento Italcementi, in località Nuraxi, comune di Samatzai.
L’inchiesta non è stata facile, ma l’attività delle forze dell’ordine è stata accurata. Oltre a fotografie, video e testimonianze, sono stati utilizzati anche mezzi meccanici inviati dalla procura per scandagliare i terreni, alla ricerca delle le prove. Su 220 mq di terreno sui quali insiste lo stabilimento, ma anche in prossimità di questo, sono state sottoposte a sequestro dieci aree dove sarebbero stati nascosti 196 mila metri cubi di materiali pericolosi.
In un comunicato stampa del comando tutela ambientale carabinieri di Roma, si legge che «durante le indagini sono state scoperte diverse discariche abusive di rifiuti pericolosi, realizzate in aree sia interne che esterne al cementificio. In particolare, le attività scavo hanno portato alla luce un considerevole quantitativo di rifiuti industriali, quali oli minerali, parti di demolizioni di impianti, mattoni refrattari, pet coke che hanno gravemente compromesso le matrici ambientali suolo e falda per la riscontrata presenza fuori limite dei parametri arsenico, cromo esavalente, ferro, manganese nonché fluoruri e solfati, esponendo a pericolo la salute della locale popolazione».
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Arsenico e piombo nella falda inquinata
Accuse pesantissime sono state mosse contro i vertici della cementeria di Samatzai, accompagnate da una consulenza tecnica, quella dell’ingegner Paolo Littarru. Ogni discarica è stata dettagliatamente contraddistinta da mappali e veleni.
«Le immagini – è scritto nei verbali – documentano come la Italcementi avesse appena disposto terra di riporto sopra i rifiuti, si ritiene al chiaro scopo di occultarli». E ancora: «L’alterazione dell’ecosistema vegetale pare evidente anche in prossimità delle trincee realizzate a valle del cumulo dei rifiuti dove è stata coperta la sorgente Mitza Surri e parte dell’alveo del Rio Surri».
Aggiunge ancora il perito: «Il cumulo di rifiuti insiste, infatti, sulle acque della sorgente che sono venute facilmente a giorno a seguito degli scavi durante le indagini. In condizioni normali la sorgente avrebbe fornito acqua durante tutto l’anno». In un caso – hanno rilevato gli inquirenti – il materiale accumulato ha formato una collinetta alta 13 metri.
Le analisi dei suoli e delle acque, in quell’area, sono inquietanti: sopra le soglie di legge si registrano arsenico, cadmio, piombo, selenio e tallio. La relazione finale del consulente sembra non ammettere dubbi:
«I rifiuti rinvenuti nel sottosuolo di pertinenza dello stabilimento dell’Italcementi S.p.A. hanno cagionato inquinamento ambientale, con conseguente compromissione e deterioramento significativo e misurabile del terreno e dell’acqua».
Quanto costerebbe bonificare il terreno
Così come previsto dalla seconda fattispecie dell’articolo 452 codice penale, la perizia analizza anche i costi di una eventuale bonifica. Nel caso in cui lo smaltimento di quei «veleni» avvenisse in Sardegna, se le discariche sarde ne avessero possibilità di capienza, il costo supererebbe i 20 milioni di euro. Se si dovessero, invece, utilizzare altre discariche fuori dall’isola l’esborso salirebbe fino a 26 milioni di euro.
La presunzione d’innocenza sino al terzo grado di giudizio vale ovviamente per tutti e qualche appiglio alla difesa per la non sussistenza del reato di disasto ambientale sembra trovarsi nella conclusione del perito, nel passaggio dove si legge: «…ricorrendo almeno parzialmente le condizioni di cui alla fattispecie del reato di disastro ambientale caratterizzata da una imponente contaminazione di siti mediante accumulo sul territorio e versamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi». Su quel «ricorrendo almeno parzialmente», c’è da giurarsi, si incentreranno le tesi difensive della Italcementi.
Cosa rischiano la Italcementi e i cinque imputati
Nel corso delle indagini è stato eseguito anche un arresto. Salvatore Grimaldi Capitello, 46enne, direttore del cementificio di Nuraminis e Samatzai sino al giugno 2019, il 19 dicembre 2020 è stato sottoposto al provvedimento degli arresti domiciliari dai carabinieri del nucleo operativo ecologico di Cagliari e della stazione di Nuraminis, coadiuvati nella fase esecutiva dai colleghi del nucleo operativo ecologico di Potenza.
Il provvedimento è stato eseguito a Matera in seguito ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal gip del tribunale di Cagliari.
Assieme a lui, la richiesta di rinvio a giudizio, che dovrà essere esaminata l’8 luglio, riguarda Ignazio La Barbera, Lorenzo Metullio, Giuseppe Cataldo, Basilio Putzolu.
Per responsabilità amministrativa, la richiesta di rinvio a giudizio è a carico anche della Italcementi Fabbriche Riunite Cemento S.p.A.